Mafia Capitale: il Cupolone

Un sistema di corruzione trasversale, una «mafia capitale tutta romana e originale». 37 arresti e centinaia di milioni di beni sequestrati: l’inchiesta del procuratore Pignatone rivela una rete criminale guidata da ex terroristi neri. Coinvolti politici Pd e Pdl. Perquisita la casa dell’ex sindaco Alemanno

«Mafia Capitale», il grande raccordo

Roma. Nomi di peso coinvolti nell’inchiesta «Mondo di mezzo»: 37 arrestati, compreso l’ex della banda della Magliana Carminati. Tra i 40 indagati, l’ex sindaco Gianni Alemanno e esponenti del Pd. Si dimette l’assessore alla casa Ozzimo

Gli arre­stati sono 37, gli inda­gati 40, ma il conto potrebbe lie­vi­tare ulte­rior­mente nei pros­simi giorni. Sono nomi pesanti, sia quelli del «mondo di sopra», a par­tire dall’ex sin­daco di Roma Gianni Ale­manno, inda­gato, sia quelli del «mondo di sotto», il sot­to­bo­sco cri­mi­nale della capi­tale, del quale fanno parte Mas­simo Car­mi­nati, arre­stato, e Gen­naro Mok­bel, per il quale la gip Fla­via Costan­tini non ha con­va­li­dato la richie­sta di arresto.

Il copy­right delle defi­ni­zioni di cui sopra, il «mondo di sopra» e quello di «sotto», è dello stesso Car­mi­nati. Le aveva usate nel corso di una con­ver­sa­zione inter­cet­tata che ha dato il nome all’inchiesta: «Mondo di Mezzo». Quello in cui si incon­trano i col­letti bian­chi, gli uomini del potere a Roma, e i mala­vi­tosi che si sono fatti le ossa sulla strada, sulla piazza già ai tempi lon­tani della banda della Magliana. Tra i primi ci sono l’ex sin­daco Ale­manno, il suo capo della segre­te­ria Anto­nio Luca­relli, Luca Gra­ma­zio, ex con­si­gliere comu­nale e oggi regio­nale, Luca Ode­vaine, ex capo della segre­te­ria del sin­daco Vel­troni, oggi respon­sa­bile dell’accoglienza per i richie­denti asilo, Franco Pan­zi­roni, ex ad dell’Ama, l’azienda dei rifiuti, Ric­cardo Man­cini, ex ad di Eur spa, i “col­letti bian­chi” dell’era Ale­manno. Tra i secondi lo stesso Car­mi­nati, indi­cato dagli inqui­renti come capo dell’organizzazione, Erne­sto Dio­tal­levi, un pezzo da novanta della cri­mi­na­lità romana da decenni, Gio­vanni De Carlo, suo erede, il già ricor­dato Mokbel.

A tutti è con­te­stata l’associazione mafiosa ex 416bis. Un’imputazione discu­ti­bile, e gli stessi inqui­renti se ne ren­dono pro­ba­bil­mente conto, tanto che nell’ordinanza di arre­sto dis­ser­tano a lungo e dot­ta­mente per giu­sti­fi­care l’addebito. Agli arre­stati e agli inda­gati, ha chia­rito il pro­cu­ra­tore capo di Roma Giu­seppe Pigna­tone, non ven­gono accre­di­tati rap­porti di com­pli­cità con la cri­mi­na­lità orga­niz­zata, con mafia, camorra e ‘ndran­gheta. Nep­pure la strut­tura orga­niz­za­tiva è dav­vero affine a quelle mafiose, impos­si­bile farlo in una città come Roma dove l’organizzazione deve invece essere «reti­co­lare», meno disci­pli­nata e ver­ti­ci­stica, e l’uso della vio­lenza è limitato.

