di Angelo Gerosa.
In queste ore si sta consumando la frattura tra i parlamentari PD ed i numeri dei fuoriusciti potrebbero essere sufficienti per costituire nuovi gruppi parlamentari sia alla camera dove occorrono 20 deputati che al senato dove occorrono 10 parlamentari, e quindi evitare una poco onorevole confluenza nel gruppo misto.
Circolano già i nomi dei 12 senatori pronti ad abbandonare il partito: Gotor, Fornaro, Migliavacca, Pegorer, Corsini, Casson, Dirindin, Guerra, Gatti, Sonego, Ricchiuti, Manconi.
Alla Camera la situazione è un poco più complicata in quanto i deputati sicuramente in uscita sarebbero solamente 13 (Bersani, Stumpo, Zoggia, Giorgis, Agostini, Leva, Albini, Cimbro, Mugnato, Murer, Bossa, Fontanelli, Fossati) e per costituire il gruppo anche a Montecitorio ne servirebbero almeno altri 7.
Si spiega così l’interesse con cui i bersaniani guardano alla decina di deputati di SEL che non intenderebbero aderire a Sinistra Italiana (Scotto, Bordo, Ferrara, Piras, Quaranta, Melilla, Fava, D’Attorre, Nicchi, Duranti).
Quella tentata da Bersani e Scotto si profila come una operazione aritmeticamente semplice ma politicamente complicata in quanto per gli ex sellini significherebbe passare armi e bagagli dall’opposizione alla maggioranza che sostiene il governo Gentiloni (ed il titolare della Farnesina Alfano).
Di questa complicata vicenda vi sono dei numero che paiono rappresentare molto bene il profondo travaglio vissuto dal centro sinistra in questi anni.
Quando si votò, il 24 febbraio 2013, Bersani era segretario di un partito che elesse 401 parlamentari e candidato premier di una coalizione che ne elesse 468. Ora ne guida 25, che, cannibalizzando gli ex alleati di SEL, potrebbero diventare 35.