La Gestazione per altri ha determinato un irrompere nel dibattito pubblico del tema della “tutela” del corpo della donna come mai successo prima, neppure sul femminicidio. L’ho ascoltato provando a distinguere tra il frastuono del posizionamento politico e l’interrogarsi vero, in particolare di quelle donne che, partendo da sé, parlano di una scelta legata al dono, agli affetti, alla disponibilità di fare per altri. E mi sono domandata: lo farei? Non sono giunta a una risposta definitiva, ma certo non lo escludo. E mentre non lo escludo mi convinco sempre di più che comunque non avrei una “morale giusta” da proporre. Anzi, vivo chi propone la propria “morale”, propugnandola a vincolo per tutti, come una limitazione della libertà.
La libertà ha certamente confini la cui individuazione è tema complesso. Ma, dove si dibatte sostanzialmente della libertà di sé e del proprio corpo, trovo che siano due i limiti, quelli fondamentali, che ne danno il senso. Il primo, che la scelta sia davvero libera e quindi, in questo caso specifico, diventa necessario affrontare il tema del mercato, dello sfruttamento, della tratta. Poi che a sua volta non sia limitazione della libertà altrui, ovvero che la scelta non pregiudichi il contesto in cui vivrà, crescerà, sarà educato il nascituro.
Qui inizia la festa dei luoghi comuni e delle ipocrisie a cominciare dalla convinzione che si possa crescere bene solo con una mamma e un papà biologici, persuasione che attribuisce un destino infelice a tutte le bimbe e i bimbi orfani, ai figli di genitori diventati single, che dimentica l’esistenza di quel male chiamato violenza domestica, e che afferma ciecamente che affetto e capacità di educare siano connaturati all’eterosessualità.
Ma l’ipocrisia più clamorosa, e probabilmente non si tratta di sola ipocrisia, è quella che di corpo delle donne e di sfruttamento, nel dibattito pubblico, si parla solo se collegato alla procreazione, alla “maternità” su cui, per altro, si cerca di impedire l’autodeterminazione lasciando la scelta alla dittatura della parola pubblica, non alla donna che interroga sé stessa e decide (con o senza il partner).
Sorge in me una profonda indignazione quando l’urlo contro lo sfruttamento, contro la violazione del corpo delle donne, emerge solo in relazione alla gravidanza. Se così fosse dove sarebbe la differenza tra chi contrasta la gestazione per altri e chi guarda alle donne e ai loro corpi come meri contenitori? Contenitori che devono essere guidati, a cui bisogna dire cosa fare e non persone che pensano, possono decidere e scegliere. Le stesse persone che se violate, violentate, vengono però additate, diventano soggetto non più oggetto, e se ne cercano le colpe, i comportamenti imputabili. Forse perché troppo faticoso interrogarsi sulla sessualità maschile, su quel senso di possesso dell’altro che, di nuovo, contrasta con la libertà. Per questo mi piacerebbe che si desse vita a un dibattito pubblico che rovesci le priorità e proponga, in questo caso sì a tutto il mondo, una guerra (uso volutamente questo termine perché di questo si tratta) a tutte le forme di sfruttamento dei corpi delle donne, sia essa per la prostituzione, per gli organi o per la procreazione e, insieme, contrasti davvero tutte le forme di sfruttamento dei minori che percorrono, troppo spesso, le stesse vie.
Un obiettivo effettivamente liberale, quello dell’inviolabilità dei corpi, non solo dell’utero, che fatica però a entrare nel dibattito pubblico perché ben pochi si domandano se il sesso a pagamento sia libera scelta della donna o dell’uomo che lo pratica o sia forma di schiavitù, di ricatto, di mercato. Ecco la grande ipocrisia che mi indigna, quella per cui, nel vociare di questa stagione, non mi ritrovo. Perché nel nostro pensiero non c’è “la donna” ma solo l’antica, amara idea, ampiamente alimentata dalle religioni: tu esisti per servire l’uomo e dargli dei figli, e lo farai con dolore. Ma non è così. Io esisto come persona, come donna, perché vivo, penso, agisco, e non solo o in quanto darò la vita a (partorirò) un’altra persona.
Poi l’altra ipocrisia, quella del “mercato”. Santificato quotidianamente, tanto che la sola idea di regolarlo per molti è una bestemmia. La salute oggi è, ormai, oggetto di mercato. Abbiamo spesso denunciato come i processi di medicalizzazione, in particolare della maternità, siano troppo proiettati al guadagno, al moltiplicare le prestazioni e non all’appropriatezza delle cure o al benessere delle persone. Sarebbe più opportuna, tanto più in un dibattito che investe il corpo delle donne, una capacità di lettura e di regolazione del mercato che parta dal rispetto delle persone e delle loro scelte.
Infine l’ipocrisia più ipocrita: non può esserci Gestazione per altri perché quei bambini, quelle bambine, non vivranno felici. Intanto, ogni giorno, migliaia di loro vengono sbattuti come mostri in prima pagina, li si mette alla gogna, li si fa sentire altri, colpevoli, sbagliati. Si giudica, senza sapere, si viola la loro felicità in nome di una felicità confezionata sui “credo” di qualcuno.
Se realmente si hanno a cuore quei bambini, si smetta di considerarli diversi e si determini invece una condizione positiva ed eguale a quella di tutti gli altri con cui si incontrano quotidianamente. Si sia coerenti e si faccia in modo che le “molto supposte” colpe dei genitori non ricadano sui figli.
Quando ci si indigna, si guarda più alle ragioni dell’indignazione che alla riflessione a cui, invece, molte hanno dedicato pensiero e parola: sul valore della maternità, su quale relazione con un figlio che non crescerai totalmente, sullo svolgersi di quella gravidanza, su quale rapporto tra quella maternità ed un’altra. Sono questi i veri interrogativi su cui dibattere e che permetterebbero a tutti di arricchirsi e di affrontare laicamente il dilemma, sapendo che ognuna di noi è diversa e può quindi giungere a conclusioni tra loro molto diverse ma tutte assolutamente rispettabili. Per questo non mi affascina l’ennesimo bianco e nero, la libertà di coscienza (che non può essere solo dei parlamentari) come clava maggioritaria, la legge che determina, condiziona o condanna scelte che sono della persona e della sua volontà. Per questo mi piacerebbe una legislazione rigorosa, durissima sulla forme di tratta, di mercato, di sfruttamento senza eccezioni, sotto il titolo “i corpi sono inviolabili”. Nessun catalogo, album o altro, ma grande rispetto per chi in relazioni scelte e libere lo fa.
fonte: Huffington Post
http://www.huffingtonpost.it/susanna-camusso/ipocrita-tutelare-il-corpo-delle-donne-solo-in-gravidanza_b_9475500.html?1458122264&utm_hp_ref=italy