Direi che ormai la stagione cinematografica 16/17 può darsi per finita. Ho visto circa 66 film usciti tra settembre 2016 e luglio 2017, più un tot di inediti (in particolare dal Festival del cinema africano d’Asia e d’America latina e dal Noir Film Festival). Non do voti e quindi non posso fare medie, ma mi è sembrata tutto sommato un’annata abbastanza buona, meglio la prima parte della seconda. Vi dico qui sotto cosa mi è piaciuto, e non solo.
Nel caso vorreste approfondire, poi, la quasi totalità dei film di cui parlo sono puntigliosamente recensiti nel sito Into the Wonderland, sopratutto nella rubrica Hollybloog -Cosa c’è da vedere, qualcuno controrecensito anche in Face Off – Le due facce di un critico, qualcos’altro in schede a sé o in Segni di cinema.
I FILM DEL CUORE
- LA LA LAND (Usa) di Damien Chazelle, perché io che detesto i musical sono andato a rivederlo dopo qualche giorno, e l’ho rivisto una terza volta in aereo; per il piano-sequenza iniziale (e non solo); per la grazia, per l’umorismo e la malinconia e la buffa tenerezza; perché i protagonisti non sanno cantare, ballare e suonare, eppure cantano, ballano e suonano; per un Ryan Gosling mai così ironico e vulnerabile; per una Emma Stone definitiva per espressività e simpatia; per una colonna sonora che ti entra in testa come quelle di una volta; perché non sempre i sogni che si realizzano danno la felicità, se di altri sogni, senza che nemmeno ce ne accorgiamo, comportano il sacrificio.
- IL CLIENTE (Iran) di Ashgar Fahradi, per la capacità di raccontare la complessità dei comportamenti e dei sentimenti umani.
- CUORI PURI (Ita) di Roberto De Paolis, perché è un film che racconta con freschezza e fisicità un territorio che sembra conoscere bene, con giovani attori che hanno il dono dell’autenticità.
- E’ SOLO LA FINE DEL MONDO (Can-Fr) per la presa di posizione visiva, perché è un film che fa commuovere già dai primi minuti, e per un intenso gruppo di interpreti.
- INDIVISIBILI (Ita) di Edoardo De Angelis per la carica visionaria e metaforica, per l’affresco sociopolitico di sfondo, per le citazione del troppo dimenticato Ferreri, per l’uso (garroniano) del paesaggio, per le due sorprendenti protagoniste (Angela e Marianna Fontana).
- IO, DANIEL BLAKE (Gb) di Ken Loach per la potenza del discorso politico che non dimentica l’umanità dei personaggi; per la scena del banco alimentare che è una delle più strazianti della stagione.
- JACKIE (Usa) di Pablo Larrain, perché è il secondo bizzarro biopic del regista cileno uscito in stagione; per il modo in cui ragiona su ideologia, immagine, storia, mito; perché la Portman si sarebbe meritata l’Oscar, non avesse incontrata sulla sua strada la Stone di La la land.
- PATERSON (Usa) di Jim Jarmusch, per come osa raccontare la poesia invisibile del quotidiano.
- VI PRESENTO TONI ERDMANN (Germ) di Maren Ade, perché è una delle commedie più strane dell’anno, grottesca e stonata, che vede i vicoli ciechi e ci si va a infilare lo stesso; perché magari ne vedremo un remake hollywoodiano normalizzato.
FILM CHE VALE LA PENA DI VEDERE
- CAFE’ SOCIETY (Usa) di Woody Allen per come rilegge Il grande Gatsby di Scott Fitzgerald facendo un film filosoficamente e stilisticamente alleniano.
- IL CLAN (Arg) di Pablo Trapero per il taglio con cui descrive la violenza privata come la conseguenza accettabile di una violenza politica e sociale istituzionalizzata.
- ELLE (Fr) di Paul Verhoeven per come descrive l’economia libidica secondo la legge della domanda e dell’offerta; per una Huppert audace e indomita; perché ricorda il Verhoven de Il quarto uomo.
- FAI BEI SOGNI (Ita) di Marco Bellocchio perché è il miglior film di Bellocchio dai tempi di Vincere! e per come sa coniugare il romanzo familiare di Gramellini con i temi e le ossessioni del proprio cinema.
- FRANTZ (Fr-Germ) di Francois Ozon per l’eleganza e per le citazioni hitchcockiane.
- I AM NOT YOUR NEGRO (Usa) di Raoul Peck per l’acuta e attuale riflessione sulla questione afroamericana e sul suo immaginario.
- LADY MACBETH (Gb) diWilliam Oldryd, perché è come Cime tempestose riletto da Winding Refn, per l’eleganza vermeeriana di certi interni e la strategia dei personaggi sulla scena; per la dark lady di Florence Pugh, infantile, ironica, passionale, algida, luciferina.
- LION (Usa-Austral-Gb) di Garth Davis, per la splendida prima parte con Saroo bambino troppo piccolo per una megalopoli mostruosa; perché il cinquenne Sunny Pawar si sarebbe meritato il premio Oscar.
