Li Ka Shing e il lungo addio dell’Italia al settore della telefonia

Questo articolo è stato pubblicato il 12 aprile 2013 alle ore 06:42.

Li Ka Shing (Corbis)Li Ka Shing (Corbis)

Se Li Ka Shing entrerà in Telecom Italia, in quindici anni l’Italia avrà definitivamente perso tutte le sue aziende di tlc. Tutto è iniziato con l’allora Omnitel finita agli inglesi di Vodafone, poi è stata la volta della 3 Italia, venduta ai cinesi; e Wind, passata addirittura da uno straniero all’altro: dall’Enel all’egiziano Naguib Sawiris e da Sawiris all’oligarca russo Mikhail Fridman. Senza dimenticare Fastweb, regina della new economy ora nelle mani dei riservati e taciturni svizzeri di Swisscom.


Da fine anni 90, quando partì l’epoca delle liberalizzazioni e fu un fiorire di compagnie telefoniche, alla fine dell’ “indipendenza”, in un tempo record. L’ex monopolista telefonico è rimasto l’unica azienda tricolore. E ora, nel vuoto della politica, con un paese che – seppur in recessione rimane l’ottavo paese industrializzato al mondo – è senza un governo da un mese e mezzo, anche l’ex colosso pubblico potrebbe fare passaporto estero (cinese per l’appunto). Ovvio che il libero mercato non ha e non può avere bandiere nazionali, ma l’eventuale epilogo delle tlc in Italia è anche figlio della mancanza di una politica industriale. Che non ha mai definito gli interessi nazionali e creato dei poli di riferimento.

Il magnate di Hong Kong (si veda altro articolo in pagina) ha risorse apparentemente illimitate, ma 3 Italia, nata dalle ceneri di Andala (fondata da Renato Soru e Franco Bernabè) non si presenta con una dote propriamente invidiabile a un eventuale matrimonio con Telecom Italia, guidata da quello stesso Bernabè: circa 8 miliardi di perdite cumulate nel corso degli anni. Un solo bilancio in utile (quello del 2010, per appena 150 milioni) in undici anni (anche se la società non brucia più cassa da qualche anno ormai e ha un Mol in nero). Su 3 Italia pesa da sempre il peccato originale delle fatidiche licenze Umts, messe in vendita dallo stato a peso d’oro, strapagate dagli operatori e rivelatesi un flop. Il gruppo fa solo telefonia mobile e dopo aver tentato, senza troppo successo, la via delle video-chiamate, ha trovato un business model di successo con le chiavette internet. Ma il conto economico ancora arranca. E il magnate cinese da anni versa senza sosta soldi nell’azienda. L’ultimo assegno è stato staccato a inizio 2012: un maxi-prestito da un miliardo. Liquidità che si va ad aggiungere ai 4,4 miliardi versati nei soli ultimi cinque anni e che dovrà servire per ripianare le perdite e continuare a sostenere gli investimenti. 3 Italia conta 9,6 milioni di clienti (soprattutto in banda larga mobile, oggi il segmento di mercato più ricco): un portafoglio abbonati che proietterebbe Telecom a sfondare la soglia dei 40 milioni (dai 33 milioni), superando di slancio Vodafone (oggi quasi appaiata a quota 29 milioni). Il nodo è che ciascun di quei clienti ha una spesa media in continuo calo (18,44 euro l’Arpu totale del 2012 contro i quasi 20 dell’anno prima).

Il paese che ha inventato la telefonia mobile rischia di trovarsi nella paradossale situazione di non avere una compagnia telefonica nazionale (ci sarebbe Tiscali ma il gruppo di Soru è assolutamente troppo piccolo). A fine anni ’90 l’Italia era all’avanguardia nelle tlc: la Tim guidata da Vito Gamberale lanciò, prima al mondo, le carte sim. Fu l’allora giovane manager Roberto Colaninno a dare il via al valzer: la Olivetti vendette la Omnitel alla tedesca Mannesmann (e con il ricavato la Olivetti fece la provvista per la scalata alla Telecom Italia del “nocciolino duro” post-privatizzazione) che a sua volta fu comprata dalla Vodafone. Il famoso logo verde di Omnitel rimase in vita qualche anno per poi essere sostituito dal rosso Vodafone. Poi fu la volta di Wind quando l’Enel della gestione di Paolo Scaroni decise di abbandonare la strategia della multiutility. Spuntò Sawiris che ha tenuto Wind per sei anni e poi l’ha venduta ai russi di Vimpelcom (attuali proprietari). Nel frattempo anche Fastweb, la creatura di Silvio Scaglia e Francesco Michel, ha preso la via dell’estero: la svizzera Swisscom. La stessa sorte toccherà anche a Telecom?