In ricodo di Vito: una sua intervista a R.P. del ’99.

IL NOSTRO GIORNALE HA DATO LA TRISTE NOTIZIA DELLA MORTE DEL COMPAGNO VITO BASILICO (clicca per leggere l’articolo).  In suo ricordo pubblichiamo questa “storica” intervista che Vito rilasciò a Radio Popolare nel 1999 nel trentesimo annivesrario della strage di Piazza Fontana (Intervistatore: Marcandalli)  A.G. 
Vito Basilico delegato storico della Pirelli, quando hai incominciato a impegnarti sindacalmente?
Beh, subito dopo, dopo un anno dall’assunzione, un primo anno di bagnomaria, diciamo di presa di coscienza, dei rapporti interni: della mia prospettiva futura diciamo anche di carriera. Io entro lì come perito industriale, era fuori da ogni previsione che un perito industriale potesse mettersi alla testa di un movimento sindacale. Io sono rimasto lì un anno, dopo un anno ho deciso: entro in gioco.
In che anni siamo?
1953-‘54
Nel ’53-’54 che clima c’era?
Nel ’53-’54 c’era un po’ di retaggio della resistenza ancora dal lato vecchio, un po’ in spegnimento, ma tutta la storia che mi veniva riferita -perché io non l’ho vissuta da dentro la resistenza-, tutta la storia che mi veniva trasferita, quando i compagni del comparto sindacale della sinistra, anche de PCI, perché l’idea che sindacato e partito fossero due cose distinte, ma non c’era ancora quella teoria dell’autonomia totale eccetera. C’era una politicizzazione di formazione e poi tu facevi il sindacato perché la tematica era quella sindacale ed i metodi, ma la pregnanza era sensibilmente politica.
Eri Sindacalista della CGIL Facciamo un salto di dieci anni e ci avviciniamo all’autunno caldo. Quando tu hai avuto sentore che qualcosa stava cambiando, che la situazione nelle aziende, nel sindacato, come dire andasse migliorando, che comunque diciamo così che i lavoratori stavano iniziando a uscire dal pantano degli anni del dopoguerra?
Qui c’è un po’ di coda, perché per arrivare al ’69 passiamo attraverso stadi di maturazione di un rilievo della madonna, cioè siamo passati dal maggio ’68 (che in Pirelli comincia alla fine di aprile) la rivendicazione e l’ottenimento corrispondente, perché era già un po’ che bolliva questa idea, che la sezione sindacale fosse autonoma dai livelli superiori nelle rivendicazioni di fabbrica, applicando tutti statuti, non autonomia in senso negativo, ma applicando un’autonoma capacità ed un riconoscimento che ci fu dai vertici, che la sezione sindacale diventasse contrattatrice, rivendicatrice, promotrice di movimenti, scioperi e lotte, direzione del movimento, insomma per tutti i livelli di fabbrica, riflettendo le generalità delle linee sindacali. CGIL, per noi, CISL e UIL, che eran ancora parecchio lontane da questa visione di autonomia rivendicativa e direzione. CISL e UIL che non erano niente, almeno in una fabbrica come Pirelli, pesavano molto poco.
Voi siete stati i primi a fare questa scelta di autonomia?
Come visione di autonomia, siamo stati forse primi e l’abbiamo ottenuta; diciamo che è stata assunta non con grande entusiasmo, perché un vertice non accetta mai un livello inferiore che si attesta rivendicando e attestando, e consolidando un proprio poterellino.
Ti ricordi la prima reazione dei vertici sindacali?
Si c’è stato tutto questo travaglio che ha portato però al riconoscimento e siamo nell’aprile-maggio ’68. Quando nell’aprile maggio ’68 presentiamo e facciamo per la prima volta alla direzioni Pirelli una lettera rivendicativa di cottimo, di contingenza che era stata bloccata nel 1964. C’era già la contingenza nell’aria eh; per la prima volta la sezione sindacale CGIL Bicocca scrive alla direzione generale Pirelli: questo sono le nostre rivendicazioni, chiediamo l’incontro di trattativa e il Sindacatone –il nostro provinciale- accetta questa cosa senza entusiasmo, ma accetta, e noi usciamo con questa nostra rivendicazione.
Perché senza entusiasmo?
Perché la direzione di marcia come poteva essere, che gli assicurava questa visione complessiva generale che prevede maturazioni generali, linee sindacali che tengono sempre presente il tutto, le categorie, le compatibilità diciamo? Affidare un gruppo dirigente di fabbrica, anche se sentivano che il gruppo dirigente di fabbrica aveva capacità, numeri, culture e pregnanze. C’’era il retroterra di Gramsci, retroterra storici sufficienti ma…
Non eravate considerati delle schegge impazzite insomma?
No, poi arriva il momento del CUB: arriva il momento in cui noi diciamo abbiamo fatto delle cose straordinarie fuori dal cestino.
Ecco Vito spieghiamo che cos’erano, chi erano i CUB?
Per arrivare ai CUB c’è un momento, aspetta arriviamo, arriviamo. Quando noi eravamo la CGIL di fabbrica, che era l’80% della forza di fabbrica, e per numero di iscritti, per voti nelle commissioni interne (si votava ogni anno, la percentuale dei voti CGIL era l’80% del tutto) diciamo che eravamo il tutto per quello che poteva essere la determinazione di lotta e di capacità.
Come venivano scelti i membri che dovevano far parte delle commissioni interne?
Lì la discussione era interna e politica cioè la partecipazione degli iscritti era aperta; già allora la sezione sindacale quando si buttò ad essere attrice di rivendicazioni firmate, pretendeva di avere le trattative con la Pirelli sulla rivendicazione. Per arrivare lì c’è stata una serie di approssimazioni successive: i dirigenti erano figli della decisione territoriale, della decisione locale di fabbrica e c’era il benestare, l’eventuale suggerimento che, della direzione provinciale, ma non c’era mai stata una lotta sulla formazione di liste per rappresentare le devianze. Noi però abbiamo rappresentato una devianza, cioè adesso la spiego. Con l’epoca della piazza (’64-’65 hai detto facciamo un salto) noi tentavamo di avere, ora sui carrelli, ora sui servizi, mense, pulizie, su diversi aspetti tentavamo di avere coaguli, lotte, lottarelle di reparto, di gruppi, ma niente; c’era la paura di essere licenziati, poi mi mandano al nero fumo, che era per noi la punizione, era andare a finire al reparto dove si metteva dentro il nero fumo da impastare con la gomma per farla diventare gomma nera, per la vulcanizzazione della mescola, della base per fare le gomme.
Lì venivano mandati quelli che combattevano…
Cosa stavo dicendo? C’è stata la nostra devianza cioè arrivano questi tentativi di lotte operaie dal basso. Proclamavi lo sciopero provinciale per il rinnovo del contratto, usciva il 10-15%, impiegati uno o due, io e qualche altro. Robe, eravamo fuori, non si riusciva ad innestare qualche cosa di positivo per trainare dell’altro. Arriviamo al punto di decidere (ed è una cosa che non è mai stata capita, perdonata, non so) di parlare ai lavoratori per assemblee di reparto; non si poteva ancora fare l’assemblea dei reparti era ancora da conquistare lo Statuto dei Lavoratori del 1970. Si faceva l’assemblea dei reparti, chi veniva, veniva al Circolo Primo Maggio, qui fuori dalla fabbrica per gruppi di reparti e venivano i più attivi, i più intelligenti, i più capaci, i più sensibili, e si discussero queste cose. Proclamare scioperi che non riescono mai, non si può andare avanti così a proclamare scioperi che non riescono, a tentare di dare il 15% quando è soltanto il 7% e il 7% quando è soltanto il 2%, non si può, bisogna fare un salto di qualità. L’idea è stata nostra di sezione sindacale: a tutti diciamo abbandoniamo per un momento la nostra appartenenza CGIL-CISL-UIL; provate a sforzarvi, provate a pensarvi senza tessera. Insieme diciamo: quei carrelli elettrici producono o non producono fumo puzzolente; i carrelli a scoppio producono fumo, puzzo, inquinamento respiratorio, avere un obiettivo comune sul fatto specifico: i carrelli elettrici nei reparti di vulcanizzazione non c’è bisogno di essere della CGIL-CISL o UIL. Invece niente! La gente lo ha così capito che l’ha seguita e così è venuta fuori l’accusa indiretta del comitato provinciale, che noi facevamo del qualunquismo, che non tenevamo ben chiara l’appartenenza sindacale e noi dicevamo: noi teniamo presente che se riusciamo a mettere dentro i carrelli elettrici è fatta l’unità, ma un’unità di lotta e anche di sigle: ma perché poi dicevamo ma chi l’ha fatto? Lui è della CGIL, lui della CISL e lui della UIL e insieme hanno fatto i carrelli elettrici nei reparti. Noi lì abbiamo incominciato a proclamare degli scioperi titolando: “dimentichiamo l’appartenenza sindacale di ognuno, scioperiamo per questo obiettivo fuori tutti”. La cosa ebbe una grossa presa, fu l’innesco. Arrivati a questo punto, da reparto a reparto, abbiamo innestato l’altro, il secondo: il primo è stato questo gradino ideologico, diciamo…
