Pubblicato: 13 dicembre 2017 in America Latina, Mondo
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50 anni fa a La Higuera, un paesino della Bolivia profonda, veniva ucciso Ernesto Guevara, detto il Che, come sono soprannominati gli argentini nel resto dell’America Latina. Medico, rivoluzionario, ministro, rivoluzionario ancora. 39 anni consumati di fretta in tempi in cui le scelte erano radicali, definitive, senza ritorno.
Il Che dei primi tempi non era comunista, la sua famiglia aveva origini altoborghesi e lui era cresciuto frequentando l’alta società del suo paese. È un viaggio nell’America Latina della povertà ancestrale a far crescere in lui un misto di rabbia e di voglia di agire che successivamente diventa ideologia.
A differenza delle sinistre del suo tempo, il Che non contempla l’ipotesi di sviluppare un lavoro di base, di far crescere un movimento e attendere che le contraddizioni del sistema si manifestino, così da prendere il potere. Per il Che bisogna agire subito, confondere l’imperialismo aprendo uno, cento, mille fronti di scontro diretto, armato. Costituendo avanguardie rivoluzionarie che avranno il compito di aggregare altre forze fino a conquistare una massa critica, come a Cuba, in grado di rovesciare un regime. Ma subito, senza tirare per le lunghe. Ed è proprio questa componente della sua personalità, l’urgenza nell’agire, il non accettare compromessi, che lo fa diventare un simbolo quando è ancora vivo.
Guevara era giovane e fotogenico, e incarnava in sé la volontà di cambiamento, spesso cieca, tipica della gioventù. Con la sua lotta dimostrava che le utopie erano possibili, come appunto a Cuba. Difficilmente avrebbe potuto continuare la sua vita da ministro-eroe insieme a Fidel: non era nato per governare ma per sovvertire, per rovesciare. È diventato l’icona della rivoluzione allo stato puro, senza i guasti che il tempo inevitabilmente provoca quando si esercita il potere.
Per questo la sua immagine non ci ha mai abbandonato, e nell’immaginario globale il Che è andato oltre la sua origine, la sua lotta, le sue vittorie e le sue sconfitte. Ha accompagnato minatori in lotta nel Galles, oppositori torturati dai regimi mediorientali, studenti europei nelle piazze del ’68, leader dell’indipendenza africana in lotta contro il colonialismo. Non importa quanto sia stato davvero capace come comandante, come medico, come ministro: il Che è stato, e ancora è per molti, un simbolo della possibilità di cambiare definitivamente l’ordine delle cose.
Quando si estrapolano le persone dal contesto storico, i conti difficilmente quadrano. Che Guevara è stato l’apostolo della rivoluzione o l’efferato criminale di cui parlano i fuorusciti cubani che stavano con Batista? Né l’uno né l’altro, ovviamente. Piuttosto, è stato un uomo che, nel difficile contesto della Guerra Fredda, da una delle periferie dell’Impero è riuscito a comunicare con il mondo intero, senza retorica, con l’esempio della propria vita e arrivando fino alle ultime conseguenze. Ecco perché, giusto o sbagliato che sia, Che Guevara in realtà non è mai morto.
Alfredo Somoza per #Esteri #RadioPopolare