- NERUDA (Cile-Arg-Sp-Fr) di Pablo Larrain per l’originalità e la ricchezza di sfumature di un biopic tra i più bizzarri e deliranti.
- SULLY (Usa) di Clint Eastwood, per come affida a un uomo comune, che fa il suo dovere e il suo mestiere, il compito di risarcire l’America dell’incubo dell’11 settembre.
- QUESTI GIORNI (Ita) di Giuseppe Piccioni per l’onestà con cui cerca di guardare alle ragazze d’oggi.
- L’ALTRO VOLTO DELLA SPERANZA (Finl) di Aki Kaurismaki per la coerenza di un umanesimo dimesso, laconico e vintage.
- UN APPUNTAMENTO PER LA SPOSA (Isr) di Rama Burshtein, perché è una commedia paradossale che scava continuamente sotto la superficie nelle motivazioni e nella psicologia della protagonista e che fa montare la suspense finale come fosse un thriller.
- IL CITTADINO ILLUSTRE (Arg) di Gastón Duprat e Mariano Cohn, perché malgrado la sua fattura un po’ rozza mi ha riportato alla mente nel finale il dimenticato Scene di caccia in Bassa Baviera.
- FREE STATE OF JONES (Usa) di Gary Ross, non tanto per il film, convenzionale, quanto per le informazioni didascaliche sulla legislazione razziale degli Stati Uniti.
- IN VIAGGIO CON JACQUELINE (Fr) di Mohamed Hamidi perché, malgrado il paternalismo e il mito del buon selvaggio, alla fine riesce a mettere di buon umore.
FILM AMBIVALENTI, CHE MI SONO PIACIUTI E NON MI SONO PIACIUTI
- ARRIVAL (Usa) di Dennis Villeneuve: da un racconto intraducibile sullo schermo, un film affascinante ma involuto.
- ANIMALI NOTTURNI (Usa) di Tom Ford: due storie non prive di tensione, ma che non legano insieme.
- MANCHESTER BY THE SEA (Usa) di Kenneth Lonergan: una storia intensa ma un po’ programmatica, con un ipertrofico e musicato (l’Adagio di Albinoni!) flashback del trauma a spezzare la narrazione.
- LA MIA VITA DA ZUCCHINA (Fr), perché la poesia si paga con la tristezza.
- SING STREET (Irl) di John Carney, per l’allegria e la nostalgia, ma con troppe canzoni e perché bara sull’età dei protagonisti.
ALTRI FILM INTERESSANTI
CAPTAIN FANTASTIC, DOPO L’AMORE, LOVING, IL DIRITTO DI CONTARE, MISS PEREGRINE, UN PADRE, UNA FIGLIA, ROBERT DOISNEAU – LA LENTE DELLE MERAVIGLIE, T2 – TRAINSPOTTING, TOM A LA FERME, ecc.
DELUSIONI D’AUTORE
- ALLIED (Usa) di Robert Zemeckis: un filmazzone vecchio stile di cui non si capisce senso, attualità e necessità.
- MOONLIGHT (Usa) di Barry Jenkins, perché ha fregato l’Oscar a La la land (e non meritava di farlo).
- LA RAGAZZA SENZA NOME (Belg) di Jean-Pierre e Luc Dardenne, spiace dirlo, forse uno dei meno riusciti film dei Dardenne, con un nodo etico di lana caprina e una protagonista più stalker che eroina morale.
- RITRATTO DI FAMIGLIA CON TEMPESTA (Giap) di Kore’eda Hirokazu, perché, cosa volete che vi dica, a me il cinema di Kore’eda mette semplicemente sonno.
- ROSSO ISTANBUL (Turch-Ita) di Ferzan Ozpetek, perché il regista turco, tornato alla madre patria, ci si smarrisce e costruisce un inutile labirinto senza uscite.
- SILENCE (Usa) di Martin Scorsese, perché l’affrontare di petto il tema del rapporto con il divino ha portato Scorsese a un film monotono, ripetitivo e cupo, con giapponesi prevedibilmente sadici e occidentali prevedibilmente tormentati.
- SNOWDEN (Usa) di Oliver Stone, tema potenzialmente interessante, sviluppo farraginoso e non particolarmente avvincente.
- SPLIT (Usa) di Night Shyamalan, perché è un thriller che non fa paura e non emoziona, con un protagonista che dovrebbe sostenere una pletora di personalità ma che è inadeguato ai ruoli.
- LA TENEREZZA (Ita) di Gianni Amelio, perché sbaglia tutti i toni, stona nei dialoghi e nei dettagli e spreca un ottimo cast.
- LA VITA POSSIBILE (Ita) di Ivano De Matteo, autore interessante, film sbagliato.
- THE ZERO THEOREME (Usa) di Terry Gilliam, perché a Gilliam dobbiamo L’esercito delle dodici scimmie e soprattutto l’indimenticabile Brazil; ma sono molti di più i film che sbaglia di quelli che azzecca, e questo sta senz’altro tra i primi.