Ringraziamo l’amico Luigi Vinci per averci inviato l’intervento con cui il 12 marzo al Senato ha presentato le Lettere dal carcere di Ocalan. Presentazione che pubblichiamo integralmente:
Tratterò in quest’intervento, abbastanza rapidamente, quattro punti che considero fondamentali, dando quindi per scontata, in questa sede, una buona conoscenza della questione. La prima è la natura reale della questione curda. Si tratta di una grande popolazione, forse verso i 50 milioni di individui, più di metà in Turchia, il resto in Iraq, Iran, Siria, più gruppi minori in paesi contigui. Il Trattato di Sèvres, 1920, che definì le sorti dell’Impero Ottomano, riconobbe ai curdi un’entità statale, sulla maggior parte dei territori ex ottomani in cui erano prevalenti. Il successivo Trattato di Losanna, 1923, cancellò questo diritto, a seguito dei risultati militari della riscossa nazionalista turca guidata da Atatürk. E’ da allora che in Turchia i curdi perdono i diritti culturali, a partire dalla disposizione in senso pieno della loro lingua. Le forme dell’oppressione linguistica non furono tuttavia le medesime. Per farla breve, si passerà dalla tolleranza dell’uso locale della lingua curda al tentativo della sua cancellazione radicale, anche tramite il sequestro dei bambini. L’esistenza stessa di un’identità nazionale curda viene negata (i curdi furono chiamati “turchi di montagna”). Si accanì in quest’operazione, in particolare, il regime militare seguito al colpo di stato del 1980, il terzo nel dopoguerra: che impose una costituzione autoritaria e ultranazionalista, definì reato contro l’identità turca ogni uso della lingua così come ogni rivendicazione di autonomia delle zone curde. Sono dati di fatto che non sono mai sostanzialmente scomparsi. Rammento come quei parlamentari curdi, tra i quali il futuro Premio Zacharov del Parlamento Europeo Leyla Zana, che nel 1991, appena eletti, giurarono all’apertura del Parlamento turco la loro fedeltà alla repubblica turca usando il curdo, aggiungendo inoltre al giuramento il loro impegno ad agire per la pacificazione tra curdi e turchi in un quadro di eguaglianza dei diritti, saranno interrotti e saranno, successivamente, tratti in arresto in aula, processati per separatismo e terrorismo, parte di loro condannati a morte, altri al carcere. Le condanne a morte saranno poi mutate in 15 anni di carcere, sulla scia dell’indignazione mondiale per questi fatti. Rammento, ancora, come i congressi dei partiti curdi legali debbano mi pare tuttora essere svolti in lingua turca. La storia curda è fitta di insorgenze popolari contro l’oppressione linguistica e la ferocia dei regimi che ne controllavano i territori; quella del PKK è solo l’ultima. Il PKK (il Partito dei Lavoratori del Curdistan), di orientamento in origine marxista-leninista nella variante maoista, viene fondato nel 1971, subito dopo il secondo colpo di stato militare del dopoguerra, con l’intento di difendere i diritti della popolazione curda. Vedremo via via gradatamente come questa posizione evolverà. Nel 1978 il PKK passa sotto la direzione di Abdullah Öcalan e del fratello Osman. Nel 1980 il già menzionato terzo colpo di stato militare abolisce l’uso anche orale del curdo. La repressione a carico del PKK è violentissima, fatta di migliaia di incarcerazioni e di impiccagioni. Nel 1984 il governo torna ai partiti; il controllo militare e la repressione di polizia della realtà turca rimane tuttavia totale. Constatando, così, che nulla avviene a correzione della condizione di brutale sopraffazione della popolazione curda il PKK decide il passaggio alla lotta armata. L’obiettivo generale della lotta curda, inoltre, diventa l’indipendenza del Curdistan turco, nella prospettiva di uno stato curdo comprensivo del complesso dei territori curdi. La repressione, le cui vittime la Turchia assegna non a se stessa ma al PKK, fu d’una brutalità antipopolare inaudita. Sono stati cancellati 4 o 5 mila villaggi curdi; milioni di curdi sono stati obbligati a spostarsi, finendo soprattutto nelle grandi città turche. Molte migliaia di persone sono state vittime di torture o sono state assassinate dalle forze di polizia. Il fenomeno dei desaparecidos, persone fermate dalla polizia di giorno e rilasciate di notte, prelevate all’angolo della strada e scomparse nel nulla, è stato un fenomeno largo. Se visitate la sede a Diyarbakır dell’Associazione per i Diritti Umani trovate una stanza nella quale sono le foto delle decine di suoi dirigenti o attivisti assassinati o scomparsi. Concludo il primo punto. Vergognosamente per l’intera Europa, Italia inclusa, quasi tutte le sue famiglie politiche incluse, il PKK è considerato un’organizzazione terroristica. Pare che per i curdi, in Europa, non valga quel diritto all’autodeterminazione delle popolazioni oppresse che è dichiarato dalla Carta della Nazioni unite. Le popolazioni che in Europa occidentale attivarono