Industria e Difesa: numeri parziali sul programma F-35

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Non è vero che gli aerei militari in servizio e da sostituire sono oltre 250, ma un centinaio: i “numeri” che dà Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa, smontano alcuni miti intorno alla partecipazione italiana al programma Joint Strike Figher
Le recenti discussioni parlamentari, e tutta l’attenzione dell’opinione pubblica e dei media italiani, hanno riportato sotto i riflettori in maniera stabile la “querelle” dei caccia F-35. La crescita di consapevolezza sul tema, stimolata soprattutto dalle campagne che da tempo si occupano di controllare le spese militari, ha messo in forte fibrillazione tutto quel mondo favorevole agli investimenti militari, in particolare a quello relativo al Joint Strike Fighter.
Come spiegare altrimenti una reazione istituzionale di alto livello come quella del Consiglio supremo di Difesa, che in barba a tutte le consuetudini e ruoli ha cercato di forzare la mano al Parlamento, sostenendone la mancanza di competenza e nessun titolo di divieto nei confronti delle scelte del Governo in questo ambito. Poi da ricordare è la presa di posizione della stessa Aeronautica, che si è messa in gioco con un commento dopo la prima discussione alla Camera: un ringraziamento esplicito per il Parlamento “che ha sostenuto il programma F-35 in un momento economico così difficile per il Paese”. Un festeggiamento che ha sapore di fretta, poiché arriva invece nel momento in cui, per la prima volta anche se maniera debole, il Parlamento ha preso una decisione che incrina la granitica sicurezza di completare la partecipazione italiana al programma. Testimonianza forse di nervosismo a riguardo.
Ma è la reazione di Lochkeed Martin, capocommessa del programma, ad essere davvero interessante: nei giorni della discussione alla Camera, il colosso americano si è affrettato a cercare di sfatare, dalla propria prospettiva, alcuni dei “miti italiani” legati al caccia.
Secondo l’azienda nella discussione portata avanti sia dall’opinione pubblica che dalla politica passavano per veri alcuni numeri non proprio corretti. In realtà, il loro intervento si è paradossalmente fermato solo a cercare di dare un maggiore dettaglio la questione relativa il casco del JSF, sicuramente un particolare che ha colpito l’immaginario collettivo ma che è del tutto secondario rispetto alle problematiche vere di questi aerei militari. Concordiamo con Lockheed Martin quando dice che il casco non costa 2 milioni di dollari ma solo 600mila, ed è forse vero che non si tratti di una parte in dotazione strettamente fondamentale per far volare gli F-35 (ma per mantenere le promesse di “superiorità aerea” sì…).
Su tutto il resto dei problemi, che non sono sottolineati sono delle campagne disarmiste ma dallo stesso Pentagono e dal GAO statunitense, però, siamo di fronte a un silenzio davvero eloquente.
Ne è testimonianza soprattutto la risposta relativa allo sviluppo del caccia, per la quale Lockheed Martin confida di arrivare un risultato entro il 2016. Peccato che questa previsione non faccia altro che sottolineare un vero ritardo, dato che secondo i piani di azienda e Dipartimento della Difesa il caccia avrebbe dovuto essere pronto al combattimento (“ready to combat”) già nel 2010.
Il Pentagono ha spostato tale obiettivo a fine 2015, con un ritardo quindi di cinque anni sul previsto. Definire tutta questa situazione come “sotto controllo” e rassicurare di essere “nei tempi secondo i piani” appare davvero forzato. Senza contare che, in una risposta specifica relativa al software del velivolo ancora in fase di pieno sviluppo, Lockheed Martin non abbia messo in luce come si dovrebbe le problematicità legate a questo aspetto. Ricordiamo che il caccia F-35 dovrebbe trarre proprio dall’aspetto elettronico e dal “cervello” di combattimento la superiorità aerea tanto sbandierato e la sua capacità di essere invisibile radar, che non proviene solo dalla forma o dalla particolare verniciatura. Considerare quindi di secondo piano e come assolutamente sotto controllo un problema che invece ha costretto l’azienda produttrice a riposizionare oltre 200 propri ingegneri sulla questione, per risolvere i problemi che il Pentagono sottolineato come fondamentali, lascia veramente basiti.
In tutto questo, ciò che ci si dimentica di smontare sono i miti che da sempre contraddistinguono la propaganda dell’azienda produttrice. E con essa, nel corso del tempo, è stato soprattutto il nostro ministero della Difesa rilasciare numeri parziali e non corretti. Ne è riprova tutta la questione del costo complessivo dell’aereo per il quale la nostra Difesa ha dovuto cambiare versione in maniera radicale nel giro di pochi mesi durante il 2012. Ma ne è prova soprattutto oggi il mantra che si continua a ripetere (ad esempio nello stesso comunicato dell’Aeronautica Militare citato in precedenza) sull’aspetto relativo alla necessità impellente di sostituzione degli aerei attuali. Il Ministro della Difesa e con lui tutti fautori del programma continuano ad insistere che i circa 90 caccia F-35 previsti andranno a sostituire 254 velivoli della nostra Aeronautica militare in attività. Tralasciamo per un momento il fatto che gli aerei descritti come “decrepiti e cadenti a pezzi” sono gli stessi che un paio di anni fa hanno bombardato la Libia nella più imponente azione aerea militare italiana dalla Seconda guerra mondiale in poi (parola di Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica).
È proprio su numeri che si basa una dichiarazione falsa, come ci spiega con dettaglio una voce non certo disarmista. Senza inserire nel conteggio gli Eurofighter per la difesa dello spazio aereo (che hanno sostituito F-16 presi anche in leasing), infatti, bisogna sottolineare che “254 è il numero di aerei costruiti 20 o 30 anni fa – commenta Gianandrea Gaiani direttore di Analisi Difesa – e cioè 100 Tornado, 136 AMX (di cui 26 biposto da addestramento) e 18 Harrier. Ma attualmente in servizio ci sono 48 Tornado (ammodernati), 52 AMX Acol (ammodernati) e 18 Harrier”.
Molto meno di quello che quindi viene dichiarato, a causa di incidenti e radiazioni di velivoli non più performanti, in una situazione che ci vede comunque sorvegliare anche gli spazi aerei di Albania, Slovenia e addirittura Islanda. “Se si considera che 15 F-35 della versione B (a decollo corto e atterraggio verticale) rimpiazzeranno 18 Harrier della Marina per le portaerei – conclude Gaiani – l’Aeronautica Militare sostituirà 100 aerei con 75 F-35 delle versioni A e B”. Una situazione ben diversa da quella di sacrificio e ristrettezza dipinta dai nostri vertici militari e della Difesa. Perché sarebbe quindi come se una squadra di serie A dicesse che deve cambiare tutti giocatori della rosa perché deve sostituire non solo quelli dell’ultima stagione disputata, ma quelli in forza nei dieci anni precedenti o più. Come se il Milan volesse un nuovo campione per la necessità impellente ed immediata di sostituire Van Basten, e il Napoli lo volesse per sostituire Maradona.
Fonte: Cadoinpiedi