La lunga crisi economica ha scavato in profondità nell’atteggiamento degli italiani nei confronti della politica. Ogni volta che si aprono le urne ne ricaviamo una nuova conferma: non solo nei dati sempre catastrofici dell’astensionismo ma anche nel modo in cui si muovono i flussi elettorali.
Leggo dichiarazioni di un tenore allarmante: “poteva andare meglio”, “paghiamo troppe liti al nostro interno e fuori”, “serve un centro-sinistra più largo”, “dove c’è il centro-sinistra classico si vince dappertutto”, “molliamo la sinistra che sa solo perdere”, “si punti sulle coalizioni”, “il Pd è l’unico argine alle destre”.
Mi chiedo come sia possibile che nel nostro Paese si sia arrivati a tanto, cioè al punto in cui il commento dei risultati elettorali coincide esclusivamente con quello sulla ricetta di un’alleanza elettorale, mentre non una parola viene spesa sui programmi con cui ci si proponeva di risolvere i problemi di territori affogati nella crisi, e resi impotenti da quel centralismo, chiamato democrazia decidente, che umilia le comunità e rende impensabile il cambiamento. Quello stesso centralismo contro il quale la ribellione si è già manifestata in tutta la sua forza con la bocciatura delle riforme costituzionali.
È davvero uno spettacolo penoso a cui noi non vogliamo partecipare. Perché? Perché noi sappiamo e vediamo che i risultati di tutte le ultime tornate sono segnati da sentimenti molto radicati, di paura, di rabbia, di incertezza rispetto al proprio futuro.
I cittadini italiani cercano una soluzione ai loro problemi, qualsiasi essa sia, purché non sia una soluzione che ha già dimostrato di non essere tale. È meglio ribadirlo: il centro-sinistra (nuovo, vecchio, largo o stretto non fa molta differenza) è per la maggioranza dei cittadini quella falsa soluzione, ovvero quella formazione che ha garantito, negli anni della crisi, la stabilità del Paese intesa come la stabilità di politiche che riducevano diritti, welfare, tutela dell’ambiente, ruolo dello Stato e con essi la qualità della vita delle persone.
Qualcuno pensa davvero che gli italiani non si siano accorti per esempio della vicenda delle banche venete? Che non si siano accorti che quei miliardi che mancano sempre per sanità, trasporti pubblici e welfare si stanno invece utilizzando per collettivizzare le perdite di banche private e privatizzare di nuovo i futuri profitti?
Il “voto utile contro” questo status quo, che fino a poco fa aveva avvantaggiato il “vaffa grillino”, oggi non basta e si trasforma in altro.
In parte perché il Movimento 5 stelle ha dimostrato, vale Roma su tutte, di non essere in grado di assumersi responsabilità di governo. E Parma docet, perché invece dove a quelle responsabilità si è risposto con efficacia, il sindaco che fu del movimento viene confermato, anche senza simbolo, anche senza Grillo ad arringare le folle.
In parte perché riemerge in Italia un bisogno nuovo e antico al tempo stesso: quello di “ordine, disciplina e tradizione”, da sempre cavallo di battaglia delle destre. Un riemergere su cui dobbiamo concentrarci, come il peggiore pericolo per la nostra democrazia e per la nostra libertà. Esso si nutre del razzismo che è figlio dell’insicurezza sociale, della povertà diffusa, della diseguaglianza dilagante e dell’assente investimento politico nel dialogo, non sempre semplice, fra culture e valori diversi. Si nutre della paura per il terrorismo che insanguina l’Europa
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