Jobs act anche per decreto

mio commento: l’annoso problema del lavoro che, a quanto pare, non verrà risolto, sta addirittura per essere ulteriormente stravolto e quindi la posizione dei Lavoratori sarà peggiorata rispetto a quella attuale già abbondantemente precaria. Spero, ma non ci credo, in una retromarcia da parte dell’attuale governo “misto” che è pressoché impossibile identificare dalla parte dei Lavoratori….anzi il modo di porsi dimostra che sembra decisamente sulla barricata opposta. Tutto ciò rende sconfortante, se non drammatica, la situazione per la maggior parte dei cittadini che vivono sul territorio nazionale. Forse sono troppo pessimista, ma così restando la situazione non mi aspetto nulla di buono per i Lavoratori e quindi per chi ha bisogno di lavorare per condurre una vita dignitosa. Mario Piromallo

—  Massimo Franchi, 16.9.2014

Ultimatum di Renzi alle camere: approvare entro ottobre la riforma del lavoro, altrimenti ci pensa il governo. L’art.18 è «apartheid fra lavoratori di serie A e B». Landini: sarebbe strappo inaccettabile.

Jobs act per decreto. Com­presa la modi­fica dell’articolo 18, sim­bolo di «un sistema ini­quo» e dun­que «non di sini­stra», di un «sistema del diritto del lavoro che va radi­cal­mente cam­biato». Per ora è solo una minac­cia che Mat­teo Renzi agita alla Camera – non riba­den­dola invece al Senato, dove parla qual­che ora più tardi – ma cer­ti­fica come il pre­si­dente del Con­si­glio voglia por­tare a casa “in tempi bre­vis­simi” la nuova riforma del lavoro. Dubbi di costi­tu­zio­na­lità a parte — tra­mu­tare un dise­gno di legge delega in un decreto sarebbe una for­za­tura dif­fi­cil­mente accet­ta­bile da Napo­li­tano — il pre­mier mette la pistola sul tavolo parlamentare.

Alla vigi­lia della riu­nione della com­mis­sione Lavoro del Senato che dovrà discu­tere l’articolo 4 della legge delega – quella che riguarda il con­tratto a tutele cre­scenti e, nel volere della destra della mag­gio­ranza anche la riscrit­tura in maniera restrit­tiva dello Sta­tuto dei lavo­ra­tori – il pre­mier dedica la parte più sen­tita del suo discorso alle Camere sul pro­gramma dei mille giorni al capi­tolo lavoro. L’emergenza disoc­cu­pa­zione per lui va affron­tata subito e vede come fumo negli occhi le divi­sioni all’interno della sua mag­gio­ranza che potreb­bero por­tare ad un ral­len­ta­mento dei tempi di appro­va­zione della delega. La fac­cia del mini­stro Giu­liano Poletti nel momento in cui Renzi ha pro­fe­rito la parola «decreto» era tutto un pro­gramma: la sor­presa lascia nel giro di qual­che secondo spa­zio ad un annuire di capo poco con­vinto. Dif­fi­cile pen­sare che fosse al cor­rente, anche per­ché solo qual­che ora prima — e ieri sera in un incon­tro infor­male — aveva lavo­rato ad un emen­da­mento di com­pro­messo — senza rife­ri­menti all’articolo 18 — per l’approvazione al Senato e – soprat­tutto – alla Camera, per poi non dover tor­nare a palazzo Madama, allun­gan­done i tempi, fis­sati «entro fine anno», con 6 mesi per i decreti dele­gati, di com­pe­tenza governativa.

Le parole del pre­mier hanno di fatto rin­gal­luz­zito i soste­ni­tori dell’addio all’articolo 18, già reso monco dalla riforma For­nero (“Non credo che da una nuova riforma dell’articolo 18 possa arri­vare una varia­zione per l’occupazione ma sull’articolo 18 è in corso una nuova par­tita ideo­lo­gica: c’è chi vuole vin­cere una par­tita al di là di quello che serve al Paese”, ha detto ieri l’ex mini­stro) di due soli anni fa. Lo stesso Mau­ri­zio Sac­coni (Ncd), rela­tore del prov­ve­die­mento e pre­si­dente della com­mis­sione Lavoro al Senato, è pas­sato dalle dichia­ra­zioni con­ci­lianti di lunedì — «Un com­pro­messo è a por­tata di mano» — ad applau­dire le parole del pre­mier — «Ha posi­zione più avan­zata del Pd» — e a chie­der­gli il corag­gio di «andare avanti sul decreto». Sulla stessa posi­zione Piero Ichino – autore dell’emendamento per sosti­tuire il rein­te­gro con un’indennità nel con­tratto a tutele cre­scenti – e tutta Scelta Civica.

Le rea­zioni sul fronte sini­stro però non si fanno atten­dere. Il più duro è Mau­ri­zio Lan­dini che nel giro di due bat­tute fa crol­lare la pre­sunta asse col pre­mier: «Sarebbe uno strappo inac­cet­ta­bile se si inter­ve­nisse con un decreto o se si can­cel­lasse l’articolo 18: il pro­blema è esten­derlo a quelli che non ce l’hanno». Il segre­ta­rio Fiom va oltre, chie­dendo che il Diret­tivo Cgil di oggi discuta di «scio­pero gene­rale». Con­tro Renzi anche il “ren­ziano” Ange­letti, Bonanni e tutta Sel. Silente il M5s.

Nel Pd le acque sono agi­tate: Area rifor­mi­sta ha subor­di­nato la col­la­bo­ra­zione nella nuova segre­te­ria ad una discus­sione ad hoc sulla riforma del lavoro, con Renzi dispo­ni­bi­lie a con­ce­derla a fine set­tem­bre. L’ala sini­stra intanto si schiera a difesa dell’articolo 18, per­suasa ancora di spun­tarla. Cesare Damiano, colui che come pre­si­dente della com­mis­sione Lavoro della Camera — a mag­gio­ranza sini­stra Pd — potrebbe allun­gare i tempi della delega, è con­vinto che quella del decreto evo­cato da Renzi sia «una pres­sione nor­male in que­sti casi: alla fine io credo che il decreto non ci sarà». Allo stesso modo lui – nono­stante la pres­sante richie­sta – non sarà sta­mat­tina al Senato quando i sena­tori Pd discu­te­ranno il testo dell’emendamento alla delega. L’ipotesi era quella di un’indicazione gene­rica a rimo­du­lare parti dello Sta­tuto. Poi è arri­vato il ricatto di Renzi. Le con­se­guenze si capi­ranno da oggi in poi.

fonte: il Manifesto
http://ilmanifesto.info/jobs-act-anche-per-decreto-2/