Cambiare tutto un’ora alla volta, lavorare meglio tutti. E’ l’obiettivo, sintetizzando, della nuova proposta di legge di Marco Grimaldi, capogruppo del Gruppo consiliare Liberi e Uguali del Piemonte. Di questa proposta, se ne è parlato a Sesto San Giovanni, qualche giorno fa, in un incontro pubblico, durato diverse ore e molto partecipato.
Marco Grimaldi, Elena Lattuada segretario generale CGIL Lombardia, Alessando Gerosa dottorando in Sociologia presso l’Università degli Studi di Milano e Onorio Rosati Comitato promotore di Liberi e Uguali Milano hanno discusso della nuova normativa proposta in Regione Piemonte e che successivamente arriverà in Parlamento. L’incontro è stato presentato da Antonio Pizzinato, senatore ed ex segretario generale della CGIL e da Michele Foggetta, segretario Sinistra Italiana di Sesto San Giovanni. Parliamo di una lunga riflessione dove gli ospiti hanno fatto anche chiarezza sulle condizioni di lavoro e contrattuali dei nostri giorni.
Tanti sono i problemi, e purtroppo il lavoro più che un diritto costituzionale si sta trasformando in un “bene di lusso”. Le aziende tendono a dare sempre meno importanza alla contrattazione sindacale, soprattutto con i sindacati confederali, come ha spiegato Pizzinato. Basti pensare che in Italia esistono centinaia di tipologie contrattuali e quelle siglate da CIGL, CISL e UIL stanno diminuendo, rispetto all’autonomia imprenditoriale e dei sindacati meno rappresentativi. Dopo questa breve sintesi della lunga e sentita introduzione di Pizzinato, la riflessione alla base che ha portato alla formulazione della proposta di legge di Grimaldi “sta” che, in Italia, c’è chi lavora troppo e chi purtroppo troppo poco. A questo si aggiungono la precarizzazione sempre più dilagante e tutta quella fascia di cittadini disoccupati che “sono ancora sulle spalle” della generazione che ha beneficiato degli obiettivi ottenuti durante i tempi d’oro della contrattazione. Se si riducesse l’orario di lavoro (full time) a parità di salario ci sarebbe una ovvia redistribuzione del reddito.
La proposta di legge si struttura su due livelli. A livello regionale, per ora in Piemonte, su quattro lavoratori che, a parità di salario, avranno una riduzione di orario di lavoro di 1 ora e mezza al giorno, l’azienda prevede un’assunzione e in cambio riceverà un contributo regionale, per una massimo di 20 mila euro per ogni nuovo assunto. A livello nazionale l’obiettivo è di arrivare dalle 40 alle 32 ore lavorative a settimana a parità di stipendio. Entrando un po’ nella grande complessità della contrattazione, questo vuol dire che da un massimo di 48 ore settimanale ogni 7 giorni, previsto oggi dalla legge, si arrivi a 40 ore; mentre l’orario normale (full time) contrattato diventi oggettivamente 36 ore. Cosa che già accade nel contratto degli Enti pubblici e in quello assicurativo (36,30 ore settimanali).
Il gruppo di Grimaldi è partito da una riflessione socioeconomica, analizzando dati oggettivi. In primo luogo l’automatizzazione dei sistemi produttivi sostituirà sempre più il lavoro dell’uomo, “marginalmente” si constata che al diminuire dell’orario di lavoro la produttività delle persone aumenta. Ridurre l’orario a parità di salario aumenterebbe ovviamente l’occupazione. Lavorare meno farebbe riscoprire il tempo libero con un conseguente sviluppo di tutte le attività legate ad esso e quindi dell’indotto.
Ripercorrendo la storia della contrattazione, il problema dell’orario di lavoro nasce già alla fine dell’800, quando era legale lavorare fino a 16 ore al giorno, quindi in super-sfruttamento. Grazie alle battaglie sindacali, con il consolidarsi dei movimenti di quel periodo, fino alla nascita della CGdl nel 1906, poi CGIL (3 giugno 1944-Patto di Roma) la situazione migliora. Nel 1899, una legge ridurrà l’orario di lavoro a un massimo di 12 ore, vietando il lavoro notturno per le donne e i ragazzi dai 13 ai 15 anni. Mentre in America lo stesso Ford (padre della catena di montaggio) applicava le 8 ore giornaliere già nel 1914, in Italia le 8 ore vengono contrattate dalla “giovane” FIOM nel 1919 per i metalmeccanici. Nel 1923 sempre la FIOM, non ancora resa illegale dal Duce, come il resto delle forze sindacali, riesce a contrattare per tutte le categorie la settimana a 48 ore. Si tratta di vertenza che diventa legge per Regio Decreto. Durante gli anni successivi e dopo il ventennio fascista grazie alla mobilitazione dei lavoratori, soprattutto operai, si arriva alle 40 ore settimanali. La Fiat fu la prima a contrattarle, ma via, via tutte le grandi aziende si allinearono, fino allo Statuto dei lavoratori del 1970, che ne formalizza i principi generali. Purtroppo nei decenni successivi la contrattazione ha avuto un’ inversione di tendenza, cosa causata da tanti fattori, come la delocalizzazione sfrenata, la svalutazione del diritto al lavoro, e l’eccessiva precarizzazione che non aiuta il costituirsi di un movimento di mobilitazione unitario, nonostante gli sforzi dei sindacati.
Questa proposta di legge, che arriva da un partito di sinistra, forse è solo un primo passo, ma è comunque un passo importante. L’obiettivo di LeU, ripetiamo, è di CAMBIARE TUTTO, UN’ORA ALLA VOLTA.
La redazione