Grecia, un grande no ai tecnocrati

  ATENE. Grecia. La proposta di referendum preoccupa la popolazione greca, stretta tra la volontà di resistere all’«ipocrisia» dei creditori e il rischio di un’uscita dall’eurozona

L’intero paese sta vivendo con sen­ti­menti oppo­sti il bras de fer tra il suo governo e i cre­di­tori inter­na­zio­nali, ma nel pome­rig­gio di ieripiazza Syn­tagma ad Atene è tor­nata a riem­pirsi e per le migliaia di per­sone scese per strada a inco­rag­giare il pro­prio governo, non c’erano dubbi: biso­gna dire «no» alle pro­po­ste dei cre­di­tori e al loro ten­ta­tivo di met­tere in un angolo la Gre­cia, costrin­gen­dola ad uscire dall’eurozona.

Anche i media main­stream hanno dovuto ripor­tare le foto e i video che arri­va­vano da una piazza stra­colma e indi­riz­zata al «no», il giorno dopo le file e il pre­sunto panico di un popolo che al mas­simo, riflette e ragiona su quanto potrebbe acca­dere in un caso o nell’altro.

Le migliaia di per­sone scese in strada, inol­tre, hanno mani­fe­stato la pro­pria soli­da­rietà ad un governo costretto a richie­dere il pare­re­della popo­la­zione, su una deci­sione di cru­ciale impor­tanza per il futuro della Grecia.

Le voci mode­rate che invi­tano alla calma, per il momento non ven­gono ascol­tate, men­tre si regi­stra una ten­sione anche nel dibat­tito par­la­men­tare, nei talk show tele­vi­sivi, nei discorsi per strada. E tutti, tranne chi fa il gioco dei «fal­chi», con­cor­dano sul con­sta­tare l’ipocrisia di Lagarde, Schaeu­ble, Dijs­sel­bloem. «Ci vogliono umi­liare», «fanno finta di volerci aiu­tare», dicono.

Tsi­pras ha annun­ciato il refe­ren­dum, met­tendo alla prova la pro­po­sta dei cre­di­tori, per­ché, a sen­tire la popo­la­zione, «i potenti potreb­bero iso­larci, obbli­gando il governo a uscire dall’eurozona». C’è, allora, chi con­sa­pe­vole della par­tita in corso insi­ste e invita alla resi­stenza (il campo del «no») e chi, vit­tima di una pro­pa­ganda inti­mi­da­to­ria o per pes­si­mi­smo, si schiera con­tro la pro­po­sta di Tsi­pras, alli­nean­dosi con Nd, Pasok e Potami (il campo del «si»). Infatti, in que­sto stato di guerra non dichia­rata — con le ban­che chiuse e un’economia in ginoc­chio che rap­pre­senta appena il 2% del Pil euro­peo –la parola «guerra» è sem­pre pre­sente nei discorsi quo­ti­diani– e il «nemico» usa tutti i mezzi e i metodi per abbat­tere l’avversario, ovvero Tsipras.

Dai media, che non fanno altro che ter­ro­riz­zare i greci, cri­ti­cando la scelta di governo per il refe­ren­dum, fino ai diri­genti della Com­mis­sione Ue che si pre­sen­tano come colombe di pace, men­tre è più che evi­dente ormai che gran parte di loro vor­reb­bero che un governo delle sini­stre in Gre­cia fosse solo una paren­tesi nella sto­ria del paese e dell’Europa. «Amiamo la pace, ma quando ci dichia­rano guerra, siamo capaci di com­bat­tere e vin­cere» ha sot­to­li­neato Ale­xis Tsi­pras nel suo discorso in tv, rivol­gen­dosi alla nazione. «Non chie­de­remo il per­messo a Wol­fgang Schaeu­ble o a Jeroem Dijs­sel­bloem per fare il refe­ren­dum, i ten­ta­tivi di can­cel­lare il pro­cesso demo­cra­tico sono un insulto e una ver­go­gna per le tra­di­zioni demo­cra­ti­che in Europa» ha aggiunto.

Sabato dopo mez­za­notte con 178 voti a favore (di Syriza, «Greci indi­pen­denti», part­ner di governo e dei nazi­sti di Alba dorata) e 120 con­trari (Nea Dimo­kra­tia, Pasok, Potami e Kke), tra insulti e taf­fe­ru­gli, il par­la­mento ha appro­vato la pro­po­sta dell’esecutivo per la con­sul­ta­zione popo­lare. Il pre­mier greco è stato cate­go­rico, rispon­dendo a chi cerca di tra­sfor­mare il refe­ren­dum in un ricatto per la per­ma­nenza della Gre­cia nell’eurozona, ma anche alla deci­sione dell’Eurogruppo di esclu­dere il mini­stro delle finanze greco dalla riu­nione di venerdì scorso.

«Nes­suno — ha detto Tsi­pras– ci può but­tare fuori dall’Europa. Noi non com­bat­tiamo con­tro il Vec­chio con­ti­nente, ma con­tro pra­ti­che in cui l’Europa dovrebbe ver­go­gnarsi. E stiamo facendo quello che Pasok e Nea Dimo­kra­tia non hanno fatto: resi­stere». Il «no» di Tsi­pras alle pro­po­ste dei cre­di­tori viene con­di­viso da migliaia di greci. Il pro­blema — però — che pon­gono alcuni, pur con­di­vi­dendo la pro­ble­ma­tica del governo, è «la man­cata chia­rezza della con­sul­ta­zione» e il timing, dato che oggi insieme alla sca­denza del pro­gramma dei cre­di­tori non saranno più valide nean­che le loro pro­po­ste per le quali è stato annun­ciato il refe­ren­dum. «Qual è il senso pra­tico del voto del 5 luglio» si chie­dono tanti.

«Dob­biamo dire no ai tec­no­crati e sì alla sovra­nità nazio­nale, un grande «no» aumen­terà il nostro potere nego­ziale con i cre­di­tori» ha detto Tsi­pras. Ma la gente comune insi­ste: «nel caso di un risul­tato posi­tivo per il governo aumen­te­rebbe la sua forza con­trat­tuale, se i cre­di­tori non vogliono piú nego­ziare, la Gre­cia dove andrà a finire?”. «Il governo avrebbe dovuto fare il refe­ren­dum alcune set­ti­mane prima e non adesso che scade il pro­gramma dei cre­di­tori» ha affer­mato il costi­tu­zio­nan­li­sta, Kostas Chry­so­go­nos, euro­de­pu­tato di Syriza. Secondo Chry­so­go­nos, «i tagli dei cre­di­tori nel caso di un default saranno enormi», men­tre «la rot­tura delle trat­ta­tive avrà come con­se­guenza l’ingabbiamento del paese in un nuovo memo­ran­dum con ter­mini ancora peggiori».

All’interno di Syriza ci sono voci che invi­tano alla mode­ra­zione, men­tre altri si schie­rano a favore di una rot­tura dei rap­porti con i part­ner euro­pei, soste­nendo che si può soprav­vi­vere anche con la dracma. «Meglio avere un po’ di soldi in tasca (dracme) che niente, come sarebbe suc­sesso se fos­sero pas­sate le nuove misure restrit­tive» ha detto il mini­stro della Pre­vi­denza sociale, Dimi­tris Stra­tou­lis ad un pen­sio­nato che aspet­tava in coda a un ban­co­mat. Di fatto la deci­sione di Tsi­pras era