In Quello che i soldi non possono comprare Michael Sandel traccia i confini dell’economia di mercato. E spiega perché l’economia non può prescindere dalla valutazione morale
Per tutto il resto c’è Mastercard. Basta uno slogan pubblicitario per capire quanto il mercato pervada la nostra vita. Tutto ha un prezzo, sempre più. In Quello che i soldi non possono comprare (Feltrinelli, aprile 2013, pp. 202, € 20) Michael J. Sandel, popolare professore di Filosofia politica e Teoria del governo ad Harvard, si chiede se sia giusto che il mercato invada qualsiasi ambito della vita sociale in cui possa portare efficienza o se occorra piuttosto definire dei limiti.
Oramai sono in vendita le cose più strampalate. Esiste il business della coda, con vere e proprie agenzie di line-standing che guadagnano mettendo a disposizione persone che fanno la fila al posto di qualcun altro; per esempio al posto dei lobbisti, per assistere alle sedute del Congresso a Capitol Hill. C’è il business carcerario delle celle “di lusso”, a Santa Ana in California. Quello degli uteri in affitto, che in India sono particolarmente convenienti.
C’è chi va in giro con un’inserzione pubblicitaria sulla fronte, chi si fa pagare per fare da cavia alle sperimentazioni farmacologiche e chi, dalla propria assicurazione sanitaria, per perdere qualche chilo di troppo (al fine di diminuire la propria propensione ad ammalarsi).
C’è il mercato della caccia agli animali in via d’estinzione, come in Sudafrica, dov’è possibile uccidere un certo numero di esemplari di rinoceronte nero. L’offerta è limitata e il prezzo molto alto.
C’è il commercio delle polizze sulla vita di chi sta per tirare le cuoia, perché malato o avanti negli anni, e c’è la compravendita delle emissioni di CO2, per cui le aziende possono decidere se attenersi ai massimali di inquinamento consentito oppure comprare il diritto di inquinare da qualcun altro cui ne avanzi una quota.
Tutto ciò è legale e risponde a criteri di efficienza. “Il fatto è che, senza rendercene conto, senza aver mai deciso di farlo, siamo passati dall’avere un’economia di mercato all’essere una società di mercato”.
Secondo i sostenitori del mercato la legge della domanda e dell’offerta è democratica, si fonda sulla libertà dei singoli e massimizza l’utile sociale. Che si tratti di aspettare il turno di qualcun altro o di vendere la propria polizza sulla vita per avere soldi subito, quella che si realizza è una transazione dove entrambe le parti in causa hanno un beneficio. Da Gary Becker (L’approccio economico al comportamento umano, 1976) in poi, l’idea che il calcolo costi-benefici domini qualsiasi scelta umana si è imposta sempre più, finché dall’Economics si è passati alla Freakonomics (Levitt – Dubner, 2005), che è scienza degli incentivi. Nel tempo gli economisti hanno rimodellato la propria disciplina rendendola più astratta e più ambiziosa. Ora non si occupano più soltanto di disoccupazione, inflazione, risparmi e investimenti; il loro è diventato uno studio del comportamento umano, sulla base della convinzione che qualsiasi decisione, che sia l’acquisto di un prodotto, la scelta di un amico, quella di chiudere o di contrarre un matrimonio, dipenda fondamentalmente da calcoli, più o meno consapevoli, di utilità personale. Il mercato, stando a questa impostazione, sarebbe inerte, cioè non avrebbe ripercussioni sui beni che scambia.
Ma per Sandel la realtà è più complessa di come appare. L’autore ha il pregio di presentare gli effetti della mercificazione tramite una molteplicità di casi pratici, estremamente chiari, a tratti divertenti a tratti invece raccapriccianti.
Accade per esempio che talvolta i genitori facciano ritardo nell’andare a prendere i bambini all’uscita dall’asilo. Per limitare il fenomeno, in Israele si è provato a imporre una sanzione pecuniaria per l’attesa cui in questi casi sono costretti gli insegnanti. Il risultato è stato l’aumento (anziché la diminuzione) dei ritardi. Nel momento in cui si è dato un prezzo al ritardo, i genitori hanno smesso di sentirsi in colpa e hanno adottato una logica di convenienza. Può non essere un male, ma l’episodio dimostra che dare un prezzo al servizio non è indifferente, bensì sostituisce una logica con un’altra.
Analogamente, consentire il line-standing per assistere alle sedute del Congresso vuol dire permettere di partecipare soltanto a chi può pagare per questo servizio, quindi assegnare una tariffa a un evento fondamentale nella vita democratica del Paese.
Mettere qualcosa sul mercato significa trattarlo come una merce, cioè modificarne la percezione, corromperne il senso originario. La donazione del sangue, per esempio. È gratuita e chi la compie lo fa con spirito civico e solidaristico. Donare il sangue fa stare bene, fa sentire bravi cittadini. Se però la donazione del sangue fosse a pagamento, allora cambierebbe la percezione del gesto, col risultato che probabilmente chi dona ora non lo farebbe più, mentre altre persone venderebbero il loro sangue per necessità e quindi non in piena libertà, ma sotto costrizione.
Prendiamo il caso di un sondaggio compiuto in Svizzera nel ’93, riguardo alla disponibilità della popolazione locale a ospitare un sito per le scorie nucleari. La maggioranza dei cittadini si era detta favorevole per puro senso di responsabilità. La ripetizione del sondaggio con la previsione di un incentivo monetario ebbe come risultato una riduzione, anziché un aumento del consenso. La popolazione era d’accordo finché le si chiedeva di farlo come atto civico, lo era meno se doveva acconsentire per soldi. Meglio è, in questi casi, muoversi sul terreno della socialità, e quindi coinvolgere la cittadinanza locale nelle scelte e ricompensarla con la stessa qualità di beni che le si chiede, cioè con utilità collettiva, ad esempio con l’apertura di una biblioteca, di un parco pubblico o di una scuola. Il pensiero corre veloce alla Tav in Val di Susa.
Il mercato non è neutrale quindi, bensì, assegnando un prezzo, altera l’oggetto dello scambio, lo riduce a merce, degradandolo. “Prima di decidere se un bene debba essere allocato dai mercati, dalle code o in qualche altro modo, dobbiamo decidere che tipo di bene sia e come debba essere valutato.”
Non sempre il mercato è la soluzione migliore. Le ammissioni universitarie è opportuno che avvengano sulla base del merito, per esempio; il trattamento dei malati al pronto soccorso previa valutazione del bisogno; la selezione dei giurati tramite estrazione casuale.
Inoltre, man mano che il denaro arriva a comprare più cose, la distribuzione del reddito e della ricchezza assume un’importanza via via maggiore. In un mondo disuguale, avere i soldi fa sempre più la differenza.
Ecco perché l’economia non può prescindere dalla valutazione morale. Il discorso non è se il mercato funziona o meno o come farlo funzionare meglio. Esistono situazioni in cui il mercato, pur essendo la soluzione più efficiente, non è la soluzione migliore. Se l’economia è diventata la scienza degli incentivi allora bisogna fare i conti col fatto che gli incentivi non si sommano indifferentemente. Alcuni, quelli estrinseci come il compenso in denaro, possono erodere gli altri, che sono intrinseci e coincidono con la convinzione o la valutazione morale nel fare o volere qualcosa. I primi si esauriscono con l’uso, i secondi con l’uso si coltivano e autoalimentano
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