Franca caffa è una donna che combatte con e per gli ultimi. L’ha fatto nel consiglio comunale di Milano con il Partito della Rifondazione Comunista e lo fa, da sempre, nel “suo” comitato Molise Calvairate. E’ perciò con grande piacere che pubblichiamo questa sua emozionante e commuovente cronaca dalla periferia.
Pomeriggio, dopo una mattinata carica, cerco di riposarmi un po’ prima di andare. Mi telefona Mariolì, sto male, sto male, piange. Arturo, suo marito, non rientra a casa da Bollate, libero, finiti i 4 anni di carcere, no, lo impacchettano e lo rimandano in Ecuador. Volevamo fare una grande festa nel salone per la fine della sua storia di carcerato, per l’inizio di una nuova storia. Che cosa succede invece, che cosa posso fare? Penso ai bambini, Wesley a scuola, 1a elementare, Noemi, 3 anni, Scuola Materna. E’ possibile accompagnarli a salutare il loro papà? L’avvocato non è stato informato dell’espulsione, sta cercando di capire. Mi telefona Arturo dalla questura. Sento il pianto trattenuto, la voce bassa, mi dice: vieni con Mariolì. Nient’altro. Sento la supplica e la fiducia. Telefono a un dirigente in questura, si informa, mi dice che posso accompagnare i bambini. Mariolì va a prendere i documenti, poi va a prendere i bambini, non ho pensato a dirle di non piangere, le telefono, lei mi dice che ci ha pensato, non piange. Lascia i bambini al Comitato e va a preparare due valigie da portare ad Arturo. Propongo ai bambini di fare un disegno per il loro papà, che parte e va al suo paese, però poi torna e starà sempre con loro. Wesley disegna un aereo, in un angolo del foglio disegna qualcosa che non mi prendo il tempo di guardare bene, in alto scrive, lettere grandi, in rosso: papa, con la p capovolta a sinistra, Noemi, una striscia di cielo rosa e una ruota che gira. Devo cercare dei soldi, ne ho sempre in tasca, sempre, oggi no, pochi. Chiedo alla custode, non ne ha, a una volontaria, mi dà quello che ha, ma non bastano. Non ci sono banche qui attorno, dovrò chiedere al tassista di fermarsi di fronte a una banca, sul tragitto per la questura. Wesley, quando il papà è stato arrestato ed è improvvisamente scomparso, ha manifestato molta sofferenza, infelicità, è diventato aggressivo. Insofferente, si dice. Si dice così di chi soffre un eccesso di sofferenza? Da oltre un anno Arturo ogni giorno esce da Bollate e viene al Comitato “in misura alternativa”, ma la sera deve rientrare. Quando il suo papà è ricomparso, Wesley via via si è rasserenato. Le prime sere non poteva sopportare che il papà non restasse a casa, Mariolì mi ha raccontato che di notte piangeva, e diceva che voleva il suo papà, che voleva dormire con lui, poi è stato felice di averlo vicino di giorno, tutto fiero, il suo cuore che stava bene. La condanna: un incidente automobilistico a Pavia, dieci anni fa, due fidanzati morti nello scontro. Dalla cronaca della stampa risulta che Arturo non è colpevole: notte, strada ghiacciata, l’auto dei fidanzati procedeva in senso contrario ed è entrata nella corsia di Arturo. Quando è stato celebrato il processo – celebrato – Arturo è risultato irreperibile, perché nel frattempo si era trasferito a Milano. Condannato. In questi giorni l’ho mandato ad aiutare Giovanna, che abita da anni in una casa ridotta a discarica, mai vista una casa in quelle condizioni, cumulo compulsivo di oggetti, di porcherie, scarafaggi, ecc. – mi è sembrato di essere per strada di fronte a un cumulo di rifiuti abbandonati. Lei ha tenuto nascoste per anni le condizioni della casa. Da quando ha permesso all’assistente del Centro Psico-Sociale di entrarci e l’assistente ha chiesto un intervento sono passati mesi e mesi. Vai a vedere, mi ha detto. Sono andata, ora Giovanna non poteva più nascondersi neanche con me, e si è nascosta così a lungo, sempre fingendo, recitava una parte. Quante case ridotte a discarica nelle nostre case popolari? nella città? Sono sola a chiederlo. Vedremo, il nuovo arcivescovo. Arturo ha portato in cortile sacchi e sacchi di rifiuti, il frigo, nero di scarafaggi, si è proposto per l’imbiancatura della casa, senza retribuzione, naturalmente. Quando ho saputo che il 13 sarebbe stato libero, mi sono preoccupata, gli ho detto: ora hai bisogno di cercarti un lavoro retribuito. Mi ha risposto: no, sistemo quella casa, lo faccio, senza soldi. Io pensavo a un lavoro troppo impegnativo, mi ha detto: ci metto due giorni. Prendiamo un taxi, Ufficio Immigrazione della Questura, via Montebello. Attraversiamo la strada, tengo Noemi per mano, sullo spiazzo dell’ingresso, distante dieci metri, vediamo un agente, divisa scura, alto, armato? non ricordo, era armato? in sosta presso un gabbiotto vetrato. Noemi mi chiede: chi è? Le rispondo: è un uomo che ci aspetta. Io, sempre bastarda, visto che ironia? non penso a come risponderà lei. Lei risponde così: gli sorride, agita la manina per salutarlo. Lui non risponde al saluto, la sfiora con lo sguardo, la vede? Non è un uomo che ci aspetta. Lui tiene al loro posto gli immigrati di tutte le specie all’ingresso dell’Ufficio Immigrazione della Questura. Lui aspetta che finisca il suo turno di servizio e poi va casa. Dai suoi bambini, chissà. Ispezione delle valigie, poi entriamo. Arturo ci vede dalla porta a vetri della stanzetta in cui è trattenuto. Noemi svolazza tutta contenta, Wesley guarda, serio, guarda. Vede gli agenti, suo padre, il viso triste al di là di quella porta, la mamma che ora non ce la fa a trattenersi e piange. Wesley è muto. Poi, senza guardarci, il visetto intento, guarda dentro di sè e dice: è in trappola. Gli agenti lasciano che Arturo esca, i saluti, cinque minuti? dieci? Ci abbracciamo, forte forte. Di nuovo. Chiedo il permesso di mettere in una valigia i disegni e il calendario. Lui mi stringe, sento che mi dice qualcosa, Mariolì, i bambini. Gli do quanto può servigli al suo arrivo, i primi giorni, mi dice: me mancava questo. Chissà in quale aeroporto lo mandano, quanto distante dalla sua casa. Basta.
Non avevo mai visto che cosa è un’espulsione. Ora ho visto un uomo espulso, un uomo che conosco, a cui voglio bene, sua moglie, i suoi bambini. Quante cose non vediamo con i nostri occhi, quante parole astratte usiamo, certi di conoscerne il senso, ma non sono entrate nella nostra vita, le conosciamo da lontano.
Franca Caffa Milano, ottobre 2017