Muri di ieri, muri di oggi

Il muro di Ceuta © LaPresse

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La costru­zione della grande mura­glia cinese fu ini­ziata nel 700 a. C. per con­clu­dersi nel 206 a.C. per volere dello zar Qin Shi Huang.
Ser­viva a difen­dersi dalle incur­sioni dei popoli con­fi­nanti, soprat­tutto dai mon­goli. Ma non risultò molto effi­cace — anche se misu­rava 6.350 metri, si tro­vava sem­pre un punto vali­ca­bile e non coperto. In pic­colo fu nei secoli imi­tata da molte for­tezze e castelli sem­pre per impe­dire l’entrata ai non desi­de­rati o ai nemici. Dopo la seconda guerra mon­diale un muro venne eretto a Ber­lino per sepa­rare le due Ger­ma­nie. Fu abbat­tuto con grande giu­bilo il 9 novem­bre del 1989 e la Ger­ma­nia tornò ad essere di nuovo una sola.

Oggi l’Europa sta eri­gendo nuovi muri. L’Europa comu­ni­ta­ria, l’unica che si ritiene degna di por­tare que­sto nome. Altri paesi — per lo più quelli for­ma­tisi dopo la dis­so­lu­zione della Jugo­sla­via, ecce­zion fatta per la Slo­ve­nia e la Croa­zia, — non sono più «Europa», sono un con­ti­nente nuovo ancora senza nome.

Tra poco anche la Gre­cia, la culla demo­cra­tica di tutti gli altri, il paese dove la demo­cra­zia è nata men­tre nei paesi oggi «svi­lup­pati» gli uomini vive­vano ancora sugli alberi, non sara più «Europa», con buona pace del Fondo mone­ta­rio internazionale.

Anche la grande Rus­sia sem­bra non essere più Europa – il muro verso di lei sono le san­zioni – che dan­neg­giano più noi che i russi – e la Nato che la cir­conda da tutte le parti appro­fit­tando dell’ospitalità dei paesi «ven­di­ca­tori». (Ricor­dia­moci il ter­rore quando la marina sovie­tica si era avvi­ci­nata alle coste di Cuba!).

L’Ungheria, un paese di estrema destra, chiede che si costrui­sca un muro tra il suo con­fine e quello della Ser­bia. L’esempio sono i muri in Texas verso il Mes­sico, quelli a Bel­fast ovest che divi­dono i cat­to­lici dai pro­te­stanti, di Nico­sia, i tur­chi dai greci e soprat­tutto il muro che Israele ha eretto a Ramal­lah per sepa­rare i ter­ri­tori pale­sti­nesi dai «pro­pri». Muri che ser­vono a difen­derci dagli «infetti» che noi abbiamo con­ta­mi­nato. Sono di Bel­grado, ma vivo da ita­liana in Ita­lia da quasi cinquant’anni. Ho mili­tato in un par­tito che oggi non esi­ste più (il Pci), sono stata l’interprete anche di Enrico Berln­guer. Ho cer­cato di dif­fon­dere la cul­tura del mio paese (allora la Jugo­sla­via) tra­du­cendo le opere degli scrit­tori più impor­tanti. Avendo parenti in tutte le regioni delle ex repub­bli­che, sono etni­ca­mente «sporca» come si direbbe oggi. Ma sono con­tenta, il mio mondo è il Mondo anche se le radici contano.

I grandi paesi come la Fran­cia e l’Inghilterra (per non par­lare degli Stati Uniti e del disa­stro pro­vo­cato negli anni recenti in Iraq, Libia ecc.) non vogliono la nuova ondata degli immi­grati dopo aver sfrut­tato fino all’osso le colo­nie. Al con­fine di Ven­ti­mi­glia arri­vano cen­ti­naia di stra­nieri al giorno: sono sbar­cati con le loro misere cose in Ita­lia (pur­troppo la sua geo­gra­fia lo per­mette) ma vogliono andare oltre; spesso hanno già i parenti in altri paesi euro­pei con i quali si vor­reb­bero congiungere.

Nel periodo dei bom­bar­da­menti «uma­ni­tari» della Ser­bia per rag­giun­gere la fami­glia che viveva a Bel­grado, si andava a Buda­pest e poi con un pull­man sgan­ghe­rato si pro­se­guiva per la capi­tale. Al con­fine i finan­zieri non erano pro­prio gen­tili, spesso si doveva dar loro qual­cosa per essere lasciati in pace. Dice­vano: «Avete vis­suto bene sotto Tito, ora siete voi ad avere bisogno!».

Asot­tha­lom è una cit­ta­dina unghe­rese al con­fine con la Ser­bia. È qui soprat­tutto che si assie­pano immi­grati da diversi paesi afri­cani e asia­tici in fuga dalle guerre e dalla mise­ria. Qual­che con­ta­dino unghe­rese porge loro un bic­chier d’acqua e un po’ di pane. Sono esau­sti sotto il sole di giu­gno dopo aver fatto migliaia di chi­lo­me­tri a piedi e negli scafi stra­pa­gati dove hanno visto morire i pro­pri com­pa­gni. Cimi­tero azzurro è il poema del serbo Milu­tin Bojic dedi­cato ai caduti serbi nel Medi­ter­ra­neo nella prima guerra mon­diale. Il sin­daco dice che la cit­ta­dina ha 4.000 abi­tanti e che da qui hanno tran­si­tato 40 mila ille­gali. Arri­vano in Ser­bia dall’Albania e dal Kosovo e poi capi­scono che non c’è molto da aspet­tarsi da un paese già povero. E ora sono qui a cer­care di andare oltre, oltre e ancora oltre. Spesso non sapendo nem­meno dove, per ripren­dere anche un bri­ciolo della vita che hanno perduto.

Sono stati abbat­tuti i muri dei campi di con­cen­tra­mento e inter­na­mento, ci siamo tutti sen­titi più uomini. Ma i nuovi muri ci ripor­tano indie­tro. Capi­sco anche la gente che ha paura dell’«altro»: rubano, puz­zano, sono vio­lenti. Ma dopo giorni e set­ti­mane senza man­giare, noi saremmo diversi? Ora che l’unico di sini­stra sem­bra essere papa Fran­ce­sco, che ci richiama a sco­prire un po’ di uma­nità in noi, come con­vin­cere i grandi ad aiu­tare i «pic­coli» che spesso non con­si­de­rano nem­meno umani? Una scrit­trice croata molto pole­mica (Vedrana Rudan) pro­fe­tizza che un giorno guar­da­remo i bam­bini ame­ri­cani star male e non ci dispia­cerà dopo aver visto i volti dei bam­bini pale­sti­nesi, siriani, ivo­riani, nige­riani… Certo, un mondo così ingiu­sto dovrà esplo­dere. E allora si dovrà rico­min­ciare. Putroppo non sarò in grado di dare il mio contributo.

* scrit­trice e tra­dut­trice, ha tra­dotto in ita­liano tutte le opere di Ivo Andric

fonte: il Manifesto

http://ilmanifesto.info/muri-di-ieri-muri-di-oggi/