Di mafia, insi­stono tut­ta­via i magi­strati, si deve ugual­mente par­lare, per­ché in quella che viene defi­nita «Mafia Capi­tale» era stato adot­tato il metodo mafioso, con­si­stente nell’uso «della forza d’intimidazione del vin­colo asso­cia­tivo» e nelle «con­di­zioni di assog­get­ta­mento e di omertà di cui gli asso­ciati si avval­gono». Il dna pro­pria­mente mafioso sarebbe poi garan­tito dal fatto che, a dif­fe­renza delle cosid­dette «nuove mafie», l’autorità e la capa­cità di inti­mi­da­zione del gruppo sareb­bero radi­cati nel pas­sato, nella deri­va­zione dei suoi capi dalla Banda della Magliana e dai «fascio­cri­mi­nali».
Sin dalla noti­zia degli arre­sti, ieri, si è par­lato di «cri­mi­na­lità nera», in parte per­ché capo della banda sarebbe appunto «il Nero», come Gian­franco De Cataldo aveva ribat­tez­zato nel suo for­tu­na­tis­simo Romanzo cri­mi­nale Mas­simo Car­mi­nati. Ieri tutti i media, ripren­dendo del resto l’ordinanza, lo hanno defi­nito «ex Nar». Per la verità dei Nar Car­mi­nati non ha mai fatto parte, ma neo­fa­sci­sta e amico sia di molti mili­tanti dei Nar, oltre che vici­nis­simo alla Magliana, lo era davvero.

In realtà nell’inchiesta sono coin­volti un po’ tutti: ci sono ex bri­ga­ti­sti come Ema­nuela Bugitti, espo­nenti di spicco di An e poi del Pdl. Ma anche del Pd come Ode­vaine, il pre­si­dente dell’assemblea capi­to­lina Mirko Coratti e l’assessore alla casa Daniele Ozzimo (que­sti ultimi due si sono dimessi dicen­dosi estra­nei ai fatti) e il con­si­gliere regio­nale Euge­nio Patanè.

Lo stesso Buzzi, pre­si­dente della poten­tis­sima coo­pe­ra­tiva «29 giu­gno», l’uomo che dalle inda­gini risul­te­rebbe il prin­ci­pale com­plice di Car­mi­nati, è un ex dete­nuto comune poli­ti­ciz­za­tosi in car­cere, ma sul fronte sini­stro. Una banda più arco­ba­leno che nera, da que­sto punto di vista.
Invece l’etichetta nera fun­ziona lo stesso: il momento di snodo, quello che avrebbe per­messo al gruppo di spic­care il volo, sono stati gli anni dell’amministrazione Ale­manno. Che Car­mi­nati e com­plici abbiano appro­fit­tato della ghiotta occa­sione offerta dalla col­lo­ca­zione in posi­zione di ver­tice, in que­gli anni, di parec­chi espo­nenti della destra neo­fa­sci­sta anni ’70 e ’80, come gli stessi mana­ger Man­cini e Pan­zi­roni, appare evi­dente. Per que­sto Pigna­tone ha dichia­rato senza peri­frasi che «alcuni uomini vicini all’ex sin­daco Ale­manno sono com­po­nenti a pieno titolo dell’organizzazione mafiosa». Però ha anche aggiunto che «con la nuova ammi­ni­stra­zione il rap­porto è cam­biato, ma Car­mi­nati e Buzzi erano tran­quilli chiun­que vin­cesse le elezioni».

Nello spe­ci­fico, i reati con­te­stati a vario titolo agli inda­gati sono di diverso tipo. Tra gli altri, estor­sione, cor­ru­zione, tur­ba­tiva d’asta, false fat­tu­ra­zioni, tra­sfe­ri­mento frau­do­lento di valori, rici­clag­gio. Ci sono cri­mini tipi­ca­mente «di strada», come l’usura e il recu­pero cre­diti con le cat­tive. Ci sono fac­cende di sapore squi­si­ta­mente tan­gen­taro, come l’indirizzo degli appalti in cam­bio di tan­genti ma anche verso aziende diret­ta­mente con­trol­late dall’organizzazione, anche attra­verso i clas­sici «pre­sta­nome».
Le due fasi sem­brano però cro­no­lo­gi­ca­mente distinte. Par­tito dall’usura e dai pestaggi per recu­pe­rare i cre­diti, spesso in conto terzi e solo per con­fer­mare la pro­pria auto­rità, il gruppo sem­bra aver poi aver immen­sa­mente ampliato il suo spet­tro d’azione entrando alla grande nel giro degli appalti di ogni tipo pro­prio in virtù degli anti­chi vin­coli poli­tici con molte figure chiave dell’amministrazione Ale­manno, per poi strin­gere nuovi e reci­pro­ca­mente pro­fi­cui rap­porti con i loro suc­ces­sori ai ver­tici del potere capitolino.

fonte: il Manifesto

http://ilmanifesto.info/mafia-capitale-il-grande-raccordo/