Jobs act, l’Ndc si impunta

Cul de Sacconi
La riforma renziana dell’articolo 18 finisce in un vicolo cieco. Il relatore al senato della delega al lavoro Maurizio Sacconi (Ncd) stoppa anche le timide aperture del Pd sul reintegro per licenziamento disciplinare. E il governo si impantana su come inserire nel Jobs Act il voto del Nazareno. Palazzo Madama fa melina.

di Daniela Preziosi, 1.10.2014

Governo, Sacconi non ci sta: non vuole il reintegro per licenziamento disciplinare. E Renzi ha un’idea: la legge delega? Basta un ordine del giorno. Le minoranze stoppano: serve una nuova riformulazione. Ma il governo ha fretta. Lo sfogo amaro di Bersani: sbagliato attaccare il sindacato, ma alla fine voterò sì

La discus­sione sul jobs act al senato va avanti per tutto il giorno. Il governo conta sui sena­tori per dare l’illusione di andare avanti con il lavoro. E invece ancora una volta il pié veloce di Mat­teo Renzi si è inca­gliato. Qual è il pro­blema? La «media­zione» rag­giunta nel Pd con il voto dello scorso lunedì in dire­zione, fuori dal Naza­reno è una coperta corta. Il Nuovo cen­tro­de­stra ora la tira dalla sua parte. Il pro­blema è costi­tuito da quella paro­lina che Renzi ha aggiunto, «rein­te­gro per licen­zia­mento disci­pli­nare», accanto all’insopprimibile rein­te­gro per licen­zia­mento discri­mi­na­to­rio. «Dsci­pli­nare» però non va giù all’ex mini­stro Sac­coni, che aveva già esul­tato per la can­cel­la­zione totale dell’art.18 dello sta­tuto dei lavo­ra­tori, risul­tato «sto­rico» per la sua parte poli­tica, otte­nuto per inter­po­sto Pd.

Ora però Renzi non può più tor­nare indie­tro, visto che quella paro­lina è scritta nero su bianco sull’ordine del giorno della dire­zione. «Vogliamo andare avanti sull’accordo di mag­gio­ranza. Valu­te­remo i testi ma non vogliamo passi indie­tro», spie­gano gli alfa­niani. Ma è un rebus. Dalla parte del governo per tutto il giorno regna la con­fu­sione. La solu­zione più ovvia sarebbe riscri­vere la legge delega attra­verso un maxi-emendamento. Ma l’Ncd si oppone: non intende votare sì all’articolo 18 nella for­mu­la­zione sta­bi­lita al Nazareno.

D’altro canto non c’è for­mula arzi­go­go­lata o vaga che con­senta con­tem­po­ra­nea­mente di tenere assieme la destra e la sini­stra della mag­gio­ranza. Palazzo Chigi si tira fuori, con tec­nica ormai rodata in pre­ce­denti occa­sioni: «Il mini­stro Poletti sta valu­tando in que­ste ore se pre­sen­tare un emen­da­mento» o «rite­nere suf­fi­ciente il testo della delega e tra­durre l’accordo poli­tico nei decreti dele­gati», annun­cia la mini­stra Maria Elena Boschi. Il pre­si­dente del con­si­glio ha fatto la pen­tola, ora Poletti trovi il coper­chio. Nel pome­rig­gio la sot­to­se­gre­ta­ria al lavoro Teresa Bel­la­nova prova a son­dare gli animi: «La mia opi­nione è che il governo deve pre­sen­tare un emen­da­mento sul punto spe­ci­fico dell’art.18 e del licen­zia­mento disci­pli­nare. Non sono in con­di­zione di dire se oggi o domani il governo pre­sen­terà un emen­da­mento; stiamo ragio­nando se seguire un altro per­corso, un ordine del giorno o una dichia­ra­zione». Una dichia­ra­zione, un ordine del giorno: ovvero due di que­gli atti del par­la­mento che non si negano a nes­suno, e che impe­gnano poco il governo. La mino­ranza Pd, per quanto ormai decisa a abbas­sare i toni, la stoppa subito: «Un sem­plice ordine del giorno è insuf­fi­ciente. Già la legge delega è gene­rica, così sarebbe troppo», spiega il sena­tore Fede­rico For­naro. Anche il ìgio­vane turco’ Fran­ce­sco Ver­ducci avverte: «L’ordine del giorno non esi­ste. Il testo della legge delega dev’essere chiaro adesso: tanto sull’art.18 quanto sulla riscrit­tura e l’allargamento del sistema delle tutele». La sua com­po­nente ha con­vinto Renzi alla «media­zione» della dire­zione. Ma ora «quell’indicazione deve essere con­te­nuta nella legge delega».

Il mini­stero però ora è nei guai. Oltre­tutto Renzi ha anche fretta di far appro­vare il testo: la data desi­de­rata è l’8 otto­bre, quando il pre­mier sarà impe­gnato al ver­tice euro­peo di Milano. Quindi il testo dovrebbe arri­vare in aula mar­tedì 7 ed essere appro­vato il giorno dopo. Proi­bi­tivo. Il voto di fidu­cia sarebbe obbli­ga­to­rio. Bel­la­nova mini­mizza: la fidu­cia «dipende dai gruppi e dall’andamento dei lavori. Se i decreti dele­gati devono essere pronti per i primi due mesi del 2015, il via libera del Senato al ddl deve esserci entro l’8 o il 10: non è un capric­cio ma biso­gna tenere pre­sente che sta per arri­vare alla Camera la legge di stabilità».

Anche sta­volta il governo va di fretta, una fretta che anche sta­volta rischia di pro­vo­care la rea­zione dell’aula. Pro­prio quando da ogni rivolo delle mino­ranze Pd arri­vano segnali di pace. Ieri, a Mon­te­ci­to­rio, Pier Luigi Ber­sani, la «vec­chia guar­dia» dell’area rifor­mi­sta che si era sca­gliato con­tro Renzi alla dire­zione, si è lasciato andare ad un lungo sfogo con i cro­ni­sti. Ma alla fine, ammette, la ’sua ’ mino­ranza voterà sì: «La mino­ranza non è un’organizzazione ma è fatta di sen­si­bi­lità, opi­nioni. In dire­zione c’è stato un impli­cito dibat­tito sul vedere il bic­chiere mezzo pieno o mezzo vuoto ma nella sostanza tutti hanno pen­sato che si stava com­piendo un passo avanti ma non sufficiente».

Ora «il con­fronto deve con­ti­nuare» in par­la­mento. E quando il governo pre­sen­terà il maxi-emendamento, la mino­ranza potrebbe pre­sen­tare dei «sub-emendamenti». Ma poi il voto di tutti — almeno i suoi — sarà fedele alla linea, ben­ché la linea sia quella della mag­gio­ranza ren­ziana. «Non man­cherà la lealtà verso il par­tito e il governo. Che sia ben chiaro che quando voto non ho biso­gno di farmi spie­gare cosa è una ditta dai neofiti».

fonte: il Manifesto
http://ilmanifesto.info/jobs-act-lndc-si-impunta/