Ecco Vito ricordiamo siamo negli anni ?
Adesso siamo già nel ’68, nel 1964 stagna, nel ’65 quasi stagna. Qui in Italia nel ’66-’67 cominciano i metalmeccanici con le magliette a righe orizzontali, le magliette a strisce famose è stato un capitolo: le prime manifestazioni giovanili in piazza del Duomo, c’è stato il panettone in piazza del Duomo il giorno di Natale, c’erano già queste manifestazioni metalmeccaniche che davano qualche attestazione di affermazione di lotte, però ancora sporadiche che davano però già un segno. Noi in quella situazione lì ci siamo inseriti con questa chiave (abbandoniamo l’appartenenza sindacale: obiettivi) secondo: se un reparto decide di uscire, non esce se non ha verificato all’interno (i reparti erano fatti di 50, 37, 29, 100 persone) vi riunite tutti all’interno dei reparti, alla timbratura, quando diciamo domani tentativo di uscita per tal obiettivo, però se non siete l’80% non esce nessuno. Tutti alla timbratura vi contate: “ragazzi, qui non siamo mica all’80% si torna a lavorare e non si fa lo sciopero”. E non si faceva sciopero e poi però si ritornava al tentativo nello stesso reparto. Però gli operai dicevano, lo sapete la paura non fa trenta fa novanta. Torna il giorno dopo tentativo di sciopero un’altra volta, riunione alla cartelliera di timbratura, quando sarete l’80% fuori: ha incominciato un reparto a uscire all’80% senza appartenenza CGIL-CISL-UIL con quella verifica preventiva che sarebbe uscito solo se all’80%. Viene fuori l’8655, il reparto di Confezioni Giganti, dei gommoni, viene fuori di slancio, è stata la festa per noi che dirigevamo sta carica, questo tentativo di uscita da un vicolo di non partecipazione, di paure, di linea nero fumo come punizione. Come siamo arrivati a capire che si girava l’angolo? L’abbiamo percepito che di reparto in reparto, e poi dal primo reparto 8655 abbiamo fatto i Cerchietti, poi la Vulcanizzazione. Siamo nella produzione dei pneumatici, perché la Pirelli ha tre settori, ma quelli grossi sono il pneumatico con il 60% dei dipendenti, di cavi con un altro 30% e poi altri 10% insomma. Cioè eravamo nel pneumatico dove la vita era più dura; la produzione ai cavi meno, c’era più tecnologia, più preparazione professionale perché lavoravi il rame, i dielettrici, gli isolanti, erano un’élite operaia per la Bicocca. In Bicocca invece il produttore di gomme era il bergamascone, con i muscoloni che veniva giù dalla Brianza o dalla Bergamasca. In questo settore pneumatici siamo andati costruendo reparto per reparto questa partecipazione non targata, per obiettivi, minimo 80% e di reparto in reparto siamo arrivati a farne dieci reparti alla volta, lì montò, e siamo arrivati al ’68.
Ecco tutta questa vicenda l’avete gestita autonomamente. Ma il sindacato ?
Il sindacato assisteva diciamo non molto convinto; anzi, abbiamo avuto delle riunioni piuttosto acidine. Sotto sotto dicevano: via le sigle è qualunquismo. Noi dicevamo: ragazzi otteniamo gli obiettivi, insieme, uniti, non abbiamo mai fatto tanto. Mai uno sciopero riuscito, adesso c’è, ma noi siamo più CGILellini, CISLini, o viceversa, vedremo, non importa, facciamo l’unità di lotta, di movimento di lotta, di conquista e l’unità è fatta! Però c’era, anche da parte mia, che ero il carogna teorico: andiamo, camminiamo, cos’è sta storia delle sigle, dimentichiamo le sigle, le ritroveremo cammin facendo. Siamo arrivati al ’68 nei reparti così, nella filosofia più complessiva dicevamo, nei comizi fuori dalla portineria, man mano che c’erano queste uscite più che dirette, che sembravano spontanee, non c’erano dichiarazioni scioperi, non c’erano fuori i cartelli CGIL-CISL-UIL né scioperi autonomi. Non c’erano: ecco arriva il momento di parlare dei CUB. Quando questi scioperi venivano diretti e gestiti da noi non venivano proclamati con righe di manifesto alle portinerie. Però facevamo vita da ladri: tutti i turni, alle cinque del mattino eravamo lì a dar via volantini, la fabbrica è fatta su tre turni ognuno è come se fosse una fabbrica distinta. Tu sei vissuto in una fabbrica di tre turni, sono le fabbriche, e tu o li gestisci tutte e tre con la stessa libertà di informazione ecc. Hai da lavorare su tre pezzi di fabbrica che sono differenziati solo per turni di partecipazione. La non sigla CGIL-CISL-UIL dicevano di scioperi spontanei: il cosiddetto CUB quando alcuni operai hanno sentito di più lo sciopero ad oltranza alla Renault, l’estremismo degli studenti. Gli studenti venivano lì a dire che i nostri scioperi articolati , un’ora a me duo ore a te, i reparti, niente, questa è melina, dicevano questi qui dei CUB. La super sinistra era vista da me la destra. Cosa vuoi dire che è melina noi facciamo scioperi, l’unità che cammina, che conquista. Voi mi dite lo sciopero articolato no! Noi facciamo come la Renault! Nei nostri comizi dicevamo:”Noi non faremo lo sciopero ad oltranza”, i miei comizi gridati. Ha vinto questa nostra presa di posizione sui lavoratori tant’è che i lavoratori hanno seguito noi, non i CUB. I CUB erano la voce, l’altra, quella che ancora usciva con i suoi volantini dicendo: ancora una volta qui c’è compromesso, con visioni di destra, visioni compatibiliste. Sai, anche questo linguaggio critico d’attacco super sinistra, che diceva siete tutti di destra: cos’è questa visione oggi a me domani a te lo sciopero un po’ ciascuno che porti alla sintesi? E’ roba così intellettuale, dicevano loro.
Hai parlato di estremismo degli studenti, ma il ’68 l’hanno incominciato loro…
Chi lo ha detto? Lo dicono tutti i libri, è vero, se tu sfogli tutta la pubblicistica è scritto così. Io penso proprio che non sia così, cioè quando questi operai interni, che avevano queste assunzioni di filosofie, tipo Renault ad oltranza, sono venuti studenti alla portineria a dire: le piatteforme bisogna farle con gli studenti, noi abbiamo fatto scappare gli studenti. Noi che facevamo quelle lotte abbiamo detto agli studenti: andate un po’ all’università a spiegare qual è la vostra piattaforma. Come fate voi, che non conoscete un cerchietto, non conoscete un vulcanizzatore, non conoscete il nero fumo, non conoscete la produzione come si svolge, pretendereste di darci le piattaforme? Le piattaforme le fanno gli operai che ci lavorano su quei prodotti: sanno che quello lì taglia più dita, è più infortunistico, quell’altro lì è più puzzolente, più inquinante. La piattaforma non può essere fatta dagli studenti. Il contributo di studenti ben venga, tutta la luce che può venire in aiuto ma deve essere una piattaforma operaia, con aiuti, contributi, con luci, con tutto, ma se uno studente vien qui a dirmi…Perché loro venivano con quelli dei CUB a dire: le decisioni le dobbiamo fare insieme, noi operai veri (perché noi eravamo considerati quelli di destra). Ed è questo il capitolo che ancora oggi, se pensi, (non faccio nomi) ma anche recentemente sono state fatte pubblicazioni, Anelli ed altri hanno fatto pubblicazioni sulla Bicocca. La storia delle sue lotte e via. Non c’è questo capitolo di scioperi fatti senza sigle: non è stato raccontato da nessuno. Degli scioperi cosiddetti spontanei che, invece, avevano fior di guida. Degli scioperi non studenteschi, ma operai con contributo. Cioè tutta questa filosofia altra, non è comparsa mai e se si dice che le lotte sono nate dagli studenti…
