Morti bianche: 13.000 in 10 anni una strage, #BASTAMORTISULLAVORO

#BASTAMORTISULLAVORO
Tredicimila morti sul lavoro in dieci anni, una strage di cui il contratto di governo non si occupa
C’è bisogno di risposte straordinarie: dalle Istituzioni, dalla società e dal mondo dell’informazione

SIMONA GRANATI – CORBIS VIA GETTY IMAGES
ROME, ITALY – APRIL 27: Stop Deaths at work! The trade unions CGIL, CISL and UIL in Piazza Santi Apostoli ask for safety at work with a flash mob wearing masks and white suits on a scaffolding during the Safe Day 2018, on April 27, 2018 in Rome, Italy. (Photo by Simona Granati – Corbis/Corbis via Getty Images,)

Non c’è molto da girarci intorno. I numeri di morti e infortuni sul lavoro ci raccontano di una vera e propria emergenza nazionale. Più di 1.000 morti nel 2017 e oltre 220 morti nei primi mesi del 2018, ma aprile e maggio hanno fatto segnare un alto numeri di infortuni anche mortali.

In definitiva, negli ultimi 10 anni 13mila morti. Sia chiaro, parliamo di casi di infortuni gravi e mortali denunciati e quindi conosciuti; ma sappiamo per certo che nel sottobosco del mondo del lavoro accade di tutto e spesso accade in un cono d’ombra in cui né le istituzioni né le parti sociali arrivano a fare luce.

Non c’è una idea chiara dei numeri di infortuni e morti in quel cono d’ombra, ma possiamo immaginarne la dimensione se già i numeri ufficiali ci raccontano di un fenomeno in aumento, di una vera e propria strage che ridefinisce il modo stesso con cui si intende il lavoro.

Basta parlare con i lavoratori coscienti e consapevoli di vivere in un ambiente di lavoro per nulla sicuro e adeguato, per rendersene conto. La frase che ho ascoltato più spesso in questi mesi è stata: “Vai a lavoro e non sai se ritorni”. Come se andassero in un fronte di guerra.

Ancora peggiore è la sensazione che si prova a confrontarsi con le famiglie che hanno subito la morte di un parente, perché si sentono sole e private non solo dell’affetto del caro, ma anche della verità e della giustizia. Spesso non ci sono processi e quando ci sono si chiudono in un rimbalzo di responsabilità, soprattutto quando c’è di mezzo la dinamica degli appalti e dei subappalti.

E tutto avviene nel più assoluto silenzio della politica e delle istituzioni.

Trovo incredibile, per esempio, che in oltre due mesi di discussione sulla formazione del nuovo governo, fra un punto di contratto e l’altro, Salvini e Di Maio non abbiano mai nemmeno abbozzato una riflessione su questa strage di lavoratori.

È il sintomo di una malattia grave, che coinvolge tutti o quasi, e che mi fa chiedere: quanto vale comunicativamente e politicamente un morto sul lavoro? Quanto valgono un migliaio di morti all’anno?Certamente meno del matrimonio di un principe di casa Windsor, a vedere le cronache delle ultime 48 ore.

E invece c’è urgente bisogno di mettere in fila le cause di questa guerra permanente. Non un generico “parlarne”, ma una indagine approfondita, che in molti casi deve diventare un vero e proprio atto di accusa pubblico a un sistema che ha scelto di trattare i lavoratori come merce e la sicurezza come inutile elemento accessorio di un mondo, quello del lavoro, che deve solo produrre, a qualunque costo e a qualunque condizione.

Si deve dire con chiarezza estrema che se si stacca una fune da un gru e ammazza un ragazzo di 28 anni all’Ilva di Taranto, i responsabili sono coloro che stanno consentendo che interi settori produttivi in questo Paese siano dominati dalla dinamica del subappalto, che strozza le imprese più piccole (mentre qualcuno fa grandi affari) e fa ricadere sui lavoratori tutti i costi. Vengono pagati poco, a volte a nero, hanno contratti precari, senza controlli e sono sottoposti a uno stress costante per poter mantenere il posto di lavoro e rispettare i tempi folli delle commesse che ricevono.

È il cottimo 2.0, bellezza.

Bisogna dire con estrema chiarezza che la mancanza di controlli uccide tanto quanto la precarietà e le dinamiche dei subappalti. Negli ultimi 10 anni, per esempio, gli ispettori delle ASL che devono controllare, sono passati da 5mila a meno della metà. E si pretende da loro che controllino 3.3 milioni di imprese. Una follia: i controlli sono quasi impossibili e questo lo sanno praticamente tutti.

Per altro, il nostro sistema di controllo e prevenzione è talmente frammentato da rendere complessa qualsiasi valutazione: ispettori del lavoro, Ispels, le Asl, il ministero dello Sviluppo economico competente in alcuni settori produttivi, le Regioni e i vigili del fuoco. Ognuno ha un pezzo di competenza. Confusione, poche risorse, zero investimenti e tagli, tanti tagli. Il risultato è quello che vediamo.

A tutto ciò si accompagna un grande problema culturale che va immediatamente affrontato, a partire dalle scuole (taccio per motivi di spazio della vergogna dei percorsi di alternanza scuola-lavoro, anche quelli spesso non sottoposti a controlli, prevenzione e verifica)…

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