Italia è un paese che vive di mode e luoghi comuni. Si parla di innovazione, green economy e delle sue implicazioni industriali ed economiche, ma troppi dirigenti ed opinionisti sono solo dei ripetitori. È stato recentemente presentato il rapporto su “energie rinnovabili” al Politecnico di Milano, realizzato da Energy Startegy Group. È un report pieno di informazioni utili per chi vuole declinare le nuove politiche industriali, e per chi crede nello sviluppo di un nuovo paradigma tecno-economico. Tra le tante informazioni utili, una spiega lo stato e il probabile futuro dell’Italia nella così detta green economy: in Italia “non vi sono … leader tecnologici riconosciuti a livello globale sulle tecnologie chiave delle rinnovabili”….In molti si sciacquano la bocca con la competitività internazionale e il così detto made in Italy, ma la realtà è drammatica. Nell’internazionalizzazione degli investimenti legati alla green economy si osservano tre dinamiche: quello delle società finanziarie che esportano le filiere nazionali del settore – sono spesso tedesche, francesi e spagnole -; quello del technology driven, ovvero i possessori di tecnologia chiave offrono tecnologia che viene poi implementata da soggetti presenti nel territorio interessato – è il caso della Germania con l’area asiatica -; quello delle semplici acquisizioni delle utilities per allargare il mercato per le produzioni in essere. L’assenza dell’Italia in tutte le fasi di creazione del valore del settore pregiudica la capacità di concorrere alla realizzazione del nuovo paradigma tecno-economico. L’effetto? Il lavoro buono non sarà di casa in Italia, salvo che per le attività marginali.
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