Report di «Assemblea!» del 22 Aprile al Leoncavallo S.P.A.
«Cerca di vivere come pensi, altrimenti penserai come vivi» (José Mujica)
Domenica 22 Aprile al Leoncavallo SPA si sono trovate più di 50 persone, quasi tutte giovani donne e uomini, provenienti dall’intero spettro della sinistra contemporanea, da chi milita in SI, LeU, Possibile, PaP a chi ha aderito al Brancaccio per poi fermarsi lì a chi pratica la sinistra nell’associazionismo fuori dai partiti.
Siamo, nelle parole di chi ha deciso con coraggio di prendere la parola per prima, «Una generazione che ama, sogna, non ha paura».
Siamo, vogliamo diventare, una infrastruttura che metta in connessione e dialogo una nuova generazione politica divisa tra più sigle ma accomunata dalle medesime istanze e bi-sogni percepiti di provocare degli scarti politici fondamentali nelle pratiche e nelle politiche, perché la sinistra abbia futuro.
Un luogo di discussione e sperimentazione libero dagli steccati identitari e dalle stanche liturgie della sinistra.
Siamo orgogliosi del passato della sinistra, ma sentiamo la necessità ed il dovere di declinarlo in modi diversi, radicalmente nuovi, che tornino ad essere comunicativi.
Di fronte ad uno scenario dove la politica è diventata quasi una parola tabù, che allontana le persone e soprattutto i giovani alla sua sola pronuncia, abbiamo imparato che i luoghi della politica più partecipati sono sempre più spesso quelli fuori dai partiti, e con queste realtà bisogna dialogare profondamente ed apprendere da esse. Una nuova politica a sinistra passa dunque anche da una completa messa in discussione dell’utilizzo attuale degli spazi nelle nostre città, ripensandolo (la scelta del Leoncavallo S.P.A. per la prima assemblea è stata, in questo senso, una scelta felice).
Insomma il momento elettorale, eleggere un rappresentante nelle istituzioni, è un passaggio fondamentale di verifica del consenso politico fra i cittadini, ma non è e non può essere il solo modo ed il solo fine del fare politica quotidiano: se si riduce l’azione politica di un partito alla dimensione istituzionale, la sconfitta diventa automatica.
In questi anni spesso le migliori esperienze sono anzi emerse da sperimentazioni che attuando progetti di lungo periodo, slegati dalle imminenze elettorali, si sono sforzati di unire il politico al sociale, e reinterpretare il mutualismo politico adattandolo alle sfide del presente.
Diversi interventi all’assemblea hanno presentato progetti di mutualismo o indagine sociale portati avanti nelle città e nei quartieri: chi ha ideato e raccolto fondi per creare una Farmacia solidale, che raccolga farmaci in aiuto e sostegno delle persone in difficoltà, chi in uno slancio coraggioso ha anticipato i tempi costituendo autonomamente un circolo di Liberi e Uguali nel proprio municipio e contemporaneamente un’associazione, intitolata a Marielle Franco, per realizzare progetti sociali e culturali nel proprio municipio come l’attivista Brasiliana faceva nelle favelas, chi ha messo in campo da solo un’indagine sociale sul lavoro nero e precario della propria città e restituito i risultati alla cittadinanza, come strumento per creare consapevolezza attorno al fenomeno e base per sviluppare iniziative concreto di sostegno ai questi nuovi lavoratori sfruttati.
Iniziative che sono a disposizione, per essere attraversate da chi voglia contribuire ad esse e per essere replicate nelle altre città. Iniziative che tornano a far dialogare concretamente e direttamente la sinistra con le fasce sociali di cui si erge a difensore ma da cui è sempre più distante ed incompresa.
Da molti interventi è emersa la difficoltà della congiuntura politica, che costringe ad aggrapparsi ad ogni appiglio che capiti a tiro, ma nella consapevolezza che solo con un nuovo slancio si riuscirebbe a dare un cambio di passo significativo.
A partire dall’apertura e dalla partecipazione. Aprirsi, aprirsi, aprirsi alla partecipazione senza preclusioni, soprattutto senza avere paura di dovere poi rispettare la volontà popolare.
Cercare di toglierci le etichette che indossiamo quotidianamente e che ci identificano e ci distanziano al primo contatto l’uno con l’altro è il primo passo per affrontare una fase nuova, per compiere un passo che appare allo stesso tempo tanto semplice quanto arduo: appacificarci come popolo di sinistra. Proseguendo nello spirito della nostra assemblea, di mettere in discussione tutto, ma cercare anche l’unità oltre le divisioni.
Perché oltre le differenze partitiche e politiche, le ricette proposte provengono, perlopiù, da un bagaglio comune, e da domande che valgono per tutti: Perché abbiamo fatto breccia fra i giovani universitari ma non fra i giovani operai?
Oggi CasaPound, quietamente ma sistematicamente, fa proselitismo nelle scuole superiori fra le liste apolitiche offrendosi di pagare le spese elettorali ai ragazzi; Salvini lancia tormentoni che noi deridiamo, come la famosa «ruspa», che però fra le nuove generazioni diventano facilmente virali mentre noi guardiamo altrove.
L’impressione è che prima delle risposte che ci siamo dati, siano state le domande ad essere sbagliate.
Ricercare, dunque, i luoghi nei quali scoprire le giuste domande e risposte adeguate.
Nell’intelligenza e l’autorganizzazione di chi vive quotidianamente l’iper-precarietà, ad esempio, c’è la possibilità di leggere il presente. Nella capacità di difendere idee semplici ma d’impatto immediato e concreto per i cittadini, di ritrovare la concretezza di risolvere i piccoli grandi problemi quotidiani per tornare a tessere un dialogo autentico con gli elettori.
Con l’ambizione di mostrare la matrice comune dietro ai singoli problemi scollegati, di ricomporre un mosaico di senso per la sinistra.
Queste le prime pillole, sparse, confuse, che i tanti interventi spontanei di domenica hanno messo in luce. Con l’ambizione di diventare percorso, per realizzare quella infrastruttura che ci siamo proposti di essere. E la concretezza di convocare una seconda assemblea, a stretto giro, per progettare una prima iniziativa tematica che declini le pratiche e gli approcci politici innovativi teorizzati sino ad ora.
«Non ci avete vinto, siamo ancora liberi di solcare il mare» (Q)