E perché per te non è comparso questo capitolo delle lotte spontanee, delle lotte non legate alle sigle sindacali? E perché, insomma, chi gestisce una camera del lavoro…aveva paura di voi?
Diciamo che avevano paura di noi prima di tutti i padroni, diciamo che stavamo scavando le tabelle di cottimo. La prima grande lotta della Bicocca è nel 1968. Perché, a parte i carrelli, a parte i servizi e tutti questi tentativi, poi si è arrivati a formulare una piattaforma della sezione sindacale sul cottimo. Pirelli aveva bloccato il cottimo nel 1964 in cifra fissa. Quello che, dopo, Cofferati ha teorizzato: basta con i meccanismi diabolici di rivalutazione. C’era proprio la filosofia di Cofferati, è stata poi quella vincente dopo il ’72-’73; passò quella visione che c’erano meccanismi diabolici di rivalutazione automatica, bisognava abolirli e invece farle diventare tante specifiche lotte che andavano anche oltre. Stavo dicendo…
Chi aveva paura di voi?
Il padrone prima, oltre a chi aveva una visione di gestione politico direzionale. Insomma, noi tiravamo giù dal letto i dirigenti sindacali alle cinque del mattino, pretendevamo che fossero lì a far comizio. Senza dirlo “tu vieni giù” però dico domani mattina sciopero, il primo sciopero…non verrà mica il segretario provinciale. Abbiamo imposto un ritmo, una carica, già alla mia età sento ancora quei ritmi lì. Dalla mattina il turno che faceva dalle sei alle due del pomeriggio entrava alle cinque e noi alle quattro e mezza entravamo già lì e con il volantino dovevamo essere presenti, non solo noi dirigenti sindacali ma di fabbrica, lavoratori che timbravano il cartellino quando si andava ai posti di lavoro ma anche a questa direzione sindacale non è che fa piacere venir giù, era ottobre novembre dicembre ’69 e sottozero non è che siamo…
Certo Vito, però, non è possibile che i problemi di relazione con i sindacalisti siano in relazione solo col fatto che a nessuno piace alzarsi presto la mattina, politicamente cosa c’era che non andava?
Politicamente c’era una visione, una visione delle sigle da buttare per aria, di un’unità da fare dal basso ed era una visione un po’ basista. Un dirigente sindacale che ha i congressi, le nomine dei gruppi dirigenti per i livelli, se ti arriva una pistolina di sezione sindacale Bicocca che dice, qui comandiamo noi, le piattaforme sono nostre e vanno e camminano e fanno sciopero. Gli scioperi provinciali contrattuali non fanno niente, niente, invece questi camminano insomma facevamo un po’ di ombra.
All’interno delle fabbriche c’erano già le cellule legate ai partiti della sinistra?
Dal ’45-’46 c’erano già le cellule del PCI; non parliamo della Democrazia Cristiana che aveva le sagrestie…
In quel momento in tutta la vicenda loro come si muovevano? In questa vicenda, che condizionamenti esterni…Loro chi?  Loro le cellule, le cellule del PCI
Le cellule del PCI eravamo noi, voglio dire: io come comunista, io ero un iscritto alla cellula “Tavecchia” del mio reparto che era il Laboratorio di ricerca dei cavi. Io ero un comunista in Bicocca, si era alla cellula “Tavecchia” ed io ero iscritto lì. Eravamo un gruppo (nel mio reparto eravamo 100 impiegati e 100 operai) e c’erano 15/16 iscritti al PCI; questi 15/16 iscritti erano più fedeli che costruttori nel senso che c’era un credo profondo.
Qual era il ruolo delle cellule del partito?
Era quello di sollevare problemi mettendo a nudo le ingiustizie. Il PCI di allora non era ancora compatibilista, non era ancora veltroniano. Quando il PCI usciva, usciva con quelle manifestazioni in Piazza Duomo, usciva con gli scontri con Scelba, con i morti di Modena, Montescaglioso, Reggio Emilia ecc. Il PCI di quegli anni lì era un PCI di scontro con il potere, non era ancora arrivato a dire “ma vediamo un po’”; non era ancora arrivata Piazza Fontana, che poi è l’oggetto dell’intervista che mi state per fare; parliamo del 1969. La mia interpretazione è che il PCI fino al 1969 (o meglio non c’è demarcazione, non c’è una linea di confine tra il prima e il dopo) era se stesso. Pero il ’69 rappresenta uno snodo tra un PCI costruttore di una rivoluzione socialista, di mutare da capitalismo a socialismo negli obiettivi verso il socialismo, non vi era striscione del PCI che non dicesse “verso il socialismo”, abbiamo incominciato a tirare giù striscioni “verso il socialismo” e a mettere “verso la democrazia”, verso l’unità del popolo, la parola socialismo andava in disuso…
Ecco Vito, allora arriviamo all’autunno del ’69…
Eccomi; devi ancora dare un pezzettino di ’68 perché con CUB e studenti a dire che noi eravamo fuori, che non avevamo idea che lo sciopero dovesse essere tutto d’un pezzo, senza articolazioni, lo sciopero deve essere per vincere, si dichiara e non si ritira mai più, si è arrivati col ’68 a mettere in discussione un blocco di contingenza sul cottimo. Abbiamo vinto sbloccando la contingenza! Quando Rifondazione mette in campo la contingenza –stiamo parlando di quattro o cinque anni fa- io dico siamo arrivati adesso a capire che la contingenza è importante e a dire rivogliamo la contingenza a misurare le lire di cottimo, la contingenza che mi adegua al potere d’acquisto. Il cottimo in Pirelli era il 30% di tutta la paga (il cottimo di lire) perché poi c’era il cottimo fatica, altro discorso. Abbiamo puntato sul cottimo per il primo grosso capitolo che era: sfruttamento modi di determinazione dei tempi di produzione, lire di contingenza su questo 30% di paga. Abbiamo vinto alla fine del ’68, il 23 dicembre prima di mangiare il panettone di Natale si firma la prima grossa vittoria dei basisti. Eravamo noi, non quelli dei CUB che si chiamavano basisti, noi eravamo i costruttori di questo successo. Avevamo costruito un cottimo, ex novo avevamo rifatto tutto il meccanismo, con le curve (ho ancora in giro i grafici di costruzione di questo meccanismo), abbiamo ottenuto che fosse rivalutato ogni trimestre, come prima del ’64; c’era questa dinamica, il cottimo veniva rivalutato ogni trimestre in base al potere di acquisto, con contingenza presente. Dal ’64 incomincia il blocco del cottimo, nel ’68 il primo obiettivo è di dare dinamica alle lire del cottimo in busta paga. Abbiamo vinto la prima grossa battaglia. Rifare il congegno del cottimo aggiornandolo, perché erano cambiati i macchinari, cambiati i ritmi di produzione, abbiamo rifatto le curve ecc. Ma abbiamo reintrodotto il nuovo concettone di base che questo 30% di paga non può essere fisso: deve risentire del potere d’acquisto, della contingenza.
Com’erano i salari prima del mitico contratto del 1969?
Diciamo che erano contratti di sopravvivenza, non è che fossero da fame. C’era la contrattazione nazionale, che aveva una sua decenza per impianto normativo, con la base economica piuttosto scarsa, poi nelle aziende in cui avevi più potere costruivi –come coi cottimi, come nelle atre voci- le piattaforme integrative, azienda per azienda, che erano anche…qualcuno diceva: “beh, però le fabbriche che hanno la forza si fanno le loro piattaforme integrative, quelle piccole no”. Quelle piccole venivano trascinate e risucchiate, se tu porti avanti il comparto più forte porti avanti una rivendicazione forte, anche salariale, la piccola-media azienda non viene danneggiata, anzi viene, esemplificando: “Come? Alla Pirelli si fa lo stesso numero di gomme, lo stesso lavoro che faccio io, e perché loro prendono molto di più? Lo voglio anch’io”. Il traino era un esempio, non era una negazione.
Allora, dicevi, è la prima volta che ti appresti a dire cose che da trent’anni…

