Paese: ripresa? solo boutade

foto dal sito de il Manifesto

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Bivio a sinistra, ridurre il danno o unire il fronte

—  Aldo Carra, 24.3.2015

Un po’ di verità. I numeri della crisi dicono che siamo ben lontani dall’uscita dal tunnel, nonostante l’euforia del governo. Occorre fare un salto di qualità, imporre un’agenda sul futuro del paese

Un vento di eufo­ria sof­fia in Europa. La liqui­dità atti­vata dal Quan­ti­ta­tive easing favo­rirà l’erogazione di pre­stiti alle imprese, la paral­lela sva­lu­ta­zione dell’euro le espor­ta­zioni verso le aree del dol­laro, la dimi­nu­zione dei prezzi del petro­lio abbat­terà i costi di pro­du­zione e di tra­sporto. A que­sta straor­di­na­ria com­bi­na­zione di fat­tori espan­sivi, in Ita­lia, si dovreb­bero aggiun­gere gli effetti delle misure di dere­go­la­zione del mer­cato del lavoro e dei forti incen­tivi alle imprese per­ché assu­mano avendo la cer­tezza di poter licen­ziare dopo con grande faci­lità. Qual­cuno arriva a pre­ve­dere una pos­si­bile «bolla di lavoro», tutti pre­ve­dono la ripresa.

In realtà la glo­ba­liz­za­zione dei mer­cati, la dua­liz­za­zione del mondo in aree che mar­ciano con ritmi di cre­scita for­te­mente dif­fe­ren­ziati e la fine della ten­denza allo svi­luppo lineare di lungo periodo, hanno reso obso­leti i modelli pre­vi­sio­nali e non a caso essi sba­gliano sem­pre di più e sem­pre per aver soprav­va­lu­tato la cre­scita pre­vi­sta. Ma aste­nersi dalla ten­ta­zione di dare i numeri è dif­fi­cile per­ché essi, nella società della comu­ni­ca­zione in tempo reale, stanno diven­tando sem­pre più impor­tanti. Non tanto per misu­rare «a poste­riori» gli effetti delle scelte poli­ti­che fatte, ma per­ché essi svol­gono due fun­zioni pre­cise: ser­vono ad influen­zare i com­por­ta­menti dei con­su­ma­tori e degli impren­di­tori, a «creare fidu­cia»; ser­vono, soprat­tutto, a creare consenso.

E’ per que­sto che si vede in giro una grande voglia di gri­dare alla ripresa prima che essa si mani­fe­sti, per giu­sti­fi­care le scelte fatte, far dige­rire la ridu­zione dei diritti come prezzo neces­sa­rio da pagare, avere, così, mano libera per pro­se­guire sulla strada intra­presa. Insomma è comin­ciata una vera e pro­pria guerra dei numeri nella quale un aumento del Pil del + 0.1% — sola­mente «pre­vi­sto» e quindi con un mar­gine di errore da –0,1 a +0,3 — diventa ripresa ed un aumento di 11 mila occu­pati, pur in pre­senza di un’ulteriore dimi­nu­zione di quelli gio­vani, diventa «la svolta buona». E siamo solo alle prime scher­ma­glie di un bom­bar­da­mento quo­ti­diano che si farà sem­pre più martellante.

Come affron­tare que­sta nuova fase? Innan­zi­tutto, penso, facendo un’operazione verità sui numeri dell’economia.

Da quando è comin­ciata la crisi l’Italia ha perso il 9% del Pil. Tra i 28 paesi Ue è quella che ha perso di più supe­rata solo dalla Croa­zia che ha perso il 10,6%. Ma la crisi è stata acqua sul bagnato: negli anni pre­ce­denti, dal 2000 al 2007, la cre­scita ita­liana era stata del +8,5%, quella media euro­pea era stata due volte tanto (+17,1%). Quindi un declino che viene da lon­tano: venti anni fa il Pil ita­liano era pari al 14,6% di quello dei 28 paesi Ue, oggi è pari all’11.7%. Il nostro Pil per abi­tante oggi è infe­riore dell’8% rispetto a quello di quin­dici anni fa ed è tor­nato al livello di venti anni fa. E par­liamo di red­dito medio dando per impli­cito che, essendo nel frat­tempo aumen­tate le disu­gua­glianze, alcuni avranno visto aumen­tare i loro red­diti, altri, di con­se­guenza, crollare.

Natu­ral­mente gli effetti di que­sto declino eco­no­mico si sono pro­iet­tati sull’occupazione: durante la crisi è dimi­nuita in Ita­lia del –3,5%, il dop­pio di quanto è acca­duto in Europa ( –1,8%). E che dire dei tassi di occu­pa­zione? Prima della crisi era infe­riore a quello medio euro­peo di 6,6 punti, adesso lo è di 8,5 punti. Quello fem­mi­nile era infe­riore di 11,5 punti, adesso il diva­rio è salito a 12,3 punti. Quello dei gio­vani fino a 24 anni era infe­riore di 12,5 punti, adesso lo è di 15,9 punti. I gio­vani occu­pati sono oggi il 16,3% in Ita­lia ed il 32,2% in Europa. C’è, per­ciò, un diva­rio enorme con l’Europa. C’era anche prima, ma è ulte­rior­mente aumen­tato con la crisi. Que­sto vale per l’Italia, ma anche per gli altri paesi del Sud Europa.

L’Europa di oggi è molto meno Europa di dieci anni fa e men­tre nel mondo le disu­gua­glianze tra paesi ten­dono a dimi­nuire per­ché le grandi aree prima arre­trate cre­scono più dei paesi svi­lup­pati, que­sto non accade per i paesi del sud dell’Europa.

