di Renzo Baricelli
Lo aveva già proclamato Monti ancora fresco di nomina a presidente del Coniglio dei Ministri, “rivolteremo l’Italia come un calzino!”
Lo ha ripetuto con le stesse identiche parole l’attuale presidente del Consiglio Matteo Renzi.
“Rivoltare come un calzino l’Italia” a cosa fa pensare?
Non rispondiamo subito, pensiamoci un attimo.
“Rivoltare”, consulto il mio caro vocabolario “Devoto-Oli” e leggo: “orientare dalla parte opposta, anche con l’idea di rovesciamento o capovolgimento.”
Ecco proprio così. Non dicono: “La Costituzione italiana non è mai stata attuata in tutti i suoi punti, pertanto da oggi si comincia a farlo.”
Ad esempio: con tasse veramente progressive. Ad esempio: da oggi si incomincia a organizzare il sistema produttivo in modo tale di dare attuazione al diritto al lavoro per tutti.
Ad esempio: da oggi si comincia a mettere in pratica il dovere di ogni cittadino italiano alla solidarietà sociale affinché tutti possano vivere dignitosamente a cominciare dai bambini e dai vecchi.
No. Essi dicono: la colpa, se le cose vanno male, è della Costituzione che afferma troppi diritti per i lavoratori e troppi vincoli per gli imprenditori.
E precisano che i lavoratori e i pensionati sono andati troppo avanti e le loro conquiste sono la causa dei mali dell’Italia.
Cercando così di far dimenticare i dati reali che dimostrano come il monte salari, cioè l’insieme degli stipendi e delle pensioni sono decisamente diminuiti mentre è decisamente aumentata la ricchezza dei ceti più ricchi. E, a livello globale, la crisi dipende dalla natura del sistema oggi dominante.
In Italia, grazie alla Costituzione eravamo andati nella direzione di un miglioramento complessivo delle condizioni di vita delle masse popolari e dei diritti sociali, civili e politici.
Da almeno un decennio ci dicono che bisogna cambiare verso, andare dalla parte opposta.
E ci spiegano, pensate un po’, che questo sistema in cui viviamo è il meglio che ci possa essere ma al contempo ci dicono che non dobbiamo avere speranza di migliorare le nostre condizioni.
Perché ? Perché si deve essere competitivi a livello mondiale: lavorare in meno e guadagnare meno.
E cosa ci sentiamo dire ancora?
Da chi ci governa ci sentiamo dire, ad esempio, che bisogna far quadrare il bilancio e quindi bisogna tagliare le spese: quelle sociali cioè i servizi ai cittadini: sanità scuola, assistenza. Non quelle militari, non la corruzione, non l’evasione fiscale, non la criminalità in campo economico e finanziario.
La verità è che non ce la contano giusta.
La crisi ha dimostrato come il sistema economico-finanziario attuale provoca enormi danni a milioni di donne, di uomini, di bambini in ogni parte del mondo e anche in Europa.
Ma a sinistra non c’è stata la capacità di indicare soluzioni alternative a quelle cosi dette neo-liberiste.
E perciò neppure la capacità di organizzare una resistenza alle scelte fatte da chi possiede la ricchezza finanziaria e ha, in definitiva il controllo sul potere politico.
Per costoro le scelte fatte, le soluzioni di politica economica-finanziaria non sono sbagliate tant’è che hanno complessivamente aumentato il loro potere e la loro ricchezza (di classe) a danno di milioni e milioni di essere umani. Quindi insistono a imporre le loro scelte e respingono ogni critica.
Per tenerti buono e farti pazientare ti raccontano che “c’è luce in fondo al tunnell”; che ci sarà la “ripresa” , lasciando intendere che così, solo con la “ripresa” ci sarà maggiore occupazione e, quindi tutto andrà per il meglio.
Poi, ogni volta i dati reali indicano chiaramente che per almeno altri cinque e più anni, la ”ripresa” non porterà più posti di lavoro. Non porterà miglioramenti delle condizioni di lavoro e di vita.
Se ci ragioniamo con attenzione, osservando i fatti, si può facilmente vedere come l’attuale sistema economico-finanziario e le dottrine-ideologie che lo governano non risolverà il problema della occupazione, del reddito insufficiente e della adeguata risposta ai bisogni sociali primari.
Per gli operai e per i lavoratori complessivamente intesi urge una decisa modificazione delle politiche economiche negative di questi anni. La realizzazione di un cambio di linea di politica economica e sociale che abbia come obbiettivo fondamentale il miglioramento delle condizioni dei ceti popolari non solo è giusta e possibile ma corrisponde all’interesse anche degli altri ceti sociali che aspirano a una più alta qualità della vita per sé e i loro figli in un società coesa.
L’attuale stato di cose porta a una prospettiva inaccettabile.
Se questo è vero (e niente ci indica il contrario) allora vuol dire che l’impegno, a partire da noi in Italia, deve essere quello di disegnare una diversa organizzazione della società e di indicare le direttrici sulle quali dovrà svilupparsi il sistema produttivo per rispondere ai bisogni di benessere individuali e sociali di pace, di libertà, di democrazia dei nostri tempi.
In sostanza un programma per l’Italia e gli italiani con quattro o cinque obbiettivi estremamente sintetici e chiari e che siano immediatamente percepiti come giusti, credibili, fattibili dalla maggioranza dei giovani, dei lavoratori, dei pensionati affinché possano concludere che valga impegnarsi e lottare per conseguirli. Perché è illusorio pensare che si possa realizzare qualcosa di buono senza l’impegno, la partecipazione democratica e la lotta. L’esperienza e i fatti questo insegnano.
A me pare che se si guarda ai dettami della nostra Costituzione, lì si trovano le basi per tutti gli italiani che hanno i propri interessi connessi al senso di responsabilità per il futuro dell’Italia.
Si deve sapere che non è un problema di belle discussioni ma è uno scontro ideale e di scelte nuove per tutti. Le forze consapevoli e responsabili della sinistra dovranno abbandonare vecchi schemi e tirar fuori le capacità di idee e proposte politiche e, allo stesso tempo, le capacità di mobilitare e organizzare le forze necessarie per determinare la svolta. E bisogna farlo presto!