di Angelo Gerosa.
L’elezione del cittadino svizzero, e sovranista italiano, Marcello Foa a presidente RAI ha suscitato reazioni molto contrastanti.
Per tentare di conoscere meglio questo giornalista mi sono letto l’unico suo romanzo che ho trovato in biblioteca: “Il ragazzo del lago, Piemme, 2010”.
Il romanzo racconta la vicenda di Aimone, un ragazzo, nato a Dongo nel 1921, che, a sedici anni, approda nella Germania nazista, per imparare il mestiere di maitre d’hotel.
Nell’apprendere il mestiere Aimone incrocia il Ministro degli esteri dell’URSS Molotov, scambia quattro chiacchiere con il Ministro degli esteri italiano Ciano, si rifugia per sbaglio nel bunker di Hitler trattenendosi a colloquio con il Furher della Germania e ricevendone in dono un libro con dedica, ed entra in confidenza con il Generale Kesserling.
Tornato in Italia, l’ormai ex ragazzo, ora renitente alla leva ed in odore di simpatia per i partigiani, viene arrestato, tradotto nel carcere di Como e, in attesa di esere deportato a Mauthausen, interrogato nientemeno (di persona personalmente direbbe Catarella) dal comandante delle truppe tedesche in Italia, Generale Kesserling, che, riconoscendolo, lo libera immediatamente.
Marcello Foa non si preoccupa di dare sostegno e credibilità ai ben poco verosimili eventi raccontati nel romanzo, in quanto, spiega, sono il frutto di una chiacchierata avuta con l’ormai ultraottantenne ex “ragazzo del lago”, e si limita, alla fine del libro e quasi in un impeto di eccesso di zelo, ad informare di aver accertato la veridicità del bombardamento di Berlino del 1940, nel corso del quale Aimone avrebbe fatto amicizia con Hitler, e di aver avuto conferma della sua presenza tra i partigiani, nei giorni della liberazione, dalla attuale presidente dell’Anpi di Dongo, all’epoca quindicenne.
Marcello Foa non cerca altri riscontri, in quanto scrive un romanzo e non un saggio storico.
Ma, quando il racconto arriva al fatidico 27 aprile 1945, Marcello Foa subisce una metamorfosi, da romanziere a storico, e narra la fucilazione di Mussolini e dei suoi gerarchi, in termini precisi, descrivendo fin nei minimi dettagli una azione criminale, compiuta da bellimbusti vestiti da damerini, che terrorizzano gli abitanti di Dongo, minacciano di accoppare tutti i veri partigiani, obbediscono ad un comandante che si atteggia ad ufficiale della X Mas, lasciano liberi i delinquenti di tentare di violentare le mogli dei gerarchi, ed assassinano premeditatamente la povera Petacci.
Sono numerosi gli storici fascisti che, da Giorgio Pisanò in poi, hanno contestato la ricostruzione ufficiale dei fatti di Dongo e, con ricerche anche serie e rigorose, sono riusciti a mettere in dubbio il fatto che sia stato il Colonnello Valerio a sparare al Duce ed, involontariamente, anche alla Petacci.
Il loro principale indiziato, come “vero fucilatore” del Duce, è il Commissario politico della Brigata Garibaldi dell’Alto Lario, il quale giustamente affermò: “e se anche dicessi di aver sparato io al Duce, cosa cambierebbe ?”
Ed infatti il lavoro svolto da questi storici di destra, pur dimostrando esservi numerose inesattezze nell’autobiografia scritta dal colonnello Valerio, non è riuscito ad intaccare la coscienza antifascista del paese.
Servirebbe ben altro per raggiungere un obbiettivo tanto ambizioso.
Magari servirebbe uno scrittore con tanto pelo sullo stomaco, da riuscire a romanzare i fatti di Dongo con richiami all’ambiente ed ai protagonisti del mitico romanzo lariano, i Promessi Sposi.
Magari tramutando il colonnello Valerio, da antifascista già condannato dal tribunale speciale, in Don Rodrigo.
Magari tramutando i suoi uomini, da valorosi partigiani dell’oltrepò, in una squadracca di Bravi. Magari tramutando il CLN da organismo di governo, in banda di signorotti assetati di sangue. Magari tramutando il verdetto di condanna a morte del Duce e dei grandi gerarchi, da atto legittimo, in grida manzoniane;
Magari tramutando Mezzasoma da ministro all’educazione della Repubblica di Salò, in Renzo Tramaglino e la di lui moglie in Lucia Mondella.
Magari tramutando il ragazzo del lago in Fra Cristoforo.
Per arrivare a formulare una tale gratuita ed ingiuriosa distorsione della storia (il, sedicente “romanzo verità”) non servono particolari capacità, è sufficiente essere un mascalzone.
Volevo conoscere meglio il nuovo Presidente della RAI: grazie a “Il ragazzo del lago” credo di esserci riuscito abbastanza bene.