Un feno­meno ana­logo si è regi­strato, poi, all’interno del nostro paese. Gli occu­pati al centro-nord sono, negli anni della crisi, rima­sti sta­zio­nari, quelli al sud sono dimi­nuiti da 6 milioni e mezzo a 5 milioni nove­cen­to­mila. In sostanza tutta la fles­sione di occu­pati si è con­cen­trata nel mez­zo­giorno d’Italia. L’Italia si è allon­ta­nata dall’Europa, il mez­zo­giorno si è allon­ta­nato dall’Italia.

A que­ste disu­gua­glianze ter­ri­to­riali si sono affian­cate quelle gene­ra­zio­nali. Gli occu­pati gio­vani erano, nel 2007, 1 milione 500.000, sono adesso solo 900 mila. Natu­ral­mente non tutti sono col­piti allo stesso modo e le disu­gua­glianze, così, si pro­pa­gano con un effetto mol­ti­pli­ca­tore di segno oppo­sto a quello teo­riz­zato da Key­nes. Anche per que­sto le per­sone a rischio povertà sono tor­nate ai livelli di dieci anni fa. Ci siamo sof­fer­mati solo su feno­meni quan­ti­ta­tivi, ma non dob­biamo dimen­ti­care, come dice il Rap­porto Bes– Istat 2014, che «nel campo della salute col pro­trarsi della crisi aumen­tano le malat­tie del sistema ner­voso, peg­giora lo stato psi­co­lo­gico, si dete­rio­rano abi­tu­dini impor­tanti per una migliore salute…e, nel campo sociale, si regi­strano rica­dute nega­tive come la ridu­zione della par­te­ci­pa­zione ad atti­vità cul­tu­rali, la par­te­ci­pa­zione sociale, il peg­gio­ra­mento delle rela­zioni sociali».

Que­sta è la situa­zione sociale ed eco­no­mica dell’Italia di oggi. Pro­iet­tando nei pros­simi dieci anni le pre­vi­sioni di cre­scita dei diversi paesi euro­pei se ne ricava che le distanze dall’Europa con­ti­nue­ranno a cre­scere e che saremo ancora lon­tani dai livelli di venti anni fa. Non so se così l’Europa andrà, come ripete Ste­fano Fas­sina, a sbat­tere, noi cer­ta­mente sì per­ché l’Italia si sta muo­vendo all’interno di com­pa­ti­bi­lità e logi­che che non ci per­met­te­ranno di fare il salto neces­sa­rio per avvi­ci­narci, invece di allon­ta­narci, dall’Europa.

Ed allora tor­niamo ai numeri ed arri­viamo alla sini­stra, sociale e poli­tica. Dicia­mo­celo cru­da­mente: stiamo subendo una pesante scon­fitta. La gene­rosa resi­stenza a difesa dei diritti è stata pie­gata, l’assetto isti­tu­zio­nale e poli­tico mar­cia verso ten­denze accen­tra­trici che, in nome dell’efficienza, con­tra­stano con l‘idea di demo­cra­zia par­te­ci­pata per la quale abbiamo lot­tato, l’idea di «Piano del Lavoro» della Cgil per affron­tare diver­sa­mente la crisi non ha tro­vato ascolto.

Se la dimen­sione dei pro­blemi è quella descritta abbiano davanti a noi due sce­nari. Il primo è cer­care, come si dice nella sini­stra Pd, di ridurre il danno, il che signi­fica limi­tarci a com­bat­tere una bat­ta­glia a colpi di deci­mali, ridurci a gufare o tifare a giorni alterni. Il secondo è fare la mossa del cavallo, com­piere un enorme salto di qua­lità, alzare il livello del con­fronto, imporre un con­fronto sul futuro del paese. Per fare que­sto dovremmo costruire una piat­ta­forma per lo svi­luppo, per il lavoro, per i diritti, per il red­dito, una piat­ta­forma che con­tem­pli anche una redi­stri­bu­zione del lavoro ed un red­dito di cit­ta­di­nanza attiva per andare incon­tro alle situa­zioni più disa­giate. Una piat­ta­forma uni­fi­cante e mobi­li­tante, capace di creare uno schie­ra­mento poli­tico e sociale il più ampio pos­si­bile, e di mobi­li­tare i sog­getti sociali inte­res­sati supe­rando le bar­riere divi­so­rie del lavoro che fu. Una piat­ta­forma capace di guar­dare all’Europa, cer­cando alleanze con i paesi che hanno le nostre stesse dif­fi­coltà e con le forze poli­ti­che pro­gres­si­ste per una nuova poli­tica euro­pea di inve­sti­menti pub­blici corag­giosa. Un com­pito enorme pos­si­bile solo se si svi­luppa coin­vol­gendo i sog­getti, se si avvi­ci­nano ed uni­scono le mille facce del lavoro di oggi, di chi lo pos­siede, di chi lo cerca, di chi non ci prova più, di chi lo cerca per neces­sità vitali e di chi per rea­liz­zarsi e, soprat­tutto, nord e sud, gio­vani e non, uomini e donne.

Se il com­pito è que­sto dovremmo innan­zi­tutto rico­no­scere che da soli siamo tutti asso­lu­ta­mente ina­de­guati. Se il com­pito è que­sto dob­biamo farlo tutti, cia­scuno a par­tire da sé, cia­scuno apren­dosi agli altri, tutti con l’entusiasmo ed il corag­gio che la scelta richiede. Se il com­pito è que­sto dovremmo con­cen­trarci innan­zi­tutto sui con­te­nuti della piat­ta­forma e la Cgil, tutta, ha molto da dire in proposito.

fonte: il Manifesto
http://ilmanifesto.info/bivio-a-sinistra-ridurre-il-danno-o-unire-il-fronte/