mio commento: la tutela delle pazienti che intendono avvalersi della legge 194 sull’interruzione volontaria della gravidanza spesso viene a mancare. Lo stato Sociale di Diritto non viene rispettato e i problemi ricadono come sempre sui cittadini! Fortuna che ci sono ancora una parte di medici che fanno il loro dovere che lottano e si fanno garanti della legge stessa. Mario Piromallo
Milano, è emergenza aborti: Niguarda deve chiedere aiuto ai colleghi del Sacco
I medici non obiettori sono rimasti soltanto in due. Collaborazione necessaria per evitare lunghe attese. Il dg Trivelli: “Il progetto sta andando in porto, così riusciremo a garantire l’applicazione della 194”
di LAURA ASNAGHI
Nell’ultimo anno al Niguarda la situazione si era fatta molto critica per le donne che chiedevano di abortire. «Ci siamo ridotti ad accettare una media di venti richieste alla settimana e non di più — spiega Maurizio Bini, medico non obiettore del Niguarda, sempre in prima linea in difesa dei diritti delle donne — quando si è in pochi, far fronte a tutte le richieste è davvero difficile». E visto che, nonostante l’aiuto di un medico ‘gettonista’ (il cui contratto è in scadenza) molte finivano in lista d’attesa per l’aborto con interventi che venivano fatti a ridosso della scadenza della dodicesima settimana (il tetto imposto dalla legge), i medici hanno lanciato l’allarme e sollecitato i vertici a prendere provvedimenti.
Niguarda è l’ospedale che più soffre per la carenza di medici non obiettori: sono due su 16, che garantiscono 780 interruzioni l’anno. Negli altri enti le cose vanno meglio. In Mangiagalli ci sono 20 medici su 60, che garantiscono 1.300 interventi l’anno. Al Fatebenefratelli, a cui fa capo anche la Macedonio Melloni, i medici non obiettori sono otto su 26, ed eseguono 1.200 aborti l’anno. Al Sacco, l’ospedale che darà una mano al Niguarda, il rapporto è sei medici non obiettori su 12 (con 420 interruzioni di gravidanza). Al Buzzi cinque camici bianchi su 20 fanno aborti (1.000 all’anno), al San Paolo, otto su 18 sono pro 194 e garantiscono 400 interventi, mentre al San Carlo sette medici su 13 sono abortisti, con circa 700 interruzioni l’anno.
A Milano, rispetto al resto della Lombardia, la legge sull’interruzione della gravidanza è abbastanza tutelata. Fuori dal capoluogo lombardo, gli obiettori sfiorano percentuali del 76 per cento, come è stato denunciato di recente da Sara Valmaggi, consigliera del Pd e vicepresidente del Consiglio regionale. Ma il caso Niguarda dimostra che qualche crepa si sta aprendo anche a Milano. «Certo la collaborazione non si nega mai — spiega Irene Cetin, il primario di ginecologia del Sacco — i medici che accetteranno di andare a fare interruzioni di gravidanza al Niguarda lo faranno su base volontaria e fuori dall’orario di servizio. Altrimenti si rischia di impoverire il nostro servizio». E Mario Meroni, il primario della ginecologia ostetricia del Niguarda, spiega: «Con due medici non obiettori e un ‘gettonista’ è complicato applicare la 194 e coprire ferie, malattie e i turni notturni in corsia. La convenzione con il Sacco è un’ancora di salvezza».
Ma da cosa nasce il connubio tra i due ospedali? Secondo un piano, non ancora ufficializzato dalla Regione che prevede la riduzione delle direzioni generali degli ospedali, Sacco e Niguarda dovrebbero finire sotto lo stesso tetto e diventare parenti. E così in vista di questo nuovo capitolo della spending review sanitaria, i due ospedali fanno le prove
generali. «La cosa importante di tutta questa operazione — conclude Maurizio Bini — è che alla fine le donne che decidono di ricorrere all’aborto possano farlo in tempi brevi. L’attesa di una interruzione di gravidanza è sempre fonte di angosce».