Ad Idomeni ci sono 14 mila persone bloccate al confine con la Macedonia. Con donne, uomini e bambini che dormono sotto il freddo, identificati con un numero, raggruppati in gruppi, con il cibo razionato, dove devi aspettare ore in fila per berti un concentrato da farti bastare per reggere una giornata intera. Sono bloccati da giorni: filo spinato, polizia, esercito ad impedirgli di passare il confine. Oggi alcuni, circa un migliaio, hanno deciso di provare un’altra strada: hanno provato ad aggirare la recinzione attraversando a piedi, a nuoto in alcuni tratti, il fiume Suva Reka. Tre persone non ci sono riuscite, sono morte. Una di loro era una donna incinta. Una donna incinta.
E oggi vorrei credere in Dio più di quanto abbia mai fatto in vita mia. Perché spero che quelle persone annegate ora siano in un posto bello e spensierato, un posto pieno di giochi per quel bambino e la sua mamma, un posto dove lei gli sorrida e lo guardi giocare senza preoccuparsi che una bomba gli cada in testa o che un filo spinato lo separi dalla vita. E ora, vi prego, smettetela con la storia che è colpa nostra che li invitiamo qua, che non dovevano venire, che siamo solo dei buonisti, le cooperative che mangiano, che dobbiamo pensare agli italiani. Questa storiella va avanti da quando il mondo è cominciato. Ed è la storiella con cui i potenti del mondo dividono, scatenano gli uni contro gli altri i più deboli mentre loro assistono allo spettacolo seduti sul loro divano di pelle umana. Se una donna incinta affronta un pericolo e rischia la sua vita è perché non aveva altra scelta. E se in questo Paese c’è qualcun altro che muore di fame o non ha lavoro non è colpa sua. Sono entrambe vittime di questa Europa, dei governi che pensano solo a se stessi. I nostri nonni, le nostre nonne, hanno rischiato la vita per fare dell’Europa un posto di pace. Oggi in quell’Europa muore un bimbo ancor prima di nascere. Non c’è scelta, non c’è nessun ragionamento da fare: c’è solo una parte da cui stare. Ed è quella dell’umanità. Non lasciamoci soli.
dalla pagina facebook di Marco Furfaro