Una settantina di attivisti italiani più una delegazione internazionale. E’ la prima carovana internazionale per Kobane. O meglio per quell’area di confine a sud-est della Turchia, lungo le frontiere con la Siria. Obiettivo: chiedere al governo turco l’apertura di un corridoio umanitario per Kobane, epicentro della battaglia dei curdi contro l’Isis.
Nella valigia, anche la speranza di arrivarci a Kobane per portare solidarietà all’esercito curdo. L’iniziativa è stata presentata alla Camera in una conferenza stampa degli attivisti e dei parlamentari di Sel impegnati nell’iniziativa.
«La lotta del popolo curdo contro l’Isis dovrebbe essere una battaglia di tutta l’umanità», ha dichiarato Mehmet Emin Gulmez, rappresentante della comunità curda a Roma. «Vorrei ringraziare gli attivisti italiani, i volontari che sono lì ma soprattutto l’esercito curdo che sta resistendo». «Chiediamo l’apertura di un corridoio umanitario perché Kobane riceva gli aiuti molto spesso bloccati alla frontiera dai turchi», spiega Amedeo Ciaccheri, consigliere del Municipio VIII a Roma e rappresentante della rete ‘Rojava calling’ che ha già inviato staffette di volontari e anche personale medico volontario sul confine tra Turchia e Siria.
La carovana si muove sulla base di un appello internazionale per l’apertura di un corridoio umanitario e per la ricostruzione di Kobane firmato da centinaia di personalità, tra parlamentari, giuristi, professori, associazioni. Il d-day dovrebbe essere il 15 settembre, quando gli attivisti tenteranno di entrare a Kobane per portare gli aiuti. In caso di apertura del ‘gate’ che porta alla città, terranno anche una manifestazione al confine con conferenza stampa. Per il 16 settembre è in programma un incontro con le autorità curde della regione, dall’Hdp (Partito Democratico dei Popoli) al Dtk (il Congresso) e il Dbp (Partito regionale Democratico).
il deputato di Sel Giovanni Paglia, che fa parte della carovana, ha dichiarato da Suruc in Turchia: «A Suruc, nel luogo dove due mesi fa 33 giovani compagne e compagni furono uccisi da un kamikaze di Isis. Le tracce dell’esplosione ci sono ancora tutte, nei vetri infranti e nella lotta di chi è rimasto. Mi è stato chiesto di fare un breve saluto. Non è stato facile, perché qui abbiamo molte cose da imparare e poche parole da dire».