Vorrei dire, scrivere, fare, però le congiunture dei fatti. Nei fatti, in quello che sto per dire, ritengo che vi sia una testimonianza di un capitolo preciso dei giorni 8, 9, 10 ottobre 1969. Un episodio chiave che per me ha rappresentato la misura del 12 dicembre, della strage di Piazza Fontana. Cioè noi abbiamo vissuto un capitolo che era premonitore, quando abbiamo fatto quello che vi dirò, secondo me era già chiaro che il potere aveva deciso di stragi. Aveva deciso di farci fuori come movimento operaio…non noi, noi abbiamo resistito, però adesso dirò come mai il gruppo dirigente si è prestato (volente, nolente, incapace, sottosviluppato, non lo so) sto gruppo dirigente…ora faccio anche i nomi, secondo me non avevano capito che se cedi al ricatto sei fottuto, sei ricattato il giorno dopo per un gradino in più; cioè è la solita storia: se tu vieni a patti, poi ci sono i momenti in cui valuti che è meglio venire a patti ma un passo indietro e due avanti…cioè questo discorso del venire a patti non è escluso in assoluto, però quello che ha rappresentato il Grattacielo in quei giorni lì adesso lo dirò… Allora siamo al Grattacielo Pirelli, l’attuale sede della Regione Lombardia…Allora era la sede della direzione Pirelli mondiale…

