Grecia: Tsipras non poteva fare di meglio

Pubblichiamo questo interessantissimo commento inviato da un importante funzionario dell’U.E.    Siamo seri, se ce la facciamo tutt’insieme, almeno per un attimo. Mettiamo da parte la lettura emotiva cui si presta la mostruosa gestione politica della vicenda greca e vediamo quali erano -e sono- le forze in campo per capire perché è finita nel modo che conosciamo.

Quali poteri negoziali reali e sostanziali può avere un governo -quello greco- sull’orlo del collasso finanziario nei confronti della Germania e dell’Eurogruppo? Che cosa avrebbe potuto ottenere d’altro Tspiras nel momento in cui la BCE lo minacciava di chiudere definitivamente i rubinetti dei finanziamenti alle banche se non avesse firmato subito un accordo con i creditori? Quali alternative aveva a disposizione il Premier greco nel momento in cui l’unica opzione strategica a sua disposizione era quella di rimanere nell’euro, dato che non si è mai trattato di negoziare un’uscita volontaria della Grecia dalla moneta unica? Su quali alleanze reali poteva contare Tsipras durante i negoziati dell’Eurosummit del 12 luglio, considerato che è stato addirittura sottoposto da Merkel, Hollande e Tusk ad un vero e proprio mental waterboarding durante alcuni rincontri ristretti nell’ambito del vertice, come hanno riferito fonti europee presenti all’incontro riferendosi a quelle pratiche di tortura che asfissiano con l’acqua i prigionieri come facevano gli americani a Guantanamo o in Irak? La risposta è “zero”, “niente”. Tsipras lo sapeva quando è arrivato a Bruxelles per l’Eurovertice: ma il suo obiettivo era un altro, e per certi versi l’ha conseguito, anche se non è tutto oro ciò che luccica e ha dovuto accettare quella che Der Spiegel ha definito “l’inutile lista delle crudeltà”.

Innanzitutto, è stato stoppato almeno in parte un vero e proprio golpe da parte dell’Eurogruppo che puntava a far saltare Tsipras in persona e Syriza nel suo insieme, dopo aver già avuto per ragioni tattico-negoziali la testa dell’ex-ministro Varoufakis. Gli intenti antidemocratici dell’Eurogruppo sono diventati palesi quando i Ministri delle Finanze hanno cominciato a parlare a grande maggioranza della fiducia venuta meno nei confronti della Grecia, e ciò malgrado il piano di 12 miliardi di tagli approvati pochi giorni prima dal Parlamento di Atene. Hanno fatto di tutto per spingerlo alla porta, creando condizioni politicamente insostenibili per fare in modo che fosse lui ad abbandonare il tavolo delle trattative, l’intento evidente era quello di addossargli la responsabilità del Grexit a cui lavorava da tempo il tedesco Schaüble. La brutalità politica ed umana che ha caratterizzato le discussioni in seno all’Eurogruppo ha messo in evidenza l’obiettivo originale di Berlino: la pura e semplice espulsione della Grecia dalla moneta unica puntando sui paracaduti offerti dai nuovi strumenti d’intervento in mano alla BCE per contenere l’eventuale contagio internazionale del Grexit. L’operazione preventivamente messa in campo da Schaüble ha potuto contare anche sull’irresponsabile voto di almeno 17 deputati di Syriza al Vouli greco, ovvero di quelli che per troppa puzza sotto il naso e troppi mal di pancia non hanno votato il primo piano di tagli di 12 miliardi offerto da Tsipras all’Eurogruppo, mettendo così in evidenza il fatto che la maggioranza di governo non era autosufficiente e che dunque il governo greco non era in grado di gestire da solo la fase post-negoziale con l’Eurogruppo. Ai Ministri delle Finanze non è parso vero, la denuncia della “non credibilità” di Tsipras è stata offerta loro su un piatto d’argento, spalancando le porte al regime change come dicono gli anglofoni: tecnicamente non è un colpo di stato ma sostanzialmente lo è, basta creare le condizioni tecniche e politiche perché un leader si metta fuori gioco da solo imponendogli tali e tante condizioni che mirano all’insediamento di un governo di unità nazionale o un esecutivo più o meno tecnico, prospettiva che ormai non si può escludere ad Atene viste le prime reazioni di alcune componenti di Syriza all’accordo del 12 luglio. Molto ci sarebbe da dire su questa tipologia politica di deputati che hanno preferito guardarsi l’ombelico piuttosto che assumere pienamente la sfida e partecipare con forza ad una battaglia che ha un carattere strategico di natura storica.

