“Bisogna aumentare l’età pensionabile!”, è il ritornello della politica italiana nelle calure agostane.
La ragione è sempre la stessa: i bilanci, i conti. Un po’ le stesse ragioni che spingono i grandi centri commerciali a restare aperti a ferragosto, a Natale, a Pasqua e durante tutte le festività, costringendo i lavoratori a lavorare, mentre dovrebbero avere il diritto di condividere con le famiglie e con chi gli pare, un tempo di libertà sacrosanto.
Senza tenere conto, poi, un altro aspetto, ovvero dove finisca tutta la ricchezza prodotta, visti i bassi livelli delle retribuzioni italiane, con le disuguaglianze in netto aumento. I poveri sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi. In quali tasche si accumula la ricchezza prodotta dalle 1.800 ore lavorate l’anno per ogni lavoratore?
Per chi e per cosa lavoriamo così tanto, in sostanza? Per quale ragione ci ammazziamo letteralmente la vita, lavorando ore e ore al giorno?
Credo sia giunto il momento di porre con forza e decisione nella politica italiana il tema della riduzione del tempo di lavoro, senza rinunce e senza arretramento di retribuzioni, sia chiaro, che come detto, sono già fra le più basse in Europa.
Alla base c’è certamente un obiettivo che potremmo considerare strutturale: ovvero la necessità di redistribuire le quote di lavoro presenti. A maggior ragione se il progresso scientifico, l’aumento dell’automazione nei processi produttivi, provocherà nei prossimi anni una riduzione di posti di lavoro di circa 5 milioni di unità in tutta Europa.
La scienza e gli analisti ci avvisano da anni e già buona parte del tempo a disposizione della politica, per compiere delle scelte è andato perduto, visto che si tratta di un processo iniziato con maggiore vigore alla fine degli anni ’80.
Dobbiamo continuare a vivere i processi di automazione come una minaccia sul futuro di milioni di persone, o vogliamo invece incrociare le possibilità che il progresso scientifico offre e puntare sull’automazione per migliorare la qualità della vita delle persone?
Le macchine che lavorano al posto dell’uomo non possono continuare ad essere elementi a esclusivo vantaggio dell’industria, delle multinazionali e dei datori di lavoro, che con costi di produzione nettamente più bassi e tempi di produzione molto più avanzati rispetto a quelli che potrebbe reggere un corpo umano, riescono a estrarre molta più ricchezza e molto più plus valore dal singolo prodotto. Anche questa è una ricchezza che va redistribuita, offrendo ai lavoratori i vantaggi che una maggiore automazione può offrire.
I temi della qualità della vita, della qualità del tempo libero a disposizione, della necessità di liberarsi dal lavoro, inoltre, sono ormai anche questi centrali. In una società a capitalismo avanzato, l’impianto della vita delle persone è centrato fondamentalmente sulla produzione e sulla produttività, con una scarsa considerazione, invece, per tutto ciò che ha a che fare con la qualità, con il tempo a disposizione della persona. Per la verità, anche il tempo libero è entrato con forza nella dimensione della produzione e del consumo, in particolare negli ultimi 20 anni.
Ed è questo aspetto della vita che va liberato, va rimesso nelle mani e nelle scelte delle persone, che sempre più spesso rinunciano alla propria dimensione affettiva, sacrificano la famiglia, le amicizie o anche le proprie passioni, per rispondere al ricatto produttivo/occupazionale.
Le donne più degli uomini sono costrette a tempi irragionevoli, talvolta disumani, per continuare a poter avere una occupazione dignitosa e conciliare con questa i tempi del lavoro di cura.
Credo che la sinistra, quindi, in Italia debba avere questo compito storico, una sorta di missione: porre al centro del dibattito il tema della redistribuzione del lavoro, della riduzione del tempo dedicato al lavoro e del miglioramento della qualità della vita e del mondo in cui viviamo.
Anche perché, come spesso accade nelle dinamiche sociali, in cui i rapporti di forza vengono determinati dalla capacità di intraprendere e organizzare il conflitto, il tema della riduzione dell’orario di lavoro sta diventando sempre più uno strumento di ricatto nelle mani dei grandi gruppi industriali, durante i momenti di crisi. La dirigenza della Bosch a Bari, ad esempio, propone la riduzione d’orario come misura strutturale nel proprio piano industriale, per rispondere alla crisi del diesel, che le stesse multinazionali dell’auto hanno contribuito a creare. Il grande inganno è che la riduzione dell’orario di lavoro è accompagnata da una contestuale riduzione dei salari dei lavoratori fino a un 30% di quanto percepito oggi.
Come dire che per gli errori della dirigenza continuano a pagare sempre e solo i lavoratori, che di improvviso potrebbero ritrovarsi con più tempo libero, certo, ma con stipendi da 700 o 800 euro.
Un inganno inaccettabile. Il momento per prendere in mano un tema così fondamentale per il futuro di milioni di persone, è ora.
fonte: Huffington Post
http://www.huffingtonpost.it/nicola-fratoianni/e-ora-di-porre-lattenzione-sulla-riduzione-dellorario-di-lavoro-senza-taglire-il-salario_a_23187784/?utm_hp_ref=it-homepage