Rubrica di storia del movimento sindacale: “Dall’autunno caldo a oggi”
Presentazione e intervista a Antonio Pizzinato ex Segretario generale Cgil e ex Senatore della Repubblica italiana.
Di Lucilla Continenza. Dopo aver approfondito L’Autunno Caldo del 1969, parliamo di Statuto dei lavoratori ovvero della lex 300, 20 maggio 1970 che è alla base dei diritti dei lavoratori italiani. Sarebbe meglio dire (il condizionale è d’obbligo) “che fu alla base”, visto che prima con la riforma Fornero e in seguito con il Jobs Act di Renzi, il preziosa legge quadro è stata quasi del tutto smantellata.
La storia dello Statuto è lunga e dolorosa, costata manifestazioni, picchetti, lotte, proteste, morti. E’ lunga perché il problema del lavoro fu già stato posto con la nascita della nostra Costituzione che recita che la “Repubblica italiana è una repubblica fondata sul lavoro”.
Secondo la gerarchia del diritto, lo Statuto regola molte delle norme di base in materia di diritto del lavoro.
Già nel secondo dopoguerra, dovendo ricostruire un’Italia DEMOCRATICA e soprattutto dallo spirito ANTIFASCISTA, i problemi del lavoro e delle relazioni industriali (sindacali) erano diventati materia di fondamentale importanza. Erano colonna portante della storia economica del nostro paese e di tutte le democrazie che si fondano sulla divisioni dei poteri, secondo lo “Spirito delle leggi” scritto da Montesquie.
Spiegava Di Vittorio padre e grande sindacalista della Cgil, che partecipò ai lavori dell’assemblea costituente: «Il lavoratore è un uomo, ha una sua personalità, un suo amor proprio, una sua idea, una sua opinione politica, una sua fede religiosa, e vuole che, questi diritti siano rispettati da tutti e, in primo luogo dal padrone (…) perciò sottoponiamo al Congresso un progetto di “Statuto” che intendiamo proporre, non come testo definitivo, alle altre organizzazioni sindacali (…) per poter discutere con esse e lottare per ottenerne l’accoglimento e il riconoscimento solenne».
Prima dello Statuto non esisteva una vera normativa giuridica che regolamentasse i diritti e i doveri dei lavoratori. La normativa sul lavoro era infatti in gran parte ancora quella del codice civile fascista, e le condizioni di lavoro pessime. Il malcontento, come abbiamo già chiarito nel primo articolo pubblicato nella rubrica, esplose nell’autunno caldo del ’69 a cui fece seguito nei primi mesi del ’70 l’emanazione dello Statuto. Ricordiamo che i parlamentari del PCI si astennero dal voto, perché le richieste approvate erano considerate ancora moderate, secondo la linea politica dei comunisti italiani dell’epoca. Il PCI avrebbe voluto maggiori diritti per i lavoratori. La legge venne comunque firmata dalla maggioranza parlamentare e ha comunque tutelato il lavoratore sotto molti punti di vista: come il reintegro, dopo licenziamento, se dal giudice del lavoro, veniva ritenuto nullo ( art 18). Il Jobs act di Renzi ha purtroppo eliminato questa tutela fondamentale che i lavoratori conquistarono faticosamente in più di due decenni di lotte e in un certo senso Renzi ha “legalizzato” il “mobbing”.
Dopo gli anni del boom economico ci fu un periodo di congiuntura che portò ad un aumento dei licenziamenti e alla non applicazione dei contratti da parte degli imprenditori. Il primo contratto nazionale dei metalmeccanici venne firmato nel 1963, ma la “lotta” per condizioni più dignitose era ancora lunga. Oggi oltre alla recessione da poco annunciata, ci ritroviamo in una fase di legalizzazione dei licenziamenti e di precariato, mentre lo Statuto recita ancora che il contratto “tipico” è quello a tempo indeterminato (fantascienza).
Abbiamo quindi parlato con Antonio Pizzinato, ex segretario generale della CGIL, dal 1986 dopo la segreteria di Lama, durante gli anni in cui la concertazione era ancora fattibile (alto potere contrattuale dei sindacati) e ex senatore della nostra Repubblica. Pizzinato ancora attivo tra i cittadini, Presidente onorario dell’Anpi Lombardia, e personaggio di spicco della CGIL, ha aperto nel 2018 il congresso nazionale della CGIL Lombardia, che si è concluso con l’elezione di Maurizio Landini come segretario generale.
Pizzinato passa di diritto alla storia del movimento sindacale italiano e non solo.
INTERVISTA
Antonio Pizziniato, tu sei il “personaggio” politico più rappresentativo di Sesto San Giovanni. Siamo curiosi di conoscere un po’ la tua storia.
