La manifestazione dopo il rogo a Centocelle – immagine tratta da Il Manifesto
Giuliano Santoro
In cima a una scala mobile, sul tetto del fabbricato, c’è un parcheggio. Qui saltuariamente attraccava il camper della famiglia Halilovic, rom di nazionalità bosniaca. Ed è sempre qui, in questa terrazza di asfalto che affaccia sul quadrante tra via Prenestina e Casilina, che le fiamme sono divampate alle prime ore di ieri, tra le 3 e le 4. Dentro al veicolo si trovavano undici persone.
In tre non sono riuscite a fuggire e sono morte sul colpo: sono la ventenne Elisabeth e le sorelline Francesca e Angelica, di 8 e 4 anni. La scala mobile è quella del centro commerciale Primavera. È una specie di varco postmoderno tra due luoghi del Novecento romano.
I gradini semoventi seguono curiosamente la linea discendente che tracciano i palazzoni del Casilino 23, disegnati negli anni Sessanta dal maestro Ludovico Quaroni. Da qui affondano dentro il cemento, passano in mezzo a supermercati e negozi in franchising e infine conducono ad una porta a vetri scorrevole che sbuca in un altro pezzo di mondo.
È il sobborgo di Roma sud-est, dove assieme al Forte Prenestino, il centro sociale occupato più vecchio di Roma e più grande d’Europa, tra mille contraddizioni prosperano aperitivi vegani, tacos take away e spritz a buon mercato.
La casa itinerante degli Halilovic non staziona qui in modo permanente. Probabilmente la famiglia va e viene, per non dare nell’occhio e per non essere cacciata dalla vigilanza del centro commerciale. Pare proprio che dal furgone attrezzato avessero gettato gli ormeggi poche ore prima della strage. Virginia Raggi arriva verso le 10 del mattino. I curiosi, non tanti, scuotono la testa di fronte alle lamiere fumanti. «La morte di una ragazza e di due bambine è un dolore per tutta la città», dice la sindaca. Una signora ripete il mantra del razzismo medio, quello che circola nei preserali in diretta dal paese che odia: «Ormai sono troppi…». Ma viene smentita da un anziano di passaggio: «Se non sai cos’è la fame non ti permettere di giudicare questa gente».
Le panchine in mezzo al verde, ad abbellire il parcheggio del rogo, sono da qualche tempo luogo di ritrovo di comitive di giovanissimi, tra di loro c’è qualcuno suggestionato dai simboli dell’estrema destra. Ma nessuno pensa veramente che qui siano capaci di tanto. Le prime ore lasciano spazio a qualche indiscrezione proveniente dai vigili del fuoco: «Quando le fiamme divampano così velocemente è difficile pensare all’evento colposo», profetizzano ufficiosamente basandosi sulla loro esperienza.
Poi arriva, avvolta nel silenzio sotto il sole, la macchina della polizia scientifica. Il trolley dell’attrezzatura tecnica che scivola sulla strada precede la prima ammissione: c’è del liquido attorno al rudere del veicolo e quel che ne rimane letteralmente viene portato via raccogliendo la cenere con la paletta. È un attentato. Una cosa che pare troppo grande a anche per Centocelle, per la sua gente che ne ha viste tante e che mostra la pazienza stoica dei quartieri popolari.
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fonte: Il Manifesto