Ecco Vito, tu dici, io ho avuto sentore che stesse succedendo qualcosa che poi, come dire, hai avuto conferma, che ha poi portato all’inizio della strategia della tensione…che cosa è successo?

Dopo il cottimo vittorioso, dopo le varie conquiste che erano date ai lavoratori, la fiducia sul nostro gruppo dirigente –soprattutto di fabbrica perché eravamo noi a pilotare, poi qualche dirigente provinciale-…la gente guardava noi, dentro lì andavamo nel reparto a lavorare con loro, eravamo quelli che dicevano “dentro tutti!”,”fuori tutti!” e ci davano retta da matti. Arriva il punto in cui, dopo il cottimo, dopo varie conquiste, buttiamo un’altra piattaforma in ballo: premio di produzione –esso pure bloccato nella contingenza- (il premio di produzione pure era dinamico fino al ’64); fu bloccato in cifra fissa, togliendo di mezzo la contingenza, la piattaforma del ’69, di questi 3 giorni al Grattacielo, comprendeva tutto: premio di produzione e altri minori questioni. Minori….mica tanto minori, perché c’era anche la contrattazione delle qualifiche a valutazione sul posto….cioè tutte grossissime cose ma, diciamo che la parte salariale e normativa chiave era quella di ripristinare una dinamica a un congegno –quello del cottimo già conquistato un anno prima a dicembre ’68-, questo nel dicembre ’69: ridare dinamica al premio di produzione. Presentiamo la piattaforma, la piattaforma tira, va, sciopero articolato – per giorni – un reparto al giorno, uno a me, tre a te, tutto articolato, tutti i giorni c’era sciopero; fermavamo un reparto, la catena di produzione pneumatici, se tu fermi il beccatello che porta il pezzo allora non ti può più fare la finitura. Fermavi un reparto e fermavi tutto, ma chi perdeva la paga era solo quello della vulcanizzazione; agli altri non arrivava il materiale e avevano la paga salva. Questa articolazione era una cosa eccezionale. …Scientifica…
Individuiamo che questo crescere di scioperi intorno al premio di produzione, come per il cottimo, era una crescita, una crescita, reparto per reparto, tre reparti, cinque reparti; uno per tutti riesce, uno per tutti riesce: fuori!, Fuori! Adesso alziamo il tiro, tre giorni di blocco totale del Pirellone Grattacielone. Non deve entrare neanche il gatto del portinaio: ecco il nostro estremismo che i CUB avevano detto che noi eravamo melina, cioè acqua fresca. Tre giorni di blocco del grattacielo, non entra, non dico Leopoldo, ma neanche quello che pulisce i cessi. E poi arrivano i telegrammi dall’estero, le telefonate, il grattacielo ha suonato 3 giorni… immaginalo… tu che sei un giovane, quel grattacielone lì ogni piano ha 50 telefoni, tutti che suonavano, nessuno che rispondeva, arrivavano i postini a portare i telegrammi e nessuno c’era sulla porta a ricevere niente. C’erano picchetti continui per 3 giorni e 3 notti. 24 ore su 24, non dalle 5 alle 10 di sera. Tutto! 24 ore su 24 per 3 giorni di fila con turni; si usciva dalla fabbrica, turno per turno, un’ora prima smontava questo, un’ora dopo… si davano il cambio sul posto: uno arrivava un’ora prima, un altro un’ora dopo; c’era una sovrapposizione di un’ora tra un turno che smontava ed uno che montava ci si stringeva la mano, c’era l’apoteosi, tho!
C’era una blindatura che ha causato…
Che ha causato una cosa grossa, eccola qua la mia testimonianza che per la prima volta io racconto, e l’avrei voluta raccontare tanti anni fa a quel PCI che mi ha deluso, quel PCI là del quale io mi ritengo costruttore di quegli anni; io son stato membro della grande Direzione Provinciale del PCI a Milano, sono stato candidato per le elezioni di deputati nelle liste del PCI. Io, nel ’63, fui uno dei candidati dell’elezioni politiche della camera dei deputati di Milano… non sono stato eletto per 8 voti di preferenza: su 3000 ne ho avuti 3000 e 8 meno, insomma. Allora, quel PC là, in questo blocco del grattacielo, naturalmente capisce che è un’alzata di tiro… probabilmente non gradita, perché? Noi dalla sezione sindacale diciamo: “ per 3 giorni il grattacielo non parla, non riceve telegrammi, non telefona. Blocco!”. Va bene, si firma il volantino, si chiamano anche i segretari provinciali, diciamo che autorizzano una decisione che però era venuta fuori dai reparti; noi avevamo fatto assemblea reparto per reparto. Votato all’unanimità… tutte decisioni di slancio. Arrivati a quel punto, loro firmano, firmano anche loro la dichiarazione di blocco di 3 giorni del grattacielo: una specie di rivoluzione.

Parliamo dei segretari Provinciali di Cgil, Cisl e Uil. Cgil, Cisl e Uil…arrivano ad assumere  a malincuore mi sembra di capire….

