Lettera di un “bamboccione” sardo-italo-tedesco

Lettera di un “bamboccione” sardo-italo-tedesco a un “imbecille blasonato”

Caro John,
scusami se mi permetto tanta sfrontata confidenza. Vivo in Germania, a Monaco di Baviera, da circa 5 mesi. Faccio parte di quella generazione che “vola” da un posto all’altro, con un bagaglio e qualche ricordo da mettere su un mobiletto di un appartamento di 29 mq. Quelli che al mese costano circa 500 euro, se sei fortunato. Hai mai provato l’eccitazione di guadagnare 800 euro e spenderne più della metà per un affitto? Dio, dovresti provarlo John, è come un fungo allucinogeno, da quanto non sembra reale quello che ti capita di vivere.

Voglio dirti una cosa, John. In questo mio soggiorno bavarese ho incontrato decine di italiani laureati e pluri-specializzati, artisti, scrittori, ingegneri, matematici, chimici; quasi tutti trentenni, incazzati e sofferenti. E sai perché? Perché il loro “viaggio” non è una vacanza, ma una ragione di sopravvivenza, indotto da un mondo diseguale dove i ricchi sono molto più ricchi, mille volte più ricchi, del primo dei poveri. Lo sapevi questo, John? Andare lontano dal proprio paese non è mai facile. È un esercizio che richiede forza di volontà, voglia di emergere, fortuna e altre qualità che, senz’altro, un imprenditore sagace e risoluto come te conosce bene. Uno come te che viene dal nulla, che si è fatto da solo; mica come quelli che nascono in famiglie ricche e  benestanti, con cognomi importanti, che studiano in Università private pagando rette mensili universitarie, che valgono tanto quanto lo stipendio annuale di un lavoratore qualsiasi. Di mio padre, per esempio. Cazzo John, tu sei diverso. Tu hai faticato, hai lavorato duro, hai rischiato e ci sei riuscito. Tu sei un esempio da seguire. Insegnami come si fanno i soldi partendo dal nulla; come si fa a prendere in giro quei “bamboccioni” che stanno bene solo a casa con la mammina che gli rimbocca le coperte.

Non credere a chi racconta che l’azienda per la quale lavoravano, magari ha chiuso o delocalizzato e sono rimasti con le pive nel sacco da un giorno all’altro; insegnami le magie del jet-set con quella “nonchalance” che dimostri di avere negli ambienti che contano. Anche io voglio essere così, e fanculo la coscienza che mi dice qualcos’altro. Voglio essere un ricco spavaldo. Possedere una Ferrari, una squadra di calcio, avere un Rolex nel polsino, un abito Ferrè e Valentino per tutti i giorni, far parte di una decina di C.d.A., partecipare a quelle feste mondane dove ci sono i giornalisti specializzati nei gossip, che mi chiedono, in mezzo a centinaia di persone: “È una bella festa questa” e io che rispondo: “Certo l’ho organizzata io”. Che soddisfazione!
Sai John, io credo nella teoria del caos. Nessuno ha deciso di nascere in una famiglia povera o ricca, bello o brutto, alto o basso, in Congo o in Svizzera, in Afghanistan o inAmerica. C’è sempre qualche “causa maggiore” che decide per noi. Tu non hai mica deciso volontariamente di far parte di quella èlite italiana del 10%, che detiene più della metà della ricchezza del paese; così come io non ho deciso volontariamente di nascere in una famiglia monoreddito in Sardegna e di far parte, invece, della squadra del 46%, quella dei disoccupati a cui politiche criminali a vantaggio di quelli come te stanno levando il futuro. Sai John, le frasi che hai detto a Sondrio: “i giovani non trovano lavoro perché stanno bene a casa”; e bisogna essere “più ambiziosi” per riuscire nella vita, mi hanno fatto pensare che il più delle volte la ricchezza dà alla testa, impedisce un’analisi razionale degli eventi. In Italia non ci sono più imprenditori, tantomeno capitalisti disposti a rischiare. Il vero imprenditore è quello che investe il proprio capitale, rischia i propri soldi su progetti che reputa validi, investe sugli uomini, sulla conoscenza e sulle idee. Tanti imprenditori, per come li conosciamo ora, non investono i loro capitali; li fanno girare nella finanza creativa, per creare denaro su denaro, senza alcuna ricaduta sociale. Lo ha fatto anche la Fiat, negli anni novanta, ma tu ovviamente non lo sai, forse eri a Cambridge a studiare economia.

La mia lettera, John, per non tediarti troppo, finisce qua; ma vorrei dirti ancora una cosa. Se mai un giorno io dovessi diventare ricco come te e mi chiamassero a dibattere, in qualche università, di economia e sviluppo, di investimenti, di giovani, non direi mai frasi come quelle che hai pronunciato tu, e per un motivo sostanziale. Ci sono valori che i soldi e la ricchezza non possono né comprare né valutare, cioè il rispetto e la dignità delle persone. Ricordati sempre che in un paese di 60 milioni di cervelli, c’è e ci sarà sempre qualcuno più intelligente, capace e preparato di te; purtroppo, forse, non altrettanto fortunato. Ogni mattina, alzandoti dal letto a baldacchino sul quale riposa tutte le notti il tuo plutocratico sedere, ricorda questo non secondario particolare, e ringrazia la teoria del caos alla quale devi tanto, forse tutto. Ti servirà per essere più umile e forse, anche più avveduto di quanto dai l’impressione di essere. Il tuo bamboccione sardo-italo-tedesco.

di Giancarlo Balbina

fonte: http://caratteriliberi.eu/2014/02/16/cultura-e-societa/lettera-di-un-bamboccione-sardo-italo-tedesco-un-imbecille-blasonato/