di Angelo Gerosa. Un mese e mezzo dopo il 4 marzo l’Italia pare scivolare, lentamente ma inesorabilmente, verso un ritorno alle urne che rischierebbe di configurarsi in termini di ballottaggio tra i due leader che si sono autoproclamati vincitori.
Tutti i sondaggisti registrano tale fenomeno, con un aumento di consensi che porterebbero i 5 Stelle oltre il 34%, ed il centrodestra a trazione leghista al 38%.
Pur considerando la tradizionale sottostima dell’elettorato del M5S, è evidente il pericolo di spalancare le porte ad un governo di estrema destra.
A stupire maggiormente è il comportamento del PD che già nella notte del 4 marzo ha dichiarato di considerarsi all’opposizione di un governo inesistente, abdicando, fino ad ora, ad ogni azione politica, quasi non sapesse che il ritorno alle urne segnerebbe il tramonto di un progetto politico che, fondato sull’ambizione maggioritaria, sarebbe incapace di reggere all’inversione dell’effetto del “voto utile”.
Diverso l’atteggiamento di Sinistra Italiana, la cui assemblea nazionale ha dichiarato l’interesse a valutare la possibilità di sostenere un governo che escluda l’intero centro destra.
Gli effetti di questa decisione per ora non possono essere determinanti (il partito conta tre deputati ed una senatrice) ma potrebbe rendere meno inclinato lo scivolo che porta alle elezioni se si estendesse all’intero gruppo parlamentare di LeU e, soprattutto, se facesse da pungolo al PD.
Sarebbe un ritrovato protagonismo politico utile all’insieme della sinistra, in quanto, in caso di ritorno alle urne, varrebbe il vecchio adagio “se Atene piange Sparta non ride”.