Rubrica di storia del movimento sindacale: “Dall’autunno caldo a oggi”
Presentazione e intervista a Renzo Baricelli ex funzionario provinciale Milano, gomma- chimici CGIL.
Di Lucilla Continenza. Il 1968 e il 1969 furono anni di cambiamenti epocali, di grandi manifestazioni. Lavoratori e studenti di tutto il mondo scesero nelle piazze per rivendicare diritti fondamentali. Furono anni di contestazioni studentesche, lotte armate, richieste di diritti civili che venivano ancora negati. Ci fu una serie di grandi movimenti, i più grandi movimenti del secolo scorso che forti degli effetti del boom economico scesero nelle piazze contro una società ancora “arcaica” e per quanto riguarda il mondo industriale, ancora troppo paternalista. Le condizioni di lavoro erano ancora difficili, i salari troppo bassi e i diritti sindacali non erano ancora riconosciuti.
Il ’68 operaio che sfociò poi nell’autunno caldo del ’69 nacque comunque alla Pirelli/Bicocca a Milano, che ancora oggi, nonostante non raggiunga i grossi numeri di una volta, è uno dei pilatri delle aziende italiane nel mondo. Alla Pirelli Bicocca, che ai tempi contava circa 12.000 lavoratori, e altre migliaia in altre sedi, cominciarono infatti i primi fermenti dello spontaneismo operaio. Il movimento si diffuse nei mesi successivi negli altri grossi colossi, come la Fiat, a causa dello scadere dei contratti di quegli anni e della difficoltà della contrattazione aziendale, per la mancanza dei diritti sindacali. Il sindacato non era ancora in fabbrica, ma comunicava con le commissioni interne, rappresentanze dei lavoratori (CGIL, CISL, UIL).
L’Italia visse un periodo in cui l’esigenza di una seria contrattazione tra azienda e lavoratori/ sindacati, CGIL in testa, (ma tutti i confederali uniti), fu asse portante per ottenere quei diritti che fino a diversi anni fa apparivano acquisiti e che oggi si sono sgretolati. Ricordiamo, ormai memoria di un tempo passato: contratti a tempo indeterminato, articolo 18 (Statuto dei lavoratori), condizioni di lavoro dignitose, salari e stipendi che garantissero più della sussistenza e una possibilità di risparmio. Lavoratori e sindacati scesero in piazza, e non solo, contro i grandi paternalismi dell’epoca, rappresentati da quelle poche famiglie di imprenditori (Pirelli, Agnelli, Falck, Marelli etc..) che controllavano l’economia italiana in diversi settori.
In questi due anni non ci fu comunque una netta contrapposizione fra sindacalismo ufficiale e contestazione spontaneistica, al contrario del decennio precedente. Le forze contestatrici erano forze che aderirono all’organizzazione confederale. I quadri sindacali, che si confrontavano con i grandi colossi, furono portavoce nel sindacalismo confederale ( CGIL/CISL/UIL) di quel malcontento che dilagava tra i lavoratori. Malcontento che trasformarono in forza pulsante fino ad arrivare nel 1970 a contrattare lo Statuto dei lavoratori, che reso legge, definiva finalmente, per iscritto, i diritti dei lavoratori.
Si tratta ovviamente di una semplificazione. Con l’intento di capirne di più, abbiamo fatto qualche domanda aRenzo Baricelli ex sindacalista della CGIL, ma ancora attivo tra i cittadini, che in quegli anni era funzionario provinciale di Milano settore gomma/chimici. Baricelli aveva l’ufficio a pochi passi dalla Pirelli/Bicocca, di cui si occupava gestendo i rapporti tra i lavoratori e le commissioni interne e interfacciandosi con la Camera del lavoro dell’importante capoluogo lombardo.
Renzo Baricelli cosa significò il 1968 alla Pirelli Bicocca per il movimento operaio?
“Fu fondamentale. Ci fu un importante ’68 operaio e soprattutto alla Pirelli Bicocca, dove la lotta è stata emblematica e portata avanti dalla sezione sindacale aziendale della CGIL, grazie a un lavoro duro e costante. Questo avvenne a partire dal febbraio del ’68 fino ad ottobre; e poi in modo unitario fino al faticoso accordo con Pirelli, del dicembre di quell’anno. Le richieste che si tramutarono in vertenze trattavano la definizione di specifiche richieste di reparto con il coinvolgimento di tutti gli operai. Queste richieste dovevano essere sostenute dagli operai con azioni di sciopero, presentate dal sindacato. Gli scioperi erano decisi dai lavoratori e poi sostenuti dalla CGIL, che ricordiamo era il sindacato più rappresentativo, tra gli operai. L’obiettivo, in quegli anni, era quello di coinvolgere tutti i reparti della fabbrica, attraverso una strategia unitaria e non imposta dall’alto.
