NON C’È LISTA UNITA CHE TENGA, SE NON PARTE DALLA VITA DELLE PERSONE
È un nodo, una condanna, una condizione necessaria? Parlo della lista di sinistra, il punto su cui si è incardinata la discussione politica (il manifesto, 8 luglio) e attraversa i pensieri di chi si appassiona. Ecco subito la nuova domanda: chi si appassiona? La risposta è inevitabile: chi è già coinvolto, chi fa già parte del campo della politica.
E quindi riformulo il punto: una lista di sinistra, da sola, è in grado di mobilitare la passione degli elettori? È cioè in grado di conquistarne di nuovi, di allargare il campo, di smuovere gli animi, di portare al voto chi da sempre se ne tiene lontano, come è successo per esempio a quei ragazzi che in così gran numero e in percentuali mai viste nella loro generazione hanno votato no al referendum costituzionale dello scorso 4 dicembre?
Lo dico con chiarezza: ritengo che, contrariamente agli anni passati, l’unità di una lista di sinistra da sola non sia sufficiente. La consumazione della crisi della politica, e dei partiti che ne sono stati gli interpreti, ha conseguenze forti e reali. L’unità ha avuto un forte richiamo, in quanto tale, fin quando sono stati evidenti il campo e gli interessi che erano in gioco.
Oggi proclamare l’unità, cioè definire i confini di uno spazio organizzato, sia pure nella situazione provvisoria di una lista elettorale, non garantisce più nulla agli elettori che stanno al di fuori del cerchio degli stretti fan. Non garantisce la certezza di sapere per chi e cosa votano, per quali proposte, per quali progetti.
La scena della discussione a sinistra è occupata da vicende di organizzazioni. Al centro sono le divisioni del Pd, gli smottamenti, fino ad arrivare all’amore o l’odio per Renzi. Dispiace vedere che anche i protagonisti preferiscono attenersi a formule generiche, più che entrare nel merito.
A che serve invocare il centrosinistra da rifondare? Quale promessa ne viene agli elettori? Che verrà rivista la riforma Fornero, approvata in pochi giorni senza nessuna reale opposizione, nello sbandamento seguito non solo alla minaccia di bancarotta dello stato italiano, ma anche di una sinistra che per anni aveva avuto come unico contenuto l’odio anti-Berlusconi? O che il sistema sanitario, sempre più privatizzato, verrà riorganizzato secondo criteri di giustizia sociale? O che il primo impegno sarà unire a un reddito di cittadinanza la creazione di nuovo lavoro?
Quasi mi vergogno, a scrivere queste parole semplici, così semplici da sembrarmi demagogiche.
Ma non c’è lista unita che tenga, se non parte dalla vita delle persone. Perché non c’è nulla di attraente e credibile, se si rimane alle alchimie parlamentari. Abbiamo bisogno di avere forza a sinistra, una forza che permetta di combattere per lo ius soli, per una accoglienza concreta, vera. Che affronti le paure per quello che sono, senza ingigantirle e senza demonizzarle, mostrando che i problemi si possono risolvere. È che ci vuole una visione, un saper guardare il mondo, elevare lo sguardo.
Non è un caso che in tanti, anche e soprattutto non credenti – ascoltino papa Francesco. Le parole del Vangelo, per quanto antiche, non sono logore. Beati i poveri, risuona forte e parla ancora oggi.
Allora voglio dire che tutto è perduto, non c’è nulla da fare, l’Italia è condannata a non avere una forza di sinistra? Al contrario. È il momento di costruirla. Tutti quelli che vogliono unirsi, comprese le forze politiche, devono farlo, in modo lieve, ciascuno parli a tutti gli altri, in un processo comune. Le discussioni non siano di spartizioni, ma di grandi scelte. Al Brancaccio, e le assemblee già iniziate in questo luglio, in una road map in via di definizione, Anna Falcone e Tomaso Montanari hanno messo al centro la democrazia e la disuguaglianza. Quali sono le misure con cui vogliamo combattere quella differenza enorme tra i pochissimi ricconi e sempre più numerosi poveri? Poveri che lavorano, spesso, come sanno i ragazzi e le ragazze, i nostri figli, reali o simbolici che siano?
Non è di questo, che si appassiona e commuove chi vive nel mondo? Immaginare una vita migliore, darsi da fare per renderla possibile. E non nel successo individuale, come ha insegnato il neoliberismo, ma come comune e condivisa. Non da ultimo, dall’assemblea del Brancaccio viene un modello nuovo, almeno in Italia. Niente uomo solo al comando, ma una leadership condivisa: una donna, un uomo.
Una promessa di differenze e pluralità. Il contrario di quelle organizzazioni monolitiche dedite al culto del capo che ci affliggono. Una speranza.
articolo di Bia Sarasini su Il Manifesto del 21 luglio
NON C’È LISTA UNITA CHE TENGA, SE NON PARTE DALLA VITA DELLE PERSONE