Antonio Pizzinato: “Sei molto generosa, in realtà sono un semplice appassionato degli studi sul lavoro e dei problemi dei lavoratori. Per accontentare la tua curiosità ti racconto che sono a Milano dal 1947, ma sono nato a Caneva in provincia di Pordenone, primogenito di sette figli. Ho lavorato come operaio alla Borletti e a 15 anni mi sono iscritto alla Fiom e poi al Pci. Durante gli anni ’50 grazie al lavoro continuo nel sindacato, venni mandato a Mosca per seguire dei corsi universitari di economia e sociologia. A Mosca vissi quattro anni, poi tornai a Sesto San Giovanni, dove ancora abito e che amo e dove diressi la sezione della Fiom della città, poi quella di Milano, e in seguito la Camera del lavoro. Nel 1986 venni eletto segretario generale della Cgil. Nel 1992 iniziò invece il mio impegno “diretto” in politica come deputato Pds, mentre dal 1992 al 1998 fui capogruppo in consiglio comunale sempre nella mia amata città d’adozione. Nel 1996 divenni Senatore per due legislature. Sono stato poi sottosegretario, al lavoro, nel primo governo Prodi e nel 2005 vicepresidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sugli infortuni sul lavoro, materia che mi ha sempre molto appassionato. Ai tempi mi schierai contro lo scioglimento dei DS a cui ha fatto seguito la nascita del PD e ora continuo il mio impegno politico, volontario, in Sinistra Italiana.
Possiamo quindi affermare che rappresenti un pezzo importante della storia del movimento sindacale. Praticamente dal dopoguerra ad oggi hai vissuto tutti i cambiamenti del lavoro in Italia.
Antonio Pizzinato: “Un “pezzo importante”?! Non saprei!. Ho comunque vissuto in prima persona le riprese e le cadute del mondo del lavoro. Sono sicuramente un testimone. La situazione oggi sta purtroppo degenerando, basti pensare che su 500 contratti firmati dai sindacati confederali, ne sono “spuntati”, negli ultimi due anni, 200 firmati da sindacati minori che abbassano le paghe contrattuali, rispetto alla media della paga base dei contratti confederali. Stiamo tornando indietro di decenni. Alcuni imprenditori propongono “contratti” senza contrattazione sindacale. Il rapporto di lavoro è un contratto, sancito dalla Costituzione, tra le rappresentanze dei lavoratori e impresa, non deve essere solo l’imprenditore a dettare le regole. Lo spirito della contrattazione è questo.
Entrando nel vivo dell’argomento che ci interessa approfondire, come si è arrivati allo Statuto dei lavoratori e cosa ha rappresentato per il nostro paese ?
Antonio Pizzinato: “Ci si è arrivati attraverso anni di lotte e di contestazioni. All’epoca ero responsabile della Fiom di Sesto San Giovanni, ai tempi chiamata “la Stalingrado d’Italia” per le migliaia di metalmeccanici e non solo, che vi lavoravano e vivevano. Era il periodo delle grandi migrazioni dal sud al nord e Sesto San Giovanni accolse tantissimi migranti che hanno trasformato la città in importantissimo polo economico italiano. In pochi mesi dopo l’applicazione dello Statuto, eravamo riusciti a fare eleggere 1.133 delegati sindacali, che poi elessero a loro volta il sindacato unitario dei metalmeccanici. A Sesto, vista l’importanza della città, arrivò pure Bruno Trentin, segretario generale, Fiom e in seguito della Cgil. Altra cosa importante dell’applicazione dello Statuto, fu lo sviluppo proprio nelle aziende di Sesto San Giovanni di una politica vera sui temi della sicurezza del lavoro e dell’ambiente. Vennero così costituiti gli Smal, ovvero servizi pubblici specializzati in medicina sul lavoro. In un certo senso venne anticipata l’Inail. Il numero dei morti sul lavoro era altissimo, si andava a lavorare e non si tornava più a casa. Oggi la legge di bilancio del governo gialloverde ha tagliato i premi all’Inail. Questo vuol dire riduzione delle risorse finanziarie finalizzate ai progetti per la sicurezza e la prevenzione, tagli ai fondi Inail, e altre misure che vogliono ridurre il costo del lavoro, sulle spalle dei lavoratori. Insomma la situazione è molto grave. Mi auguro che con la ripresa delle manifestazioni sindacali e attraverso una riflessioni di tutti i cittadini, si riesca ad arginare questa deriva pericolosa per i diritti FONDAMENTALI dei lavoratori. Nel frattempo portiamo avanti la proposta del nuova Carta dei diritti universale del lavoro. La Cgil comunque non si ferma, soprattutto in questa delicata e pericolosa fase storica”.
Rubrica di storia del movimento sindacale: Vedi anche: http://www.nordmilanotizie.it/il-68-e-il-69-quando-alla-pirelli-nacque-la-grande-contestazione-epocale