Icone. Le immagini riprese dalla macchina fotografica di Steve McCurry sono diventate delle vere e proprie icone contemporanee, riprodotte innumerevoli volte, fin quasi a suscitare assuefazione nell’occhio di chi le vede e le riconosce. Chi di voi non ha visto Sharbat Gula, la ragazza afghana fotografata da McCurry nel campo profughi di Peshawar? Forse il nome non vi dice nulla, ma tutti riconoscereste immediatamente l’immagine della ragazza dai bellissimi occhi verdi fissati nell’obiettivo del fotografo, uno scialle rosso sbrindellato a coprirle la testa.
La mostra ICONS, alle Scuderie del Castello Visconteo di Pavia sino al 3 giugno, che presenta oltre cento foto stampate in grandi dimensioni, è l’occasione per rinfrescarsi gli occhi e soffermarsi a riconsiderare l’opera di uno dei più grandi maestri della fotografia viventi. Maestro nel vero senso della parola, in quanto nella mostra, sia nelle scritte sulle pareti che accompagnano le opere, sia nei video che scorrono sui monitor, McCurry non perde l’occasione per ammannire consigli agli amanti della fotografia: raccomandando l’attenzione, la pazienza, la costanza, la capacità di aspettare il momento giusto e la rapidità nel coglierlo; ma anche quella che chiama “l’entrare nella conversazione”, cioè prendere dimestichezza con i luoghi e con le persone, e trovare delle storie che abbiano un senso prima di tutto proprio per chi imbraccia la macchina fotografica.
Un senso che McCurry è andato cercando per il mondo, facendo quello che desiderava fare, e che si può riassumere in “viaggiare, fotografare, capire il mondo in cui viviamo”. Dall’amata India alla Cina, dal sud-est asiatico al Giappone dello tsunami, dall’Afghanistan al Quwait dai pozzi petroliferi in fiamme, dall’Etiopia alla New York dell’11 settembre, McCurry si è visto scorrere davanti all’obiettivo non solo luoghi, paesaggi, persone, storie, culture, ma la Storia con l’iniziale maiuscola.
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