di Renzo Baricelli. I risultati delle elezioni amministrative francesi ci richiamano a guardare in faccia, senza infingimenti la realtà economica, sociale, culturale e politica dei paesi dell’Unione europea e dell’Italia in particolare.
Per fare questa operazione verità occorre almeno una precondizione cioè sbaraccare tutta l’impalcatura ideologica messa in piedi dal sistema del potere capitalistico.
So che qui in Italia è diventato tabù: infatti anche solo nominare l’esistenza di un sistema di potere capitalistico e subito c’è una reazione mirata a bloccare sul nascere una riflessione seria proprio sulle nefandezze del sistema del potere capitalistico così come si manifesta oggi.
E’ evidente a tutti che: in Italia e in Europa ci sono ingiustizie sempre più grandi e diffuse; ci sono milioni, molti milioni, di uomini e donne senza lavoro e senza reddito e molti altri milioni di persone con lavoro e reddito molto ma molto precario.
Sempre più vasto il numero di persone che pur lavorando magari dieci ore al giorno non guadagnano abbastanza per pagare un affitto o il mutuo di un modestissimo appartamento. Siamo alla nuova schiavitù, sotto i limiti della sussistenza.
Questa è la prospettiva che offre il sistema: se la maggioranza dei cittadini viene convinta che non ci sono altre soluzioni, il sistema impone questa situazione e lo fa in nome della democrazia. Chi viene sacrificato deve rassegnarsi. Se questi sono i risultati di un sistema politico che si proclama democratico, non si può poi sorprendersi se un numero crescente di giovani, di lavoratori e di cittadini si allontanano dalla politica e rinunciano alla partecipazione oppure si affidano (disperatamente) a singoli personaggi.
Possiamo gridare che sono populisti, che sono di destra, che sono neofascisti, sappiamo però che questo non basta. Tutti i giorni il sistema di potere del capitalismo reale ci inculca che le responsabilità sarebbero dei pensionati egoisti e dei lavoratori troppo “garantiti” e “privilegiati”. E ci inculca anche che per uscire dalla crisi bisogna essenzialmente: tagliare ancora più pesantemente il sistema pensionistico che costa troppo ed è insostenibile ; cancellare i diritti delle persone che lavorano; ridurre il costo del lavoro cioè la massa del salario.
In sostanza non prospettano il superamento del precariato e delle paghe insufficienti per vivere ma indicano come necessario il loro allargamento. Anzi praticano selvaggiamente questa linea. In più, per dirla tutta, ci inculcano (e uso correttamente il verbo inculcare) come sia positivo e necessario tagliare la spesa pubblica e ci hanno (invece di inculcato) diciamo “convinto” che i lavoratori del pubblico impiego sono una massa di privilegiati nullafacenti, colpevoli del debito pubblico e della troppa burocrazia.
E mentre noi corriamo dietro a queste cose il sistema di potere capitalistico tiene nascoste le sue responsabilità e continua a imporre le sue scelte. Insomma se c’è troppa corruzione ci devono essere troppi corruttori. Se c’è troppa evasione fiscale ci devono essere troppi evasori. Se ci sono troppi sperperi ci deve essere troppa gente che sperpera perché si appropria di un sacco di soldi a scapito di tutti gli altri. Ragionare in questo modo non significa fare del moralismo ma soltanto mettere le cose con i piedi per terra.
Uscire dalla crisi deve significare più uguaglianza e più giustizia sociale; più partecipazione democratica. Guardare in faccia ai più grossi e impellenti bisogni e individuare chi deve e può essere chiamato in causa perché siano date soluzioni.
Evidentemente andranno individuate le controparti, chiamiamoli padroni, chiamiamoli interlocutori o come volete obbligandoli a non giocare allo scaricabarile delle responsabilità. I lavoratori, i cittadini hanno il diritto/dovere democratico, in Italia sancito dalla costituzione, di lottare affinché il sistema economico e di potere promuova le soluzioni ai problemi vitali di ogni ceto della popolazione, compresa la parte più svantaggiata che non può essere ulteriormente emarginata e lasciata a se stessa. Perché siano effettivamente realizzati il diritto al lavoro, alla casa, alla salute, allo studio, i diritti dell’infanzia e dei ragazzi e il diritto a una vecchiaia dignitosa.
Ci vuole un modello di società diverso da quello vigente? Dire che non è possibile vuol dire autocondannarsi a questa situazione.
Per chiarezza voglio dire che non si può pensare a vecchie strade ma trovarne delle nuove che non possono segnare passi indietro della libertà, dei diritti sociali, dei poteri che i lavoratori devono avere nella determinazione delle politiche dello stato ad ogni livello.
Mettere la ricerca della strada nuova all’ordine del giorno delle giovani generazioni e dei lavoratori anche di quelli dei nuovi settori produttivi e delle più elevate professionalità’, è compito grande di una nuova sinistra.