Milano: una notte all’Ortomercato

Milano, una notte all’Ortomercato: gli scarichi dei camion sulle casse di frutta e verdura Milano, Un cronista di Repubblica infiltrato tra i capannoni. “La gente non sa cosa succede a mele e fragole qua dentro”. Decine di ragazzi, tutti stranieri, si arrampicano su un albero e poi balzano dentro

di MATTEO PUCCIARELLI

La cassa di arance calabresi che quasi luccicano, i limoni siciliani sono grossi come un pugno, i cavoli sembrano appena colti, i carciofi invece arrivano dalla Sardegna. Fosse solo una questione di occhio, sembrerebbe come dice lo spot: “la natura di prima mano”. Non è così ed è tutta colpa del naso: l’odore a cui non ti abitui mai e che regna sovrano è quello del gasolio dei tir. Una notte all’Ortomercato di Milano e alla fine ti sembra di essere stato a visitare l’Ilva di Taranto. Non esattamente il miglior biglietto da visita possibile per la città che ospiterà l’evento mondiale dal titolo “Nutrire il pianeta” e che in questa struttura — fatiscente — vede arrivare la frutta e verdura di tutta Italia e non solo, destinata ai mercati del territorio.

Dalle 2 alle 6 lungo il perimetro rettangolare della struttura di via Lombroso, in mezzo ai padiglioni, in questo affascinante paesone dentro la metropoli che vive di orari, regole, usi e consuetudini proprie. «Conosco gente che ha lavorato qui una vita, poi è andata in pensione e non ha resistito: è tornata lo stesso», racconta il nostro Caronte. Sarà per quel legame che si crea tra i diversi, in questo caso quelli che si fanno un mazzo così chiusi dentro un recinto vero e proprio, mentre il resto del mondo dorme. Un equilibrio sottile fra le quattro tribù che ogni notte si dividono il territorio: fornitori, facchini, grossisti e acquirenti. Poi in fondo alla catena ci sarebbero pure i consumatori, ma il pensiero verso chi al termine del percorso infinito mette i prodotti in tavola sembra davvero essere l’ultimo.

Giovanni scende dal muletto, 38 anni di lavoro, fa segno con la mano. «Ma in pensione quando ci vai?». «Eh — risponde — la Fornero mi ha rimandato di tre anni». Prende uno scottex e pulisce il vetro dalla brina, o almeno, sembra brina: invece è un impasto di quella e di smog, lo scottex ora è nero. C’è una fila perenne di camion arrivati soprattutto dal sud che aspettano di scaricare i bancali, tutti rigorosamente a motore acceso («è un diesel, è un casino spegnerlo», spiega un autista). Va avanti così per ore. Le cassette di prodotto stanno proprio lì accanto. «Guarda che schifo — le indica la “guida” — te le mangeresti mai quelle mele? Venisse l’Asl a fare un controllo, non oso immaginare… ». Il problema è la logistica interna. Scaricare la merce nell’area lontana dai padiglioni dove si fa la compravendita costa 6,33 euro a bancale; andando direttamente sotto ai punti vendita, risparmiandosi quindi il trasporto dei facchini per gli almeno 500 metri di distanza, viene 3,17 euro. Così però si intasa il traffico e si ammorba l’aria.

Pazienza, tanto alla fine al mercatino sotto casa chi lo sa che le fragole si sono beccate tutto quel Co2? Alle 4 gli ingressi si aprono anche per i compratori. Non tutti i fornitori hanno finito di scaricare e allora il traffico aumenta ancora, ci si manda a quel paese con una certa facilità, tutti hanno fretta e più aumenta quella e peggio è. È anche l’ora in cui va in scena la nota disciplina olimpionica del salto delle ringhiera. Decine di ragazzi, tutti stranieri, si arrampicano su un albero e poi balzano dentro. Per entrare ci vorrebbe un badge, ma per possedere quello devi avere un contratto e per avere un contratto devi avere un permesso di soggiorno (oltre ovviamente a qualcuno che abbia voglia di metterti in regola). Molto meglio questa sorta di “semplificazione amministrativa” che fa contenti tutti i protagonisti della faccenda. Basta far finta di nulla, cioè l’ultimo dei problemi. Alcuni abusivi fanno un lavoro considerato molto importante. Funziona così: l’acquirente entra e parcheggia nei posti a loro riservati, non sono numerati ma ognuno più o meno ha il suo. Poi va a fare il giro dell’ingrosso, compra la merce e man mano se la fa portare dai facchini al camioncino. Ecco, lì ci sono i “saltatori” e controllano che nessuno rubi le cassette scaricate. Anzi, magari le sistemano dentro.

Sarà per il buio, ma dovendo associare l’Ortomercato a un colore viene in mente il nero. Chi controlla quanti quintali di merce arrivano? Chi controlla quanta ne viene scaricata? Chi controlla quanta effettivamente viene fatturata? Impossibile, e vista la scientifica impossibilità di controllare, trionfa — appunto — il nero. «Per questo motivo la piazza è assai appetibile per riciclare il denaro. Ma insomma, non è mica un segreto», ragiona chi la sa lunga e ti ricorda di quando la secondogenita di Vittorio Mangano, lo stalliere di Arcore, qui dentro conquistò appalti milionari. Se poi siano leggende metropolitane o meno difficile dirlo, ma si racconta di come trent’anni fa all’Ortomercato ci fosse un fiorente e parallelo mercato di armi, adesso di droga.

Mohamed, un italiano quasi perfetto, alza le spalle: «Se anche sapessi non ne avrei le prove materiali». Alle 4,45 tocca prendersi un caffè al bar, qualcuno ci aggiunge un po’ di sambuca, il freddo si sente. Accanto a un tricolore ci sono quattro bottiglie di vino in bella mostra col faccione severo del Ducesull’etichetta, più confezione di caffè (“Caffè nero”, viene specificato) sempre con Mussolini. Cose che capitano, folklore. A fine visita altro bar, uno dei tre dell’Ortomercato. Adesso per un cappuccino. Ma rieccolo lì dietro, stavolta col busto, più una gigantografia con volitivo ritratto in uniforme: è sempre Mussolini. A corredo, il manifesto del partito fascista. Sarà per il buio, ma qui il nero va di moda.

fonte: la Repubblica
http://milano.repubblica.it/cronaca/2015/02/24/news/milano_una_notte_all_ortomercato_gli_scarichi_dei_camion_sulle_casse_di_frutta_e_verdura-108030032/