a suo tempo la lotta armata contro gli occupanti nazisti e i loro sodali fascisti patirono enormemente meno, e per un tempo enormemente più breve, di quanto hanno patito, e continuano a patire, i curdi di Turchia. Continuano a patire. Sono in carcere attualmente diverse migliaia di curdi, i cui reati di “separatismo” e “terrorismo” rinviano in realtà alla rivendicazione dei diritti linguistici nel quadro dello stato turco. Molti di loro sono sindaci, membri di giunte locali, loro consiglieri. Ci sono anche deputati, per il cui arresto non è stata neanche richiesta l’autorizzazione a procedere da parte parlamentare. La seconda questione riguarda la figura di Öcalan. Egli non è semplicemente il capo del PKK: è il capo riconosciuto della popolazione curda di Turchia. I curdi si sono continuamente ingegnati dopo la prima guerra mondiale, e soprattutto dopo la seconda, nella creazione di organizzazioni di resistenza e di aiuto sociale di tutti i tipi, inoltre sono riusciti a creare loro partiti legali. Continuamente sciolti per aver sostenuto il “separatismo”, ovvero difeso i diritti dei curdi, essi sono stati immediatamente ricostituiti, cambiando nome e cambiando le figure dirigenti. Questi partiti hanno sempre riconosciuto in Öcalan il capo dei curdi di Turchia. Ogni manifestazione dei curdi di Turchia porta i ritratti di Öcalan. Una frase che ascoltai tempo fa da un militante curdo chiarisce la questione meglio di tante astrattezze: “Öcalan ha ridato dignità ai curdi, ne ha raddrizzato la schiena e fatto alzare la testa”. C’è poco da dire, a conclusione di questo punto: l’intenzione dei governi turchi che sono seguiti a quelli militari si misura sul riconoscimento o meno di questo dato elementare e basilare della realtà curda, Öcalan come il capo riconosciuto dei curdi. Ciò rinvia al terzo punto: che hanno fatto e fanno i governi dell’AKP (operanti dal 2002), a guida Erdoğan (dal 2003). Non sono mancate alcune concessioni alle richieste curde, tuttavia minime. L’esistenza dei curdi è stata riconosciuta, vi sono oggi trasmissioni tv e radio in curdo e scuole di lingua curda. Ma le trasmissioni dispongono di poche ore al giorno e non possono trattare di politica. Le scuole sono private, i ragazzi che le frequentano debbono dimostrare di sapere il turco, inoltre incappano sistematicamente nelle severissime leggi turche sulla qualità degli edifici scolastici, ovviamente non attivate preso ogni altro tipo di scuola, altrimenti in Turchia a scuola non ci andrebbe quasi nessuno. Insomma in realtà non c’è quasi niente a soluzione positiva della questione curda di Turchia. Parallelamente, come ho già detto, continua la repressione, ci sono migliaia di attivisti in carcere; ci sono anche ragazzini, messi assieme a carcerati adulti e per reati comuni, “rei” di aver scagliato sassi contro la polizia alle manifestazioni. Credo si possa dire così: che l’AKP islamico ha rapidamente finito, nella sua infinita schermaglia con il potere militare e quello giudiziario, dominati dal laicismo autoritario della tradizione kemalista, col fare proprie le posizioni nazionaliste autoritarie di questa tradizione, ovviamente pro domo sua. Sono in carcere attualmente molte centinaia di giornalisti: è un reato contro l’“identità turca”, ormai, anche la critica al governo. Mi pare inoltre, da quel che si legge sui giornali, che Erdoğan abbia fatto del suo meglio anche su un altro terreno, quello dell’imitazione delle pratiche familistiche e ladre dei partiti laici kemalisti contemporanei. Fatto sta, infine, che Öcalan continua a essere in carcere, per di più unico detenuto, isolatissimo, spesso irraggiungibile da avvocati e parenti, sull’isola-fortezza di İmralı; un fatto che, mi pare, dice tutto. All’inizio la trattativa avviata direttamente tra Öcalan e, all’inizio, funzionari del MİT, i servizi turchi, a fine 2012, aveva portato a alla possibilità di un’intesa pacificatrice. Dirò tra poco i contenuti della proposta di Öcalan. Ciò nonostante l’esercito turco ha proseguito le azioni militari e di rastrellamento sulle montagne dove sono operanti le milizie del PKK; inoltre nessuno degli impegni assunti poi dal governo turco sarà mantenuto. La situazione ora quindi è in stallo, e la repressione anticurda è ripresa su ampia scala. Immagino che a determinare, sul versante del governo, questa situazione sia stata la guerra civile in Siria: i territori curdi di questo paese, che sono a ridosso del confine turco, si sono liberati e si sono dichiarati neutrali dinanzi alle altre parti in conflitto. La forza politica, l’YPG, che guida i curdi di Siria, è molto vicina al PKK. Il governo turco ha mostrato in molti modi di non gradire questi fatti e questa guida: tant’è che ha eretto muri e fili spinati sul confine siriano, che bloccano anche la gente in fuga dai combattimenti o affamata, presta assistenza di varia natura alle milizie islamiste, che combattono