di Angelo Gerosa.
In questo fine settimana a Trieste si è consumato un atto di grande (e triste) valore simbolico.
Il partito di Giorgia Meloni (Fd’I che già il nome è un offesa alla memoria di quello splendido ragazzo, democratico e rivoluzionario, che fu Goffredo Mameli) ha tolto dal proprio stemma il simbolo di Alleanza Nazionale per ripristinare la fiamma tricolore.
Via quindi ogni riferimento alla svolta di Fiuggi con cui Gianfranco Fini sdoganò quella parte politica dal richiamo al fascismo e dall’eredità del ventennio (guerra e persecuzioni razziali comprese).
La fiamma non è un simbolo qualunque. Venne appositamente scelto nel 1946 per riunire reduci, nostalgici ed altri esagitati nel mito di Mussolini: la storia vuole che l’ara da cui scaturisce la fiamma tricolore rappresenti la tomba del duce.
Simboli, mitologie e ritorni al passato: alla morte di Pino Rauti venne pubblicata una bella vignetta di Alfio Krancic in cui Pino Rauti, abbandonando la scena, diceva “qualcuno spenga la fiamma”.
Vent’anni dopo (chissà perchè la storia dell’estrema destra si misura sempre in ventenni) l’ex pupilla di Rauti riaccende quella fiamma, senza fingere tentennamenti, e senza sprecare una sola parola per prendere le distanze dai picchiatori che a Ostia spaccano la faccia ai giornalisti della RAI e dalle squadracce che a Como assaltano le sedi delle Ong per intimorire i pacifisti.
A vent’anni di distanza da Fiuggi. A settant’anni dalla Costituzione repubblicana.