Quali erano le rivendicazioni principali dei lavoratori di quegli anni?
“Erano soprattutto: l’abbattimento della “troppa fatica” regolamentando le tabelle di cottimo e i diritti sindacali non ancora riconosciuti. Obiettivo del sindacato era poi quello di far crescere ogni giorno di più il sostegno della città, cosa che avvenne nei mesi successivi fino all’autunno caldo del 1969. Occorreva che partendo dai singoli reparti la consapevolezza dei diritti dei lavoratori crescesse a tutti i livelli”.
Cosa successe nel ’69?
“Nel gennaio nacquero nuovi scioperi per l’applicazione dell’accordo di dicembre. Si aprì a livello di fabbrica anche una contrattazione per il riconoscimento dell’autovalutazione degli operai su diversi fronti e per il riconoscimento delle categorie. Ogni reparto doveva valutare quale fosse l’incasellamento corretto dei lavoratori. Il reparto sapeva chi meritava il riconoscimento di una qualifica o di un’altra, basandosi sul contratto nazionale. “Inventammo” un’indennità di mansione. Nel frattempo si preparò la vertenza degli impiegati ( quasi tutti iscritti alla CISL). Venne preparata una piattaforma unitaria tra CGIL, CISL e in parte UIL, sostenuta da movimenti di lotta degli impiegati. Nella primavera del ’69 ci fu la vertenza degli impiegati, sullo schema di quella degli operai dell’anno prima. Ci fu un’ ipotesi di accordo, ma continuava il malcontento tra gli impiegati. Si organizzò immediatamente un corteo al grattacielo Pirelli, e venne firmato l’accordo. Gli scioperi erano articolati, vennero comunque evitati gli scioperi ad oltranza, come nel maggio francese del ’68. Si arrivò così all’autunno caldo visto che c’erano in previsione i rinnovi dei contratti nazionali degli altri settori. I movimenti si erano da mesi diffusi in tutto il mondo con in testa gli studenti. Ci fu la Primavera di Praga. Si era creato un clima a livello mondiale di grande contestazione mondiale.
L’autunno caldo?
La lotta in Pirelli verteva sul premio di produzione e sull’entrata del sindacato in azienda, cosa fondamentale, mentre a quei tempi solo le Commissioni Interne che avevano poco potere contrattuale, rappresentavano in azienda i lavoratori. A settembre furono organizzati nuovi scioperi, mentre la Pirelli “tenne duro” attraverso la serrata ( chiusura dell’azienda). Ad ottobre si decise di organizzare tutti insieme un grande presidio durato tre giorni, davanti al grattacielo. La Pirelli ha un ruolo anticipatorio perché al centro c’erano i diritti sindacali, che si concluse verso la fine del novembre. Si ottenne il riconoscimento dei delegati sindacali, le ore di permesso etc. La Pirelli anticipò lo statuto dei lavoratori. Del vecchio statuto, ora modificato, l’inserimento della giusta causa di licenziamento (ex art 18), ad esempio, garantiva il reintegro in caso di licenziamento ingiusto, grazie a sentenza del giudice. Cosa che ora non esiste più.
Cosa ne pensi dell’elezione di Maurizio Landini come segretario generale della CGIL?
Penso sia una cosa buona. Landini può essere il personaggio giusto per rappresentare i lavoratori. Durante il suo segretariato in Fiom, firmò il contratto solo quando fu sicuro che la contrattazione non rappresentasse un passo indietro e un peggioramento dei diritti metalmeccanici. Landini ha il temperamento e il carattere per difendere i diritti dei lavoratori. Bisogna ritessere un rapporto con i cittadini e lavorare nei territori, per risolvere il precariato.
Per quanto riguarda il “riconoscimento di legge” della rappresentanza del sindacato?
E’ previsto dalla costituzione. Sarebbe buona cosa che la contrattazione fosse fatta dai sindacati maggioritari, dando un rapporto reale tra rappresentati e rappresentanti, tutelando il diritto di sciopero che è del lavoratore, non di “proprietà” del sindacato. l’obiettivo è che la capacità contrattuale non escluda i sindacati più rappresentativi, cosa non democratica. Stesso ragionamento vale per il riconoscimento di una contrattazione minima in linea con il caro-vita, almeno in questo periodo. Non sarebbe cosa negativa, con i suoi ovvi rischi e risvolti politici.