La bolla immobiliare

untitledSi discute molto di crisi dell’edilizia, con opinioni contrastanti tra chi ritiene imminente ed inevitabile la risalita dei prezzi, chi lamenta la sofferenza di un mercato che andrebbe aiutato pena un ulteriore svalutazione del bene casa tanto caro alle famiglie italiane, e chi scrive di una salutare scoppio di una bolla finanziaria che aveva fatto dell’Italia il paese con il mattone più caro d’Europa. Tutti ragionamenti interessanti, sopratutto per i sestesi che vedono la rinascita della loro città legata a filo stretto con la realizzare di migliaia di nuovi alloggi. Postiamo quindi con piacere questa interessante analisi scritta da A. Spampinato per il periodico Lavoro e Politica
A.G.

Nel primo decennio Duemila l’edilizia italiana è stata favorita da una bolla immobiliare e da altre condizioni di vantaggio. Il risultato sono case nuove in eccesso rispetto alla domanda e investimenti tolti a settori più produttivi. Per tornare a crescere bisogna guardare ad altri settori.
L’espressione ‘bolla’ indica una dinamica in cui i prezzi non sono determinati dall’incontro tra domanda e offerta, ma da aspettative continue di rialzo. Quando una bolla speculativa altera le convenienze a investire tra settori, il processo di sviluppo economico risulta modificato.
Nel decennio passato l’edilizia italiana non è stata solo favorita dalla bolla immobiliare, ma anche da altri vantaggi nella gestione degli appalti di lavori pubblici.
L’esaurimento di queste condizioni di favore è premessa per una ripresa della competitività dell’economia italiana nel suo insieme, oltreché per nuove politiche pubbliche per la crescita del capitale umano e dell’occupazione.
La stima più importante dei prezzi in serie storica è ancora quella di Nomisma, benché
di recente l’Istat abbia migliorato le statistiche di settore. A partire dal 1998, e fino al 2007, l’andamento dei prezzi immobiliari cumula una inflazione totale del 71 per cento, con una media annua del 10 per cento. Da qui in avanti si ha stabilità e una lieve deflazione. Lo stesso andamento, accentuato, hanno le variazioni reali annuali dei prezzi, differenza tra inflazione immobiliare e variazione dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati.
Il numero di nuovi appartamenti costruiti ogni anno segue dall’inizio del primo decennio Duemila la crescita dei prezzi, arrivando a oltre 300mila nel 2005. Dopo il 2007, la produzione scende ai livelli degli anni Novanta. Le variazioni dei prezzi e dell’offerta hanno un buon accostamento all’andamento del valore aggiunto dell’intera economia negli anni Novanta; al contrario, durante la bolla speculativa non vi è correlazione tra mercato immobiliare e crescita economica.
Considerando come fisiologica una produzione media di poco inferiore a 200mila case
all’anno, si può attribuire al periodo 2000-2007 la costruzione di circa 820mila case in più di quelle che si sarebbero costruite senza la dinamica speculativa, che peraltro ha favorito la realizzazione di appartamenti sempre più piccoli.
Il comparto immobiliare sostiene che l’incremento dell’offerta e dei prezzi non è dovuto a una bolla speculativa, ma alla crescita della domanda, conseguenza di un’ondata demografica.
Per dare credito all’obiezione ho calcolato la popolazione in età 25-40 anni negli ultimi due decenni. I giovani potenzialmente interessati all’acquisto di una prima casa sono circa 500-600mila. Pertanto il livello di produzione degli anni Novanta sarebbe stato sufficiente a soddisfare la domanda aggiuntiva in meno di tre anni anche se tutti avessero voluto acquistare da single. La rapida inflazione ha consentito invece molti investimenti speculativi.
D’altra parte, una forte inflazione sulla casa aumenta le rate del mutuo, o richiede
più disponibilità di risparmio: non è quindi nell’interesse di giovani che acquistano
il bene perché necessario.
Il deflatore del valore aggiunto è una misura approssimata delle dinamiche settoriali
nei prezzi dei prodotti finiti; offre quindi una indicazione su come cambia la convenienza a investire: le aspettative degli investitori infatti si aggiustano per seguire i profitti attesi, a loro volta correlati alle dinamiche di prezzo.
Il settore delle costruzioni è uno dei tre a maggiore dinamica inflattiva dal 1970 in
avanti; leggendo i dati per decenni si scopre che si avvantaggia soprattutto negli anni Duemila.
Agricoltura e industria sono al contrario sempre caratterizzate da inflazione più modesta, poiché la concorrenza e le minori relazioni con la politica riducono le possibilità di aumenti nei prezzi.
Durante la bolla speculativa, il rapporto tra impieghi bancari nel settore delle costruzioni e impieghi nel settore manifatturiero cresce continuamente: gli impieghi in edilizia giungono a pesare il 60 per cento degli impieghi nel manifatturiero, che si riducono anche rispetto all’investimento nei servizi. Poiché l’edilizia ha una produttività media comunque inferiore a quella manifatturiera, il processo ha ridotto la produttività aggregata della nostra economia. Il lamento dei costruttori edili è quindi fuori luogo. Una tassazione progressiva sugli immobili può contribuire a ridurre l’incentivo alla rendita rispetto all’investimento in progetti a maggiore produttività e a rendimento differito.
In questo modo l’Italia può tornare a scommettere su settori a maggiore domanda
di conoscenza, sul capitale umano e su nuove politiche pubbliche. ■