L’ultimo battito di ali

arton21218 dal Manifesto

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dal Manifesto

—  Samir Hassan, 3.1.2015

Saggi. Il libro di Giorgio Cremaschi «Lavoratori come farfalle», per Jaca Bok, mette in evidenza le contraddizioni della politica renziana e la distruzione dei diritti

Ci sono dav­vero diverse ragioni per dedi­care qual­che ora di intensa let­tura al sag­gio di Gior­gio Cre­ma­schi, una vita spesa nella Fiom fino al pen­sio­na­mento e ora inces­sante mar­tello della linea «mino­ri­ta­ria» Il sin­da­cato è un’altra cosa – oppo­si­zione Cgil. La sua agile pub­bli­ca­zione, data alle stampe da Jaca Book, cen­tra il merito di pren­dere il toro per le corna in un momento in cui fare sin­da­cato, tra divi­sioni e mani­fe­sta­zioni nazio­nali, sem­bra essere un para­digma che ine­vi­ta­bil­mente debba scon­trarsi con il moloch della Cgil.

Le pagine di Lavo­ra­tori come far­falle (pp. 119, 12 euro) ripren­dono la sto­ria del sin­da­cato, da Tren­tin alla lotta per la scala mobile, dal «sala­rio come varia­bile indi­pen­dente» alla svolta dell’Eur nel 1977 fino ad arri­vare all’oggi, dove il rac­conto di memo­ria si fa accusa e l’indice viene pun­tato sulla deriva delle com­pa­ti­bi­lità e delle con­cer­ta­zioni. Nei giorni in cui la Cgil scende in piazza, divi­den­dosi sul signi­fi­cato di una mani­fe­sta­zione con­tro Renzi o meno, il testo di Cre­ma­schi appare quanto mai azzeccato.

Lo sguardo è rivolto ai tempi pre­senti, al dibat­tito sul Jobs Act, sulla riforma del mondo del lavoro e all’attacco fron­tale all’articolo 18. A chi ancora crede che le garan­zie dell’art. 18 siano riser­vate a pochi e for­tu­nati pri­vi­le­giati dipen­denti a tempo inde­ter­mi­nato, oggi si deve rispon­dere con un discorso com­ples­sivo che metta in guar­dia da un gene­rale col­lasso del sistema di garan­zie che può deri­vare dallo scom­parso del sim­bolo delle lotte e delle con­qui­ste ope­raie.
Cre­ma­schi evi­den­zia che sba­raz­zan­dosi libe­ra­mente dei lavo­ra­tori, senza la fami­ge­rata giu­sta causa, i padroni sono auto­riz­zati a fare a meno di chi gua­da­gna più di una «riserva pre­ca­ria», di chi gode del diritto di malat­tia – insomma, hanno il potere di sgre­to­lare la rima­nenza del diritto per chi ancora lo pos­siede ed evi­tare che in futuro que­sta possa inte­res­sare il mondo pre­ca­rio di oggi.

«Que­sto prov­ve­di­mento aggiunge fero­cia a fero­cia, non cam­bierà nulla nelle dimen­sioni della disoc­cu­pa­zione», avverte nelle con­clu­sioni l’autore, «non risol­verà uno solo dei pro­blemi pro­dut­tivi delle imprese, soprat­tutto di quelle più pic­cole che non hanno mai avuto l’articolo 18, ma che sono in crisi più delle grandi. Non posso cre­dere che gli alfieri del Jobs Act que­ste cose non le sap­piano (…) Credo invece che siano in com­pleta mala­fede, per­ché una legge per la fles­si­bi­lità totale del lavoro oggi signi­fica dav­vero solo una cosa: che il governo Renzi, come i cat­tivi di Hol­ly­wood, vuole solo stra­vin­cere con il lavoro e con i sindacati».

Il punto, la bat­ta­glia insomma, è pro­prio que­sta. Capire che i sin­da­cati come li abbiamo sto­ri­ca­mente intesi oggi fati­cano ad essere un rife­ri­mento di classe ma che, al con­tempo, svol­gono una fun­zione che la con­tin­genza dell’oggi ancora non per­mette si esau­ri­sca. E non è attra­verso gli accordi alla meno peg­gio con il potente di turno che si potrà gua­da­gnare nuo­va­mente il rispetto della con­tro­parte e dei lavoratori.

fonte: il Manifesto
http://ilmanifesto.info/lultimo-battito-di-ali/