contemporaneamente contro Assad, l’Esercito Siriano Libero e appunto i curdi (oltre ad armare, la Turchia, vari gruppi islamisti contigui ai qaedisti). State attenti, onorevoli, potrebbero venire fuori brutte ulteriori sorprese dall’attuale Turchia. Quarto e ultimo punto: l’evoluzione del PKK e delle sue rivendicazioni. La posizione ideologica originaria è facilmente spiegata da tre dati: la simpatia nelle sinistre studentesche mondiali per la Cina verso tra la fine degli anni sessanta e i primi anni settanta; un successivo avvicinamento all’Unione Sovietica, sulla scia del rapporto storico dei movimenti curdi di tutta l’area con questo paese, fin dagli anni venti; il marxismo-leninismo come forma del marxismo in tutta l’area medio-orientale di allora. Saltando alla situazione di oggi, il PKK, attraverso la riflessione in carcere molto ricca di Öcalan, si pone l’obiettivo della democratizzazione della Turchia e della sua pacificazione interna, nel quadro della democratizzazione e della pacificazione dell’intera area medio-orientale; ed è a quest’obiettivo più generale che esso rinvia, anche in forma di lungo processo, la ricomposizione unitaria delle realtà territoriali curde. In via transitoria, parimenti, accanto alla conquista dei diritti linguistici e di quelli democratici dal lato dei curdi di Turchia il PKK pone il consolidamento della realtà semi-indipendente curda nel nord dell’Iraq e la realizzazione di qualcosa di analogo nel nord della Siria. Il mutamento degli obiettivi relativi alla Turchia riflette anche lo stallo della sua situazione e la condizione drammatica della condizione curda, dopo anni di guerra interna. La repressione militare e di polizia ha fatto nel sud-est curdo della Turchia decine di migliaia di morti e milioni di profughi interni: sofferenze la cui prosecuzione la popolazione curda non era in grado di continuare a sopportare senza che divenissero intollerabili, pur continuando coraggiosamente essa a manifestare, i suoi ragazzi e le sue ragazze ad andare in montagna, ecc. Inoltre la guerriglia non è stata in grado di sbloccare la situazione. La combinazione guerriglia-azione legale o semilegale-presenza e iniziativa parlamentare qualche risultato, pur modesto, invece l’ha dato. La conclusione è stata, in primo luogo da parte di Öcalan, che occorresse tentare un’interlocuzione con il governo islamista, offrendo l’arresto della lotta armata in cambio di un processo di riforme che riconoscessero i diritti della popolazione curda. Quindi, se in un primo momento, precedente l’arresto, nel 1999, di Öcalan, l’obiettivo del PKK era diventato, anziché l’indipendenza del Curdistan turco, la sua forte autonomia, ora esso evolve nella rivendicazione, nelle aree curde, semplicemente dell’esercizio pieno dei diritti linguistici e democratici. Non bisogna dimenticare, per comprendere questo sviluppo, come ogni rivendicazione di autonomia territoriale in Turchia passi per un tentativo di separatismo e ciò faccia imbracciare i mitra ai generali e impegni la magistratura in arresti e condanne. Né bisogna dimenticare che l’AKP ha sviluppato il suo conflitto di potere con i militari anche attraverso la riduzione sostanziale delle reciproche differenze originarie di concezione della Turchia, se cioè stato multietnico a maggioranza turca o stato dei turchi e basta, e gli altri se vogliono esistere devono diventare turchi. Dunque grosse concessioni da parte di Öcalan erano inevitabili, volendo aprire una trattativa onde sbloccare un percorso positivo.
Riassumo, e con ciò concludo l’intervento, la proposta fatta da Öcalan: primo, il cessate il fuoco da parte di guerriglia curda ed esercito turco, e la ritirata della guerriglia dalla Turchia in Iraq; secondo, la soppressione di quella legislazione repressiva che aveva creato il problema curdo, la liberazione dei prigionieri politici curdi in carcere, la possibilità di ritorno senza arresto degli esiliati; terzo, la realizzazione di questi obiettivi nel giro di due mesi. Un’intesa sembrò per qualche mese possibile. Non è invece successo nulla di sostanziale. Nell’aprile dello scorso anno le milizie curde hanno cessato il ritiro dalla Turchia e nel maggio successivo hanno ripreso, dovendo difendersi dagli attacchi dell’esercito, le operazioni militari. Non credo che Erdoğan sia più un interlocutore credibile; né è detto, con i guai che si ritrova, che continuerà a essere a capo del governo della Turchia. Il tentativo eventuale di affrontare seriamente la questione curda di Turchia toccherà quindi ad altri. E’ dubbio tuttavia che ciò possa accadere, se la Turchia non verrà sollecitata, con la rudezza necessaria, dal lato europeo. Quindi anche italiano. La sinistra italiana non può esimersi da una propria attivazione in questo senso, mi pare, anche perché essere di sinistra dovrebbe sempre significare essere dalla parte dei popoli oppressi e martoriati da poteri feroci.