Roberto Ciccarelli
Jobs Act, l’occupazione stagna ma Renzi grida al miracolo
Istat. A novembre la stima annuale dei dipendenti è invariata, crollano le partite Iva, boom degli inattivi.
Confermato lo squilibrio del mercato del lavoro italiano: i giovani non lavorano, tra gli over 50 è boom di posti di lavoro.
Il presidente del Consiglio apprezza la disoccupazione ai minimi da tre anni ma non dice nulla sul record dei contratti precari
Abolite la realtà. Sterminate i poveri, saggi gufi. Per Renzi l’Italia ha il segno più e l’occupazione vola. La storia è nota: le «riforme» funzionano, avanti la prossima. Il disco è rotto. «La disoccupazione che continua a scendere è dimostrazione che il Jobs Act funziona. L’Italia che riparte, riparte dal lavoro #lavoltabuona» ha scritto ieri su twitter il presidente del Consiglio commentando i dati Istat sull’occupazione a novembre. «La disoccupazione è ai minimi da tre anni – ha detto il ministro del lavoro Poletti — Auguri sinceri a tutti quelli che hanno avuto un lavoro e a quelli il cui contratto precario è stato trasformato in rapporto di lavoro stabile e un grazie agli imprenditori».
Jobs Act, una narrazione tossica
È una narrazione tossica, contro la quale fortunamente crescono gli anticorpi, insieme alla capacità diffusa di leggere i numeri: la vera ossessione per un governo che li considera uno spauracchio. Manca il coraggio della verità per dire ai cittadini che in Italia l’occupazione è stagnante, c’è una crescita del lavoro a termine e precario, insieme a un balzo di tigre dell’inattività sul mercato del lavoro tra i 15 e i 64 anni. Lì’occupazione creata, Poletti dixit, è il risultato delle trasformazioni dei vecchi contratti. Non è nuova occupazione in settori produttivi.
A novembre, sostiene l’Istat, la disoccupazione cala dall’11,5 al 11,3% (da settembre: –134 mila unità), mentre il tasso di occupazione aumenta solo dello 0,1%. Rispetto al novembre 2014, quando gli incentivi del Jobs Act non c’erano ancora, i dipendenti occupati in maniera permanente oggi sono 141 mila in più e rappresentano la maggior parte dei 247 mila in più registrati ieri dall’Istat. I lavoratori indipendenti, ad esempio le partite Iva, diminuiscono ancora di 41 mila unità sull’anno, anche se registrano un lieve aumento tra ottobre e novembre. I contratti a tempo determinato crescono del 4,5%, quelli a tempo indeterminato dell’1% e nel 2015 sono +70mila.
25 mila euro per assunto
La Uil ha calcolato che ogni nuovo occupato “a tempo indeterminato” — cioè un lavoratore stabilmente precario con il contratto «a tutele crescenti» e senza articolo 18 – è costato al contribuente italiano 25 mila euro. Quando finiranno gli incentivi, e queste persone perderanno il lavoro, i 9 miliardi mobilitati da Renzi saranno stati inutili. Una spesa improduttiva. Agghiacciante.
Come sempre con i dati di quei gufi dell’Istat il diavolo sta nel dettaglio e nel saldo: 106 mila occupati (su 141 mila) sono a termine, prodotti della riforma Poletti che ha sfigurato il contratto a termine, precarizzandolo all’infinito. La stima annuale dei dipendenti resta dunque invariata, scrive l’Istat. La crescita registrata ieri di 40 mila occupati in più si spiega con l’avvicinarsi della fine dell’anno e la scadenza degli incentivi erogati a pioggia dal governo per vellicare l’opportunismo degli imprenditori non per creare nuova occupazione. Nel 2016 la decontribuzione sui nuovi assunti diminuirà al 40% fino a 3.250 euro annui per la durata di due anni.
Intervista a Guglielmo Loy (Uil): «Altro che Jobs Act, il lavoro cresce per la riforma Fornero»
Il saldo della discordia
E veniamo al saldo occupazionale, la voce mai considerata dalle fanfare di governo. Al decrescere della disoccupazione corrisponde la crescita del tasso di inattività: l’Italia è al 36,4% e nel 2015 è rimasto invariato tra i 15 e i 64enni. In un anno sono stati registrati 206 mila occupati in più. Nello stesso periodo ci sono stati 138mila lavoratori che non cercano più un’attività e sono scoraggiati. Un record tutto italiano per un mercato del lavoro drogato dagli incentivi, precario e senza garanzie.
Nel terzo trimestre il tasso di occupazione nel nostro paese si conferma fanalino di coda in Europa e continua a scendere: oggi siamo al 56.4% (-0.3).
fonte: il Manifesto
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