Il governo di Atene e Tsipras in persona l’hanno sempre dichiarato molto apertamente: qualsiasi piano di riforme chiesto dall’Europa dev’essere accompagnato da misure parallele che riguardano la ristrutturazione del debito e l’approvazione di un terzo programma di aiuti senza i quali ogni sforzo è vano. Non è vero che il referendum non è servito a niente, anzi. È stato l’elemento tattico-politico che, al di là dei suoi aspetti puramente democratici, ha messo sul tavolo dell’Eurosummit l’apertura -anche se pesantemente condizionata- dei negoziati per il cosiddetto terzo bail-out di 82-86 miliardi di euro e la contemporanea discussione sulla ristrutturazione del debito con riscadenzamenti dei pagamenti e revisione dei tassi di interesse. Per quanto riguarda la promessa di 35 miliardi di euro in programmi di crescita e occupazione da parte della Commissione siamo piuttosto di fronte ad un’illusione ottica: per il momento gliene concederanno subito uno, il resto francamente non si sa se arriverà (ma ciò riguarda l’impianto complessivo del cosiddetto “Programma Juncker”, non è una questione specificamente legata alla Grecia). Bisogna guardare all’insieme dell’operazione, altrimenti è ovvio che il comportamento di Tsipras appare quantomeno erratico sul piano politico. Il vero problema non è “quanto lui ha ceduto”, ma perché l’Unione Europea non è riuscita ad offrirgli altro, a concepire un approccio più realista e meno ideologico, anche perché tutti sanno -FMI compreso- che Tsipras ha ragione sul fondo della questione. Da questo punto di vista sono stati sottovalutati almeno due elementi fondamentali nell’analisi del processo politico che ha portato all’accordo del 12 luglio.

Innanzitutto l’involuzione autoritaria en antidemocratica della governance europea. La governance attuale è incompatibile con la democrazia, ancor più con un popolo che si esprime democraticamente con un referendum. I teologi dell’austerità non ammettono dissenso, il potere finanziario manipola ormai apertamente poteri elitari che hanno poco di democratico, detta le regole alle istituzioni dell’Unione Europea la cui dimensione comunitaria è stata ridotta in cenere anche a spese della centralità politica della coppia franco-tedesca. L’UE si è ormai dislocata in un terreno oscuro non democratico, come il trattamento riservato a Tsipras dimostra. La Grecia da questo punto di vita è solo un dettaglio: ciò che contava per Merkel e Schaüble non era trovare vie di uscita socialmente e macroeconomicamente sostenibili ad una crisi che loro stessi hanno creato, bensì far capire chi comanda e quali sono i diktat da rispettare. Tutti in riga per favore e guai a contestare il pensiero unico della governance. Per assurdo si tratta forse dell’atto costituente di quell’Europa politica di cui si parla tanto a sproposito, ovviamente in salsa tedesca, siamo di fronte all’affermazione di una nuova tipologia d’Europa dove il metodo comunitario e la solidarietà europea non esistono più nelle forme sin qui sperimentate, rimpiazzate da una logica estrema di austerità imposta contro i popoli europei e gestita da una Germania che percepisce il livello europeo come un ostacolo alla propria egemonia continentale. Non a caso François Hollande è entrato subito in fibrillazione quando ha sentito parlare di Grexit, la Francia si giocava la sua marginalizzazione definitiva in questo processo. Hollande è forse riuscito a salvare la forma, ma la sostanza è stata comunque dettata dalla Germania e dai suoi Paesi satelliti, in un esercizio di egemonia che non ha precedenti nella storia UE e che rilancia la discussione sulla questione tedesca in versione ventunesimo secolo. Pur non avendo nessuna base legale, la provocatoria proposta avanzata da Schaüble di un Grexit temporaneo è un gioco politico al massacro che assume i contorni di un puro esercizio di dominio destinato a cambiare la natura politica ed istituzionale delle relazioni intra-UE.

L’altro elemento certamente sottovalutato è la mutazione politico-antropologica di un’élite europea (compresa quella di area socialista), aggregata attorno alla Germania, che era disponibile anche a distruggere l’Unione Europea pur di ottenere il Grexit. Dobbiamo ormai fare i conti con la sottomissione psico-politica all’austerità della gran parte di una classe dirigente europea selezionata dalla governance stessa. Sulla sostanza dei problemi -superare l’austerità e quantomeno accordarsi su un programma macroeconomico anti-ciclico ed espansivo – Tsipras non aveva nessun alleato al tavolo dei negoziati, men che meno in casa socialista. Nessuno se n’è accorto, ma il giorno dopo la conclusione delle discussioni a Bruxelles, il socialista olandese Dijsembloem è stato rieletto per due anni e mezzo alla guida dell’Eurogruppo, con l’appoggio della Germania, il suo atteggiamento ostile nei confronti della Grecia e a favore di un Grexit ha certamente pesato. E pensare che il candidato ufficiale della Cancelleria Merkel era lo spagnolo conservatore Luis de Guindos, della sua stessa famiglia politica… Meglio scegliere un socialista accondiscendente che un conservatore indipendente, no? Questo allineamento del personale politico europeo alla teologia dell’austerità, dove Berlino è il centro di gravità, non ha precedenti nella storia europea, rappresenta il vero trionfo a medio-lungo termine del sistema della governance europea. Siamo in pieno cortocircuito democratico in Europa, l’Unione Europea è diventata un ricettacolo di nazionalismi guidato da un centrodestra europeo austericida che non ha più nulla a che fare con gli Adenauer o i Kohl di una volta. La governance e l’austerità hanno distrutto ormai -anche sul piano del metodo comunitario- quello che era lo spirito costituente europeo, non parliamo poi della solidarietà continentale… È quello che ha fatto velatamente capire il Presidente italiano Mattarella quando, alla vigilia dei negoziati, ha parlato della necessità di ristabilire “la collegialità” nel processo decisionale europeo: vano auspicio, come s’è visto. Da non sottovalutare anche il cambio di clima politico nelle opinioni pubbliche europee, montate abilmente una contro l’altra dal sistema politico-mediatico, dove le destre estreme pesano ormai sugli equilibri istituzionali di numerosi Stati Membri UE.

I risultati dell’Eurosummit del 12 luglio ci consegnano insomma un’Europa a dominio tedesco che per questioni esclusivamente ideologiche e dottrinali persevera sulla strada inutile e pericolosa dell’austerità, che soffoca in modo autoritario ogni tentativo politico di trovare nuove strade per rilanciare il progetto europeo, che nega ogni domanda di democrazia e partecipazione nella governance, che impone modelli macroeconomici assurdi e recessivi, che ha bisogno di soffocare sul nascere ogni movimento di contestazione politica radicale dell’austerità, che preferisce espellere dal proprio corpo politico e sociale un intero popolo se necessario.

È con tutto questo che Tsipras ha dovuto fare i conti. Perché allora “continua a provarci” arrivando addirittura a sottoscrivere la lista delle crudeltà? È ridicolo pensare che in una notte sia diventato un novello nemico del popolo dopo essere stato osannato fino a poche ore prima come leader europeo della sinistra anti-austerità. Evidentemente ha fatto i suoi conti politici, ed infatti continua ad affermare che ritiene possibile compensare gli effetti recessivi dell’accordo del 12 luglio con il terzo bail-out e il riscadenzamento del debito, in mancanza come visto di alternative realmente praticabili che non siano l’uscita dall’euro o la stampa di moneta parallela in attesa di tempi migliori, opzioni scartate in partenza. È tutto il senso della sua scommessa, cui va dato il beneficio del dubbio anche se i dubbi sono ovviamente seri, numerosi e fondati. Non ci vorrà molto tempo per vedere se è una strada praticabile. Nel frattempo Tsipras cerca anche di far sopravvivere un minimo di massa critica politica anti-austerità in Europa, sperando magari che in Spagna a fine anno ci sia un governo con Podemos e che altrove crescano fenomeni politici simili. Ciò aprirebbe anche un varco nei socialisti europei che forse non dovrebbero rapportarsi più solo ed esclusivamente in modo troppo ossequioso a Berlino, ma potrebbero finalmente essere costretti a porsi il problema di una rinnovata alleanza con i movimenti sociali europei da troppo tempo traditi. Difficile, estremamente difficile, forse impossibile, e politicamente molto rischioso per Tsipras e Syriza. Ma se non ci si prova sarà l’estrema destra a comandare tra un po’ in Europa.