Un tre rosso per l’AltraEuropa possibile e necessaria – elementi per una proposta di Sel
Nubi dense si accumulano sul futuro dell’Europa. E non sono solo quelle dei proclami e della retorica populista proveniente da più parti nel nostro paese. Dal primo gennaio 2014 è entrato in vigore in Italia l’obbligo di rientro dal deficit e pareggio di bilancio, dovere costituzionale al pari del dovere di promuovere i diritti civili, economici, sociali. Come sarà possibile promuovere questi ultimi quando per rispettare il Fiscal Compact sarà necessaria una manovra economica di circa 50 miliardi di euro all’anno a partire da quest’anno? E chi più di un governo di larghe intese, oggi un un’ulteriore fase di metamorfosi, può assicurare la tenuta delle “compatibilità” come ebbe a dire assai chiaramente Mario Monti?
A breve, in campagna elettorale, ci troveremo a parlare di Europa sotto il peso della Spada di Damocle del Fiscal Compact, e non in teoria, ma nella pratica, nell’ulteriore sofferenza che ciò causerà a crescenti settori della popolazione. Ci troveremo di fronte alla retorica rassicurante del premier Letta, che ci spiegherà come ormai si stia uscendo dalla fase di austerità per entrare in quella della crescita, un premier che ingaggerà bracci di ferro con chi, come Olli Rehn (possibile candidato alla presidenza della Commissione per i liberali) , vorrebbe ancora di più, ma che in fondo non contraddirà gli impegni già presi. E che si troverà quindi di fronte ad una contraddizione irrisolvibile all’interno delle cosiddette “compatibilità”: quale fase di post-austerità sarà possibile se nei fatti la ricetta dell’austerità continuerà ad esigere conti sempre piu salati? Quale ripresa, e che tipo di ripresa sarà possibile accettando quel quadro? Basta guardare il caso dell’Irlanda di recente promossa dalla Commissione e quindi uscita dal programma di “salvataggio” se di salvataggio si può trattare visto che per avere 67 miliardi di euro in aiuti c’è voluto un taglio di 30 miliardi di spesa pubblica, nuove tasse ed una riduzione dei salari del 20%.
Come ebbe a dire Etienne Balibar in un suo lucido saggio di analisi sulla crisi dell’Europa, la questione centrale oggi non è solo quella della legittimità del progetto europeo attuale, ma quella della crisi della democrazia, ed in primis l’incongruenza di nefaste scelte di politica fiscale e macroeconomica. La nostra analisi e la nostra proposta sull’Europa dovranno assumere su questo trilemma, che in sommi capi richiama lo stesso trilemma praticato dall’economista Dani Rodrik, in un suo illuminante saggio sui paradossi della globalizzazione nel quale evidenzia come non si possono perseguire tre ipotesi, quella dell’accelerazione del modello liberista, quella di un recupero della libertà di manovra degli stati, quella della democrazia reale. Rodrik alla fine fa professione di fede sulla democrazia reale. Insomma, per poter articolare una proposta per l’altra Europa, quella dei diritti, della giustizia sociale ed ambientale, quella della prospettiva federalista, avremo necessità di sciogliere questo trilemma e mettere al centro non i mercati, né il ritorno agli stati nazione, ma – come Rodrik – la democrazia reale, transnazionale e cosmopolita.
Come farlo, in maniera da contrapporre al crescente euroscetticismo e antieuropeismo un’ipotesi plausibile, praticabile ed appetibile? Come resettare il software e ricostruire l’hardware di un’Europa giusta? “System reboot” dicevano quelli di Piazza Tahrir o di Zuccotti Square.
Anzitutto sarà imprescindibile praticare una critica radicale del Fiscal Compact, del Six Pack e di tutta quella strumentazione messa in campo dalla Troika, sotto la spinta potente della BuBa e di Berlino. Una critica di merito quanto di metodo che in termini politici nostrani si traduce necessariamente in opposizione al governo di larghe intese ed alle sue prescrizioni macroeconomiche, come del resto già fatto da Sinistra Ecologia e Libertà anche più di recente in occasione del dibattito parlamentare sulla legge di Stabilità.
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