Stato-mafia, presidente Napolitano dovrà deporre

Stato-mafia, il presidente Napolitano dovrà deporre al processo. Ma l’udienza sarà a porte chiuse

Dopo una prima ammissione della testimonianza, il Capo dello Stato aveva inviato una lettera ai giudici per spiegare di non aver nulla da dire sui temi del processo. Ma la procura insisteva per l’audizione. Il Capo dello Stato sarà ascoltato al Quirinale, come previsto dalle prerogative della sua carica. I giudici hanno stabilito che l’udienza in trasferta non sarà pubblica: non potranno partecipare neanche gli imputati eccellenti del processo, i boss Riina e Provenzano. Il presidente Napolitano: “Non ho alcuna difficoltà a rendere al più presto la testimonianza”

di SALVO PALAZZOLO

Il presidente Giorgio Napolitano (lapresse)
La Corte d’assise che sta celebrando il processo per la trattativa Stato-mafia entrerà nel palazzo del Quirinale, per ascoltare come testimone il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Così ha deciso il collegio presieduto da Alfredo Montalto, che già all’inizio del processo aveva ammesso la testimonianza del Capo dello Stato chiesta dalla procura.

La Corte ha stabilito con un’ordinanza che l’udienza in trasferta al Quirinale sarà a porte chiuse: non potranno partecipare né gli imputati, né il pubblico. Dunque, non dovrà essere disposto alcun videocollegamento con i capimafia sotto processo, Salvatore Riina, Leoluca Bagarella e Antonino Cinà. Davanti a Napolitano, ci saranno solo i giudici della corte d’assise di Palermo, i pubblici ministeri e gli avvocati.

Il 31 ottobre scorso, il presidente Napolitano aveva inviato una lettera alla corte di Palermo: ribadiva la sua disponibilità a testimoniare a Palermo, ma spiegava di non avere nulla da riferire sui temi del processo. Dopo quella lettera, l’Avvocatura dello Stato e i legali dell’ex senatore Marcello Dell’Utri avevano chiesto ai giudici di revocare la testimonianza del presidente della Repubblica. Questa mattina, la corte ha preso la decisione definitiva. Il Capo dello Stato dice in una nota: “Prendo atto dell’odierna ordinanza della corte d’assise di Palermo. Non ho alcuna difficoltà a rendere al più presto testimonianza – secondo modalità da definire – sulle circostanze oggetto del capitolo di prova ammesso

La lettera del presidente della Repubblica inviata alla corte di Palermo il 31 ottobre scorso

“La lettera del presidente non può essere intesa come sostitutiva della testimonianza del teste – aveva detto in aula il procuratore aggiunto Teresi – La lettera infatti non esaurisce l’argomento da chiarire così come da capitolato di prova”. I pubblici ministeri Di Matteo, Del Bene e Tartaglia vogliono sentire Napolitano sulla lettera che gli venne inviata dal suo consigliere giuridico Loris D’Ambrosio nel giugno di due anni fa.

Dopo le polemiche per le telefonate al Quirinale di Nicola Mancino, intercettato nell’ambito dell’inchiesta trattativa, D’Ambrosio ribadiva la sua correttezza, ma esprimeva un timore sugli anni in cui la trattativa si sarebbe consumata. Il timore “di essere stato considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi, e ciò nel periodo fra il 1989 e il 1993”. In quegli anni, D’Ambrosio era stato in servizio all’Alto commissariaro per la lotta alla mafia e poi al ministero della Giustizia.

La lettera del consigliere D’Ambrosio

La procura vuole chiedere a Napolitano ulteriori notizie su quella lettera, resa nota dal Quirinale, e su quello sfogo.

Adesso, i giudici di Palermo prenderanno contatti con il Quirinale per fissare la data dell’audizione del Capo dello Stato.

La prossima udienza del processo trattativa sarà invece il 2 ottobre: la procura chiama a testimoniare il collaboratore Vincenzo Sinacori, ex fedelissimo del superlatitante Matteo Messina Denaro. Il 9 ottobre, deporrà invece il collaborator Angelo Siino, il ministro dei Lavori pubblici di Cosa nostra.

L’ordinanza della corte di Palermo
“Non si può escludere il diritto delle parti di chiamare un testimone su fatti rilevanti per il processo solo perché il testimone ha escluso di essere informato sui fatti stessi”: è questo il principio che ha spinto i giudici a respingere la richiesta di alcuni difensori di revocare la citazione del Capo dello Stato. “La superfluità o irrilevanza di una prova testimoniale – scrivono i magistrati nella loro ordinanza – deve essere valutata dal giudice esclusivamente in relazione ai fatti oggetto dell’articolato e alla sua riferibilità al teste indicato e non già in relazione a o in previsione di ciò che il teste medesimo può sapere o non sapere”.

“Infatti – prosegue l’ordinanza – non si può di certo escludere il diritto di ciascuna parte di chiamare e interrogare un testimone su fatti rilevanti per il processo sol perché quel testimone abbia, in ipotesi anche e persino, in una precedente deposizione testimoniale, escluso di essere informato dei fatti medesimi. E ciò quantomeno al fine di consentire alla parte richiedente di acquisire nel contraddittorio e nelle forme previste, prescritte per il processo, quel contenuto dichiarativo che, seppure negativo, riguardo alla conoscenza di determinati fatti, potrebbe tuttavia assumere una valenza non necessariamente neutra nel contesto delle altre acquisizioni probatorie e della loro valutazione interpretativa”.

“La Corte – è un altro passaggio dell’ordinanza del giudice Montalto – ha già ritenuto che la testimonianza del capo dello Stato, oltre che ammissibile appare né superflua né irrilevante. Successivamente a tale pronuncia non sono state acquisite elementi di sorta che possano consentire di superare quella valutazione. Tra i nuovi elementi che possono condurre a riconsiderare il provvedimento non può ricomprendersi la lettera inviata dal teste il 31 ottobre 2013. Sia perché il suo contenuto rappresentativo non è utilizzabile nel processo in assenza di accordo acquisitivo della stessa. Sia, soprattutto ed in ogni caso, perché, come si è già detto in premessa, ove anche si volesse prendere atto del diniego di conoscenze già espresso dal teste, ciò nonostante, non potrebbe di per sé solo ritenersi che sia venuto meno l’interesse della parte richiedente ad assumere la testimonianza”.

fonte: la Repubblica
http://palermo.repubblica.it/cronaca/2014/09/25/news/stato-mafia_il_presidente_napolitano_dovr_deporre_al_processo-96630667/?ref=HREC1-2