I paradossi di un governo carnascialesco

C’era il tempo del governo “tecnico” di Mario Monti, che tecnico non era, ma coerentemente politico, un sano governo di centro-destra.
C’è oggi il governo “politico” di Enrico Letta, che politico non è, perché manca del tutto di progettualità, di un programma politico; un governo “composto da politici” certamente, ma senza la possibilità di essere politico esso stesso. E questo non è che il primo dei paradossi che caratterizzano questo governo.
D’altra parte nei giorni scorsi mentre impazziva il toto-ministri, non si parlava se non molto genericamente del programma di governo, una volta che i famosi “8 punti” sono parsi scomparire assieme a Bersani; così i più o meno candidati ai dicasteri apparivano del tutto intercambiabili, da uno schieramento all’altro: ad una Gelmini si poteva sostituire un Mario Mauro o una Maria Chiara Carrozza senza colpo ferire; i nomi rimanevano completamente slegati dalle politiche, come se il lavoro di un Ministero non vari a seconda del pensiero politico del relativo Ministro. Una visione, questa, molto “tecnica” della politica, volta a indurre la convinzione che la contrapposizione politica fra schieramenti ed idee sia superabile per il “bene comune” (per quanto inorridisca ad impiegare questo termine in tale contesto). Così, altro paradosso, il governo Letta in questo appare molto vicino, pure se speculare, al Movimento 5 Stelle: entrambi inducono a pensare che le contraddizioni politiche siano in qualche modo solo apparenti e comunque superabili, che in altre parole ci si possa mettere “tutti insieme appassionatamente” per trovare le giuste soluzioni al fine di uscire dalla crisi. La specularità deriva dal fatto che se il Movimento 5 Stelle ritiene che la categoria trasversale che si debba unire sia quella de “i cittadini”, il governo Letta ritiene sia la classe politica.
Così ci si ritrova un governo la cui Presidenza del Consiglio è, o dovrebbe essere, di Centro-Sinistra, ma i cinque dicasteri chiave, ovvero Interni, Esteri, Giustizia, Difesa e Finanze, sono tenuti da figure riconducibili alla destra. In cui il Ministro alle politiche d’integrazione ha posizioni presumibilmente molto avanzate, ma il Ministro degli Interni in materia di immigrazione sarà in linea con le politiche operate da Maroni. In cui Comunione e Liberazione si è accaparrata (è il termine esatto) due ministeri chiave per gli appalti pubblici, quello alla Difesa e alle Infrastrutture e Trasporti.
Lo stesso Letta deve essere ben consapevole della eterogeneità del governo, se come è stato evidenziato da molti sono state preferite figure politicamente e carismaticamente “deboli” a quelle più forti ed ingombranti.
Cosa potrà fare questo governo? Probabilmente nulla. O se fossi costretto a scommettere, punterei senza ombra di dubbio su politiche di austerità di destra in continuità col Governo Monti.
Come questo sia possibile, azzardo un’analisi: vi è oggi uno scollamento significativo fra “aree” politiche e formazioni partitiche di riferimento. Se in un sistema politico “sano” sarebbe giusto ed auspicabile che i due livelli combacino, nel nostro caso i due livelli sono profondamente discordanti. Anche prima dell’ingresso del Movimento 5 Stelle, che ha acuito ma non sconvolto il fenomeno.
Provo a spiegarmi: Vi sono in Italia, c’erano tre formazioni partitiche principali: il centro-destra, il centro, il centro-sinistra. Ora se n’è aggiunta una quarta, quella grillina, ancora indefinita, o meglio a mio parere di destra ma di una destra profondamente differente.
In questa la formazione di centro gioca il ruolo di “schermino”. Ovvero: noi ci ostiniamo a chiamare centro ciò che politicamente non esiste, ciò che, perlomeno in Italia, politicamente è destra. Nessuna analisi politica, per quanto spericolata, negherebbe che Casini e Monti siano di destra, per quanto possano per le più svariate ragioni costituire un polo separato da quello Pidiellino. Se ciò sembra esagerato, si pensi alla Prima Repubblica: la Democrazia Cristiana era la destra, senza se e senza ma; altra destra dal MSI, ma sempre destra.
Questa creazione artificiale di un centro altro dalla destra, ha portato ad una conseguenza: che la sinistra fosse centrosinistra. Ma non, come ha recentemente sostenuto Barca, solo nel nome: nelle persone e nelle correnti politiche. Ma questo, assumendo quanto sopra, ha semplicemente comportato un progressivo avvicinamento della principale formazione politica di sinistra alla destra. Il che spiega come una buona fetta di ex dirigenti e delfini democristiani possano oggi far parte del Pd (oggi il Giornale commentando il nuovo governo lo definisce proprio “un governo di Democristiani”), forse anche più che nel pdl e altrettanti che nel suddetto “centro”.
E non c’era d’altra parte migliore figura che incarnasse questo centro-sinistra poco sinistra e molto destra di Enrico Letta.
da www.alessandrogerosa.it