Isis rivendica la Carneficina di sciiti in Yemen

foto dal sito de il Manifesto

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Carneficina di sciiti in Yemen. Isis rivendica

—  Chiara Cruciati, 20.3.2015

Yemen. Doppio attacco suicida contro due moschee Houthi nella capitale: 140 morti. Lo Stato Islamico si attribuisce l’azione, aprendo la strada ad una possibile faida con Al Qaeda in un paese ormai in guerra civile

Una car­ne­fi­cina: almeno 140 morti, uccisi den­tro due moschee sciite della capi­tale Sana’a durante la pre­ghiera del venerdì. Non manca del sim­bo­li­smo nell’ennesima strage che insan­guina lo Yemen in guerra civile: lo scon­tro sunniti-sciiti, acceso dagli attac­chi del potente brac­cio di Al Qaeda e dalle palesi intro­mis­sioni di altri regimi arabi, ha tra­sfor­mato il povero Stato del Golfo in un non-Stato. E ora entra in gioco un altro mor­ti­fero attore: l’Isis.

Due kami­kaze si sono fatti esplo­dere nelle moschee Badr e al-Hashoosh, fre­quen­tate da mem­bri del movi­mento sciita degli Hou­thi. Da set­tem­bre con­trol­lano la capi­tale e da due mesi hanno creato un governo paral­lelo a quello del pre­si­dente Hadi, fug­gito ad Aden dopo set­ti­mane di arre­sti domi­ci­liari. «Teste, gambe, brac­cia erano sparsi per terra – dicono i soprav­vis­suti – Il san­gue scor­reva come un fiume».

E se fonti locali addi­ta­vano già al Qaeda, account Twit­ter ricon­du­ci­bili all’Isis attri­bui­vano allo Stato Isla­mico la respon­sa­bi­lità del mas­sa­cro. La Casa Bianca prende tempo: è pro­ba­bile che il califfo voglia attri­buirsi l’operazione solo a fini di pro­pa­ganda, ha detto il por­ta­voce Ear­nest, per­ché non esi­stono prove della pre­senza di una strut­tura radi­cata dell’Isis in Yemen. Eppure la stessa al Qaeda ha preso le distanze dal dop­pio attacco, men­tre il calif­fato rila­sciava un comu­ni­cato via Twit­ter: «Se Dio vuole, quest’operazione sarà solo una di una pros­sima alluvione».

La strage di ieri non è certo un atto estem­po­ra­neo, ma l’ultima fase della guerra aperta tra le due comu­nità reli­giose su cui fanno leva attori esterni, dai gruppi estre­mi­sti isla­mici ai regimi arabi. Gio­vedì tea­tro di duri scon­tri era stata Aden, “capi­tale” prov­vi­so­ria del pre­si­dente Hadi: aerei da guerra hanno bom­bar­dato il palazzo pre­si­den­ziale, men­tre la bat­ta­glia tra Hou­thi e forze mili­tari infu­riava all’aeroporto, dopo il ten­ta­tivo sciita di assu­merne il con­trollo. «Hadi è in un posto sicuro, ma non ha lasciato il paese», fanno sapere i suoi con­si­glieri, che defi­ni­scono il raid «un colpo di Stato fallito».

Di certo c’è un paese spac­cato a metà: gli Hou­thi, appa­ren­te­mente soste­nuti dall’ex pre­si­dente Saleh, depo­sto dalle pro­te­ste popo­lari scop­piate nel 2011, con­trol­lano il nord, ma man­ten­gono sotto la loro influenza anche il cen­tro. Il sud, a mag­gio­ranza sun­nita e area più ricca di greg­gio, è in mano al governo uffi­ciale. In mezzo la pos­si­bile faida tra l’Isis e la madre tra­dita, al Qaeda, che in Yemen ha la sua roc­ca­forte: dif­fi­cile imma­gi­nare che i qae­di­sti non rispon­de­ranno all’intrusione del califfato.

Un gioco dei ruoli, che vede coin­volti tutti. Per­ché a gestire le fila della guerra civile yeme­nita sono i poteri forti della regione: Riyadh accusa gli Hou­thi di essere orga­niz­zati dal nemico Iran, che a sua volta punta il dito sulla longa manus sau­dita che da decenni con­trolla lo Yemen, costretto dalle dif­fi­coltà eco­no­mi­che ad appog­giarsi al potente vicino.

Eppure solo una set­ti­mana fa l’Arabia Sau­dita aveva aperto al dia­logo con i ribelli, nel ten­ta­tivo di limi­tare l’influenza dell’Iran, che sta accu­mu­lando vit­to­rie in tutto il Medio Oriente, in pri­mis in Iraq, dove guida la libe­ra­zione di Tikrit. Il 15 marzo scorso il lea­der Abdel Malek al-Houthi aveva con­fer­mato il riav­vi­ci­na­mento a Riyadh e il giorno dopo aveva rila­sciato il pre­mier Baha e i suoi mini­stri, agli arre­sti domi­ci­liari da feb­braio. Un’apertura det­tata non tanto dalla neces­sità di fre­nare la guerra civile, quanto dalla crisi finan­zia­ria che a breve inve­stirà la Sana’a degli Hou­thi, priva dei fon­da­men­tali finan­zia­menti sau­diti: Riyadh ha chiuso i rubi­netti così come la Banca Mon­diale, con il rischio di far col­las­sare un paese la cui popo­la­zione vive in miseria.

Ma subito l’intenzione degli sciiti di trat­tare con Hadi, come pro­po­sto dal Con­si­glio di Coo­pe­ra­zione del Golfo, è stata archi­viata. I raid su Aden ne sono la palese dimo­stra­zione. Die­tro sta il timore fon­dato di un’eccessiva inge­renza dei sau­diti che non hanno man­cato di inter­ve­nire mili­tar­mente in pas­sato sia per sedare le sol­le­va­zioni Hou­thi, sem­pre più fre­quenti negli ultimi anni a nord-ovest, che per sof­fo­care nel san­gue le pro­te­ste paci­fi­che del 2011.

Lo spet­tro di una nuova divi­sione dello Yemen, tra nord e sud, si fa ogni giorno più con­creta. Ma agli sciiti la solu­zione non piace: il sud reste­rebbe in mano alle tribù sun­nite che godreb­bero degli ingenti pro­fitti della ven­dita del greg­gio. E il nord sof­fo­che­rebbe nella povertà e l’esclusione sociale.

fonte: il Manifesto
http://ilmanifesto.info/carneficina-di-sciiti-in-yemen-isis-rivendica/