Noi, italiani di Crimea dimenticati dal governo
Nella città portuale di Kerch, snodo strategico della crisi ucraino-russa, vive fin dal 1800 una comunità italiana.
Ora si appellano al paese d’origine per essere tutelati.
Ma non avendo il passaporto del nostro Paese, rischiano di restare intrappolati. E hanno paura
di Stefano Vergine
E’ l’ultimo avamposto della Crimea prima di entrare in territorio russo. Una città affacciata su un lembo di mare largo solo 4 chilometri. Da una parte territorio ucraino, dall’altra russo. Questa, almeno, era la situazione fino a pochi giorni fa, prima che militari senza mostrine prendessero controllo del porto di Kerch, snodo strategico per un’eventuale sbarco in massa dei soldati di Mosca nella penisola. Così, ora, ad avere paura dell’invasione russa ci sono anche 300 italiani. “La situazione è preoccupante: c’è aria di guerra”, dice al telefono, da Kerch, Giulia Giachetti Boico, presidente dell’associazione locale Cerkio.
In questa città della Crimea, per uno scherzo della storia, vive infatti la più grande comunità italiana d’Ucraina. Attirati nell’800 dalla zarina Caterina II, che dopo aver conquistato la Crimea volle ripopolarla con gente capace di coltivare la vite e lavorare sulle navi, giunsero nella regione migliaia di pugliesi, veneti, campani e liguri. Persone trasferitesi in Crimea con la prospettiva di un lavoro e di terra acquistabile a basso prezzo. Tutto vero. Peccato che poi a Mosca arrivarono i bolscevichi e a Roma prese il potere Mussolini. Russia e Italia divennero nemici: chi si trovava in mezzo rischiava grosso.
Nella sola Kerch, il 29 gennaio del 1942, circa 3mila connazionali vennero prelevati dalle loro case per essere deportati. Privati del passaporto italiano, furono trasferiti al porto di Kerch, lo stesso gestito ora da militari che rifiutano di identificarsi, ma che parlano russo e viaggiano a bordo di veicoli con targhe della Federazione. “Le informazioni sono contrastanti – racconta Boico – C’è chi dice che al porto stiano sbarcando i blindati di Mosca, chi dice che i militari si limitino a controllare lo scalo. Di certo questo è il punto della Crimea più vicino alla Russia e noi abbiamo paura”.
Da quel porto, 72 anni fa, gli italiani furono imbarcati su un traghetto per attraversare lo Stretto di Kerch. Poi trascorsero due mesi in treno, sui carri bestiame, per raggiungere le steppe del Kazakistan, dove i superstiti furono costretti ai lavori forzati. Un limbo durato anni, fino alla morte di Stalin e l’avvento al potere di Kruscev. Fu proprio quest’ultimo a “regalare” la Crimea all’Ucraina e a permettere agli italiani sopravvissuti il graduale ritorno verso Kerch. Oggi i reduci sono pochissimi, tutti molto anziani, ma l’identità nazionale è stata tramandata alle nuove generazioni.
Giulia Giachetti Boico, figlia di deportati, ha creato l’associazione Cerkio proprio con questo obiettivo: mantenere vive le radici italiane, insegnare la lingua, tramandare una storia che altrimenti sarebbe già andata persa. “L’ambasciatore italiano in Ucraina mi ha chiamato in questi giorni. Mi ha detto che se la situazione peggiorerà – racconta Boico – lui sarà pronto ad aiutarci. Ma l’ambasciatore mi ha anche ricordato una cosa di cui noi tutti siamo consapevoli, e cioè che non avendo un passaporto italiano il suo margine d’azione è molto limitato”.
A differenza delle altre minoranze deportate dalla Crimea durante il regime stalinista, quella degli italiani non è infatti stata riconosciuta. Conseguenza pratica: non è mai stata restituita loro la cittadinanza italiana persa sotto l’Unione Sovietica. Di fronte alla stazione ferroviaria di Kerch, una piccola lapide nera ricorda i popoli vittime della furia di Stalin. Sono citati tedeschi, greci, armeni, bulgari e tatari.
Tutti tranne gli italiani. Una vicenda portata per la prima volta alla luce dal libro “L’Olocausto sconosciuto”, scritto dalla stessa Boico e da Giulio Vignoli, professore di Diritto Internazionale all’università di Genova. “In questi anni – dice Vignoli – ho scritto ai vari premier e ministri degli Esteri che si sono succeduti, ho scritto anche al presidente della Repubblica Napolitano per chiedere che a queste persone venga restituita la cittadinanza del Paese d’origine, fatto avvenuto ad esempio per tedeschi e greci deportati dalla Crimea.
Purtroppo, però, finora nessun membro delle Istituzioni si è speso per fare qualcosa”. Il 16 marzo in Crimea si terrà il referendum per decidere se gli abitanti della Penisola vogliono restare con l’Ucraina o diventare parte della Federazione russa. La vittoria di chi vuole passare sotto il controllo di Mosca appare scontata, visto che la Crimea è abitata in maggioranza da cittadini filo russi. Un’eventualità che allontanerebbe ulteriormente il sogno della comunità italiana di Crimea. “Se passassimo sotto la Russia”, conclude Boico, “le nostre possibilità di ottenere la cittadinanza italiana diventerebbero praticamente nulle”.
fonte: l’Espresso
http://espresso.repubblica.it/internazionale/2014/03/05/news/noi-italiani-di-crimea-dimenticati-dal-governo-1.155873