Il sindaco uscente può legittimamente chiedere di essere ricordato come il “liberatore” di Milano, dopo decenni di malgoverno dell’affarismo berlusconiano e ciellino. Anche attraverso l’esempio della rinuncia, Pisapia aspira a realizzare un’impresa mai riuscita a nessuno dei suoi predecessori, da Carlo Tognoli a Gabriele Albertini: diventare protagonista milanese nella politica nazionale, innestandovi il modello sperimentato quattro anni fa, quando proprio a lui, il modesto Pisapia incapace di alzare la voce in un comizio, riuscì l’impresa di liberare Palazzo Marino dopo vent’anni di egemonia assoluta della destra.. Da professionista della politica navigato, in questi anni Pisapia ha sempre mantenuto un legame di collaborazione con Renzi; dialogo mai interrotto, neanche quando altri esponenti della sua area d’appartenenza, come Vendola o Landini, iniziavano a accusare il premier di essere diventato un uomo di destra. Nel caso specifico, Pisapia non ha alcuna intenzione di aderire al Pd – rispetto al quale si è collocato più a sinistra, a Milano, in materia di diritti civili e politiche sociali – ma al tempo stesso teme le conseguenze nefaste di una eventuale scissione in quel grande partito.