Istat: ripresa si ripresa no, la terra dei….

mio commento: Elio canta la terra dei cachi. Mi unisco a lui perché ciò che esprime è drammaticamente reale. I contribuenti che pagano regolarmente le tasse, ormai spremuti fino all’ultima goccia, sono le uniche certezze, che stanno venendo meno, di questo paese che da troppi anni difetta di competenza politica. Poi ci sono da considerare i buchi finanziari causati dagli sperperi ai danni del Paese che tutti i giorni si manifestano agli occhi dei cittadini. Mario Piromallo

L’Istat gufa: ma quale ripresa!

—  Massimo Franchi, 30.12.2014

Capo danno

L’Istat sbugiarda l’ottimismo del governo Renzi sulla ripresa nel 2015: aumenta la disoccupazione, specie quella di lungo periodo, vero freno al Mezzogiorno. E sul petrolio a 60 dollari: «L’effetto per l’Italia sarà zero»

Numeri. Per l’istituto nazionale di ricerca aumentano i disoccupati di lunga durata, vero freno del Sud. La «nota mensile» sbugiarda Renzi e Padoan. Il ministro dell’Economia aveva stimato un più 0,5 per cento di Pil per il petrolio a 60 dollari. Invece a causa della stessa crisi «l’effetto per l’Italia sarà nullo»

Nella cate­go­ria dei gufi — se non dei diser­tori — in que­sto 2014 che si chiude va cer­ta­mente inse­rita l’Istat. Che anche nel penul­timo giorno dell’anno è tutt’altro che otti­mi­sta sullo stato dell’economia ita­liana e — ancor di più — del mer­cato del lavoro. Nella sua «Nota men­sile» di dicem­bre, l’istituto nazio­nale di sta­ti­stica «neu­tra­lizza» il calo del costo del petro­lio — uti­liz­zato invece dal mini­stro Padoan per pre­ve­dere un aumento del Pil dello 0,5 per cento nel 2015 — par­lando di «impatto nullo per Ita­lia e Ger­ma­nia», men­tre «i segnali posi­tivi per la domanda interna» por­te­reb­bero ad «una sostan­ziale sta­zio­na­rietà della cre­scita nel tri­me­stre finale dell’anno»: insomma, il Pil nel quarto tri­me­stre potrebbe far dimi­nuire di un deci­male il meno 0,4 per cento ora pre­vi­sto per il 2014.

Molto peg­gio va l’occupazione. L’Istat parla di «con­di­zioni del mer­cato del lavoro» che «riman­gono dif­fi­cili con livelli di occu­pa­zione sta­gnanti e tasso di disoc­cu­pa­zione in cre­scita». I numeri più neri in campo occu­pa­zio­nale ven­gono dai disoc­cu­pati di lunga durata. Al record del tasso di disoc­cu­pa­zione, che ad otto­bre ha toc­cato quota 13,2 per cento — il governo lo ha moti­vato con il ritorno sul mer­cato del lavoro dei molti gio­vani prima “inat­tivi” o “sco­rag­giati”: in realtà il loro numero, sot­to­li­nea l’Istat, è aumen­tato del 6,5 per cento nel 2014 — si uni­sce infatti «un allun­ga­mento dei periodi di disoc­cu­pa­zione: l’incidenza dei disoc­cu­pati di lunga durata (quota di per­sone che cer­cano lavoro da più di un anno) è salita nell’anno in corso dal 56,9 per cento al 62,3». Per l’istituto nazio­nale di sta­ti­stica «que­sto gruppo di indi­vi­dui, gene­ral­mente con­si­de­rati poco appe­ti­bili dalle imprese, costi­tui­sce un fat­tore di freno alla discesa della disoc­cu­pa­zione soprat­tutto nel Mez­zo­giorno». È quindi il Sud il tal­lone d’Achille del paese. Ma il governo Renzi pare non esser­sene accorto. Così come sem­bra non voler far niente per aiu­tare coloro che per­dono il lavoro dopo i 50 anni, i più col­piti dalla crisi e quelli con meno pos­si­bi­lità di tro­vare nuova occupazione.

Nel frat­tempo si allon­tana sem­pre di più la pro­spet­tiva per loro della pen­sione. Il governo ha infatti appro­vato il decreto sull’adeguamento dell’età pen­sio­na­bile dovuto all’aumento dell’aspettativa di vita che scat­terà però dal primo gen­naio 2016. Si tratta di un mec­ca­ni­smo pre­vi­sto già dalla riforma Monti che il governo Ber­lu­sconi nel 2010 fissò a cadenza trien­nale. La riforma For­nero lo ha acce­le­rato: lo scatto ora arriva ogni due anni. E per la prima volta dal primo gen­naio sarà di quat­tro mesi — rispetto ai 3 decisi dal 2013. Un salto di quat­tro mesi che si applica a quasi tutte le “quote” maschili, facendo pas­sare il requi­sito ana­gra­fico per la pen­sione di vec­chiaia dei dipen­den­denti del set­tore pri­vato a 66 anni e 7 mesi — era a 66 anni e 3 mesi, sem­pre a con­di­zione di avere almeno 20 anni di con­tri­buti ver­sati. Allo stesso modo aumenta il requi­sito per la pen­sione anti­ci­pata a pre­scin­dere dall’età ma con una decur­ta­zione gra­duale ana­gra­fica sull’assegno: da 42 anni e sei mesi a 42 anni e dieci mesi. Più pena­liz­zate le donne, a causa del pro­cesso di armo­niz­za­zione con gli uomini: dal primo gen­naio 2016 nel set­tore pri­vato il requi­sito ana­gra­fico aumen­terà di ben un anno e 10 mesi: da 63 anni e 9 mesi a 65 anni e 7 mesi. Uno schema che por­terà nel 2050 a pre­ve­dere un’età di pen­sione a 70 anni uguale per donne e uomini, senza che il governo abbia men che meno preso in con­si­de­ra­zione ope­ra­zioni di fles­si­bi­lità in uscita — men­tre pre­ca­rizza ancor di più quella in entrata con il Jobs act — nè di aumen­tare i coe­fi­centi per i pre­cari a lavoro discon­ti­nuo che quest’anno si tro­ve­ranno reca­pi­tare dalla nuova Inps tar­gata Tito Boeri la stima di pen­sione da poche cen­ti­naia di euro.

Ieri sul fronte pen­sioni è arri­vata anche la denun­cia da parte dello Spi Cgil. A gen­naio gli asse­gni pen­sio­ni­stici saranno più leg­geri per resti­tuire allo Stato una parte della riva­lu­ta­zione rice­vuta nel 2014, cal­co­lata ini­zial­mente con un tasso prov­vi­so­rio dell’1,2% e poi asse­sta­tosi in via defi­ni­tiva all’1,1%: una pen­sione minima per­derà 5,40 euro rispetto a dicem­bre 2014 men­tre una pen­sione da 1.500 euro per­derà 16,30 euro. Tut­ta­via «lievi aumenti sono pre­vi­sti per feb­braio: la riva­lu­ta­zione del 2015 por­terà 1,50 euro in più sul 2014 per la «minima»», 3 euro per una da 1.500.

fonte: il Manifesto
http://ilmanifesto.info/listat-gufa-ma-quale-ripresa/