Certo, a malincuore a malincuore a malincuore perché loro più politicamente in alto, diciamo, più correlati con i livelli più nazionali del tutto, sentivano che era una rivoluzione tassello, lì cumàndan i uperâri e i padroni non ci sono più. Non entra più un padrone, una segretaria….niente….3 giorni, lì comandiamo noi. Una roba enorme….
È una bella immagine, ma cosa successe? Perché il PCI di allora fece un passo che ti ha segnato così profondamente….
Aspetta, aspetta, adesso te lo dico….tra poco, cinque minuti ancora e te lo dico: arriva il blocco, arrivan giù gli operai sui camion, che si tengono a braccetto in piedi sui camion, la cosa era andata, con i nostri volantini, in provincia, in brianza, nella bergamasca, noi davamo via i volantini a tutti. A tutti gli automezzi che parcheggiavano davanti alla stazione di Greco, davanti a viale Sarca, c’erano gli automezzi dei cambi turni: ventine, trentine di autobus e noi davamo i volantini da portare nei circoli in paese. Dunque tutta la brianza e tutta la bergamasca erano invase dalla nostra linea, dalla nostra filosofia. Arriva il punto che, con il blocco del grattacielo, facciamo un blocco di slancio: i lavoratori vengono via di turno in turno con gli autobus che passavano, con i camion dei muratori dell’edilizia. E si faceva cenno prima a queste tute bianche, immagina, tutte riversate su viale Sarca, migliaia di persone, 3000 per turno, non bazzecole. Ai camion che passavano dicevamo: “Andate in giù? Dateci un passaggio!”, l’autostop. I camion pieni, roba da fotografia…hanno distrutto le foto…non so se lo sai…han fatto una distruzione…perché? Chi? I dirigenti nazionali della Cgil hanno deciso che, intanto la mia figura….non troverai la mia figura davanti a un comizio da nessuna parte. Io sono stato tagliato fuori in tutte le manifestazioni, in tutti i comizi…non ci sono….ed ero la prima figura del tutto. Arriviamo a dare il profilo di questi 3 giorni al Grattacielo: 3 giorni al Grattacielo, la gente entusiasta. Primo giorno, poi il falò perché faceva freddo –siamo ai primi di ottobre-: le cassette della frutta, i falò, arriva anche in via Fabio Filzi. Arriva il primo giorno, si arriva giù e troviamo –la mattina alle 5- dichiarato che si partiva con il primo turno. Alle 5 arriva giù il primo turno quel giorno là trovò 1500 scelbini, allora non c’erano le maschere, gli schermi di plastica…1500 scelbini schierati…
Poliziotti ?
Poliziotti …allora Scelba era l’ uomo della Polizia, Ministro della Polizia. Primo contatto, gli operai che arrivano giù belli contenti, giulivi, vittoriosi, senza…sapendo che il potere non era sparito, i carabinieri e i poliziotti menavano…non era cambiata la filosofia degli operai che si scontravano con le polizie di tutto il mondo. Arrivano giù, c’è il primo contatto, gli operai si avvicinano, i poliziotti vedono una massa che non avevano mai visto: i poliziotti erano 1500, gli operai 3000. Allora gli operai che si accostano, si avvicinano, vogliono far picchetto loro, la polizia che…siamo noi contro i muri, contro la proprietà, gli operai dicono “No, qui il picchetto è nostro, voi state al di là della strada! Teneteci d’occhio se facciamo i capricci. No, noi di là, voi di qua!”. Viene già la cancellata…cioè…il Grattacielo, se tu passerai qualche volta, sul piazzale della Stazione Centrale, c’è una cancellata che fodera il piazzale: quella cancellata lì venne giù per lo scontro poliziotti/lavoratori “qui ci stiamo noi, lì ci state voi”. Venne giù tutta la cancellata, tutta eh! Un macello, roba da restare sotto! Non ci furono feriti perché ci fu l’intelligenza –anche nostra- perché io ero lì in mezzo agli operai a dire: “Mi raccomando ragazzi, non spaccate nulla!”, cioè sempre a tenere il controllo che non succedesse il parapiglia e lacrimogeni e robe così. Quelli, i poliziotti avevano avuto ordine che qui era troppo grossa e troppo nuova per muovere lacrimogeni e manganelli parapì, parapà. Si son portati dall’altra parte della strada, gli operai hanno preso posizione parapì, parapà.
Quindi non ci furono incidenti ?
Niente, però venne giù il cancello. Questo è stato un episodio tutto fotografato, che però è stato tutto bruciato. Se tu chiedi agli archivi storici delle lotte del ’69 vedrai che questa roba non c’è perché è un capitolo della madonna, perché poi arriva Piazza Fontana. Adesso vedi che ci arriviamo…

Perché oltre al cancello è caduto qualcos’altro ?

E’ caduto il segno del potere. Poteva anche cambiare disegno. Alla fine del primo giorno, diciamo che le cose non sono cambiate un gran che, diciamo che gli operai partecipano. Ci son comizi ogni due, tre ore col megafono eccetera. Il secondo giorno è quello dello scontro: arrivano verso sera del secondo giorno i tre segretari provinciali camerali –non della categoria chimici- ma generali, quelli delle camere del lavoro di Milano (Cgil, Cisl e Uil). I tre segretari di allora hanno un nome e un cognome: Venegoni, Romei, Cinelli. I tre grandi vengono e, conoscendo le nostre figure e le nostre facce, si avvicinano: “Guardate che avremmo bisogno di parlare”. Noi ci troviamo i tre segretari che da soli non vedevamo ai picchetti, in mezzo alla gente. Prendono me, gli altri due dirigenti della Cigil di fabbrica, uno o due della Cisl di Fabbrica, uno della Uil di fabbrica o due; ci portano in un bar di via Fabio Filzi, andiamo nella cantina di un barettino per parlare di cose delicate. Siamo andati giù con i tre Segretari e 7 o 8 di noi. I segretari ci guardano con molta grinta…la cosa drammatica, adesso la racconto, dicono: “Siamo qui per parlarvi dello sciopero” –“Va bene, no?”- “non va bene, compagni, vi diciamo subito che lo sciopero bisogna interromperlo”. Bisogna interrompere questo blocco del Grattacielo, è una necessità indiscutibile, non si discute compagni; bisogna andare via, convincere gli operai che l’obiettivo è raggiunto, che tutto sommato una cosa di questo genere è –storicamente- una perla, l’obiettivo, però, è quello di dare segno che al Grattacielo gli operai hanno la loro presenza determinante sugli sbocchi di ogni trattativa, ma è tempo di ritirarci”. “Come? Cosa succede?” “Noi ve lo diciamo però in una riunione perché qui, dovete capire, ci sparano –vi diciamo solo così- ci sparano” “Olla Madonna! Dai, vieni qui, cosa succede?”…ma brutti eh! Di cattivo…io già cattivo perché vedevo questo gruppo dirigente già compatibilista. Io avevo un’idea più di sinistra…come dire…

Voi andaste a quella riunione ?
A quella riunione in via San Gregorio, sindacato dei ferrovieri di via San Gregorio, in una saletta facciamo una riunione DRAMMATICA . Venegoni, Romei, Cinelli. Prende la parola per primo Venegoni: “Compagni, le cose sono così serie che ve la dobbiamo dire tutta. Cominciamo col dire che il Battaglione Padova –che voi sapete è…il potere non ha mai dimenticato –dice Venegoni-di fare il suo mestiere, il potere vuole la sua vittoria al Grattacielo- il Battaglione Padova è già partito da Venezia, è sull’autostrada e sta venendo qui. E domattina, se troverà il Grattacielo occupato sparerà!”. “Cos’è?!?”
Chi è? Cos’era il Battaglione Padova?

Il Battaglione Padova era un Battaglione speciale del Ministero degli Interni che faceva capo alla Polizia Centrale, cioè al Ministero degli Interni e Polizia. Un corpo che oggi potrebbe dirsi non so se se…cioè corpi speciali, corpi addestrati specialmente alla lotta contro le rivolte, i disordini, per sedare i disordini…tra virgolette

Quindi loro vi dissero di ritirarvi per evitare questo….questo rischio ?
Evitare la strage: “Guardate che son già in viaggio, non stiamo dicendo… il Ministero degli Interni ha parlato con il Questore di Milano, il Questore di Milano ha parlato con Donat-Cattin –che è il Ministro del Lavoro-, Toros -che è il sottosegretario del Ministro del Lavoro- sono stati in Prefettura, hanno fatto sapere a noi che questa era la condizione per aprire le trattative con la Pirelli…ritirarci qui..a scanso di…”. Ma come a scanso di??!! No no, sono in viaggio e domani mattina sparano”.

Ecco i tre funzionari,i tre Segretari Provinciali, chi li informò del fatto che questo Battaglione stava marciando verso Milano ?
Loro dissero, abbiamo avuto l’informazione da Questore e Prefetto di Milano. Tutti dettagli utili sono nel ritaglio del Corriere della Sera di quei giorni che io ho qui davanti a me. Avevano avuto questa informazione e RICATTO!. Adesso arrivo a dire…perché Piazza Fontana? Perché’?. Abbiamo detto…io ho preso la parola per primo in risposta e ho detto: “Caro compagno Venegoni. –perché lui aveva detto, guardate che il potere…non è che c’è bisogno di andare a scomodare molta storia…lo sapete cosa fu Piazza del Duomo con Bava Beccaris del 1898? Certo la storia l’abbiamo letta e conosciuta- risposi io- Bava Beccaris nel 1898, sotto il re, sotto i Savoia, dopo i regimi….cioè siamo nel ’69, dopo la resistenza, dopo tutta sta roba vengono a sparare su 3000 operai? Come fai a crederci? Come fai a crederci tu, Venegoni? Io non credo che verranno a fare la strage di Bava Beccaris qui, su 3000 operai a sparare con quei tatatatata”. “Basilico-mi fa- non fare il galletto! Questi operai morti che, se non andrete via saranno morti, li avrai tu sulla coscienza!”. Gli ho fatto così! “Tutti sulla mia coscienza, non è molto larga ma ci stanno tutti!”. (Battei la mano larga sul mio petto!)
E voi cosa faceste ? Cosa decideste ?
Decidemmo di non parlare agli operai di andare a casa, non gli abbiamo detto neppure che ci avevano detto di andare via, manco pa’ capa, avanti con la lotta!… e siamo andati a finire con il terzo giorno. Allora, questo episodio ci ha fatto riflettere perché poi anche i compagni che non sono qui con me stasera hanno un nome e un cognome anche loro…io avevo proposto di fare un’uscita collettiva, raccontiamo sta roba, la portiamo sul tavolo del processo Moro- La strage di Piazza Fontana è figlia diciamo…due mesi prima c’è questo episodio…è un episodio che dice!…Adesso dico la mia tesi che io vorrei portare a tutte le conseguenze del caso. La mia tesi fu: il gruppo dirigente della Cgil –e dunque anche del PCI- ha assunto una filosofia di accettazione del ricatto del potere dicendo che se qui avessimo tirato troppo la corda ci si sarebbe ribaltato tutto contro…cioè l’idea compatibilista…non possiamo fare la rivoluzione in un bicchiere d’acqua. “Qui bisogna ritirarsi dal Grattacielo”…e il potere…Ministro degli Interni, Rumor –presidente del consiglio di quei giorni lì-, Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale –Donat-Cattin-, Toros –sottosegretario-… tutta Democrazia Cristiana perché allora il governo era monocolore di Democrazia Cristiana (subito prima c’era stato un governo di democristiani, socialisti e liberali, subito dopo un altro “Rumor II” tutto con democristiani e…). La mia tesi è che, anche attraverso questa intervista, vorrei mettere alla riflessione di chi …insomma mica sono il cervello unico io, non…

Facciamo un passo indietro, prima di questa tua riflessione…il Battaglione però non arrivò!
No! Non arrivò, la mia previsione era: “Venegoni, sei un po’ matto!”. Perché poi ci si dava del tu…
Ma secondo te era vero ?
No, non era vero. Il potere verificò che il gruppo dirigente (Cgil, Cisl e Uil e PCI) era ricattabile. “Andate e dite agli operai di andare via!”, ed era la moneta di scambio del Potere con la P maiuscola e del poterino –quello sottoclassato-. Cgil, Cisl e Uil e il PCI accettarono di venire a mandarci via, la classe operai però era meno ricattabile, cioè…io che guidavo un po’ queste filosofie…noi non ci siamo fatti ricattare. La decisione di fare Piazza Fontana due mesi dopo parte anche da questa interpretazione di fatto storico: quando il potere dice ai gruppi dirigenti della sinistra “ritiratevi sennò vi ammazzo”, voi dite “si, andate a casa, c’è il rischio di stragi Bava Beccarine”. Noi “ non c’è alcun rischio di stragi, siamo molto più alti, a vigilia di avanzate ulteriori verso vattelappesca”, verso trasformazioni…socialismo….dentro cosa vedi? Sto potere che decide tutto. Decide i tempi di tabella, decide le paghe, decide le contingenze, le taglia, si taglia il potere di acquisto con la firma Cgil Cisl Uil…mò basta!….ed è stata una rivolta che i Cub, i pirlini del porcodio, hanno inteso come troppo di destra, troppo moderata.
Dunque questo episodio…
Mi ha detto: se è vero che il potere alto è ricattabile sotto il Ministro del Lavoro, il Ministro di Polizia; se subisci il ricatto bisogna schiacciare la classe che non subisce il ricatto: bombe in Piazza Fontana, Brescia ecc. Io ai compagni del PCI di allora –Bella e altri- dicevo: “Ancora un paio di colpi di stato e andiamo a finire di andare al governo, eh Bella!”. E infatti, dopo Moro, c’è stata –di strage in strage- un abbassamento della tensione della sinistra e avvicinamento ad un “gestiamo insieme il possibile”…per farla breve….la mia teoria è che Piazza Fontana disse che il potere era ricattabile sotto la forza…la classe operaia no, la strategia della tensione è nata per piegare questa avanzata di movimento operaio…

Senza dubbio….Vito, tu hai lavorato in fabbrica fino a quando?
Fino al giorno preciso del compimento dei 60 anni..
Siamo nel ?
1986
Non è molto molto lontano…
1986-1996…
Cosa è rimasto, anche se è stata molto sofferente la tua attività sindacale di quegli anni…cosa è rimasto di quel periodo nel sindacato fino a quando tu l’hai conosciuto, cioè fino a quando sei rimasto in fabbrica? Cosa si è perso per la strada?

Strada facendo si è persa quella visione lì che io rappresentavo…è stata battuta…questa visione qui, di spinte, unitarie, obiettivi, avanti, un altro obiettivo e avanti…venne battuta da Cofferati. Il Cofferati è uno che esce da questa cosa qui; era, mentre io dirigevo il sindacato, lui –credo- non fosse stato ancora assunto. Però viene dall’Università, viene dall’ MLS (Movimento Lavoratori per il Socialismo), dai gruppi estremisti della sinistra…entra il fabbrica, partecipa di questa visione Cub-ista ecc. Per dirne una: vado a fare un comizio in Piazza Lima un sabato pomeriggio, ormai eravamo ai sambabilini –era dopo il ’70, dopo lo Statuto dei lavoratori-…lui non so se viene assunto nel ’70 nel ’71 o nel ’72…questo siamo nel ’69…dopo tre, quattro anni arriva Cofferati, estremista (visto da me) e legato ai “gruppettari”. Un giorno il PCI mi chiede di andare a fare un comizio per le elezioni del ‘72/’73..vado, dico…va bene…e c’era il rischio che i fascisti…era già venuto Almirante (fondatore dell’MSI) in piazza Castello, a Cinisello Almirante non l’avevano fatto parlare nel 1970 –la prima volta che viene Almirante in Lombardia a fare un comizio pubblico…prenota Cinisello Piazza, non lo fanno parlare…occupano la piazza, buttano per aria il baldacchino, non fanno parlare Almirante. Una settimana dopo Almirante prenota Piazza Castello a Milano…io dico al gruppo dirigente del PCI –perché io partecipavo anche a questa dirigenza- dico: “si va con un turno nostro si occupa la piazza…con un turno…3000 persone vanno lì con la loro tuta bianca e Almirante non parla più”. Mi dissero: “Ma no, ma questa è una visione estremista…una cosa che non si fa più…Basilico…sono tempi passati! Bisogna ritrovare –dissi-l’anello da tirare, ma Petruccioli…Petruccioli è uno dei pezzi grossi del PCI mi dice: “Noi non dobbiamo trovare più nessun anello da tirare per rifare il ’68 in Italia, Basta!, adesso facciamo una visione articolata, capace di essere integrata nel tutto…”. Le parole non mancavano…
Erano i primi passi verso il compromesso storico ? 
Verso il compromesso storico…
Quindi hai abbandonato la fabbrica quando ormai…
Si, quando ormai Cofferati aveva vinto…Ad un certo punto, nel ’73-‘74 , uno dei grandi dirigenti sindacali –un certo Roncaglione- mi prese sotto il braccio davanti a uno dei tanti picchetti di sciopero articolato..per i contratti…dopo la fase ’68-’69,’70-’71. Mi disse: “Hai già fatto tanto qui alla Bicocca, hai già 45 anni…non puoi…al primo turno sei presente, al secondo sei qui…la notte vai a tenere le assemblee nei reparti…ti spaccherai….guarda, abbiamo pensato di darti una collocazione che faccia onore alla tua lotta…andrai a fare il dirigente dell’ INCA, sai cos’è l’INCA lì?” patronato della Cgil. Ed io avevo capito che o accettavo o….Ho accettato, son stato lì un anno, poi son rientrato, Cofferati era diventato il grande capo. Ah, dicevo del Comizio in Piazza Lima: con il rischio che i fascisti e i sanbabilini mi buttassero giù dal palco. Dico: “Io il comizio per la campagna elettorale del PCI lo faccio…eccome”…Basilico parla ai lavoratori di Corso Buenos Aires…Cofferati mi disse: “Sei proprio un moralista bacchettone…quelli là ti buttano giù dal palco e poi con chi te la prendi?…si va là con una chiave inglese sotto il cappotto….ma Basilico…ma vai su sul palco con tutto quello che può succederti senza una chiave inglese?”. Nessuna chiave inglese…o mi difenderanno quelli che ascoltano il comizio o vai lì e le prendi come tanti compagni che han fatto la lotta e le hanno anche prese. Io vado fuori senza manganello, senza chiave inglese….Cofferati salì, e Cofferati oggi è quello che tu sai.

Per concludere…12 Dicembre 1969, bomba a Piazza Fontana alla Banca dell’Agricoltura..Come reagì la Pirelli?
La Pirelli reagì con una grande partecipazione a quel funerale in Piazza Duomo -immagina una Piazza Duomo stracolma- con una pregnanza di tute bianche. Perché noi eravamo le tute bianche per Milano –per gli scioperi del ’68-’69- la presenza di tute bianche: c’erano isole del 40%, 50% di tute bianche, tutti in un punto…a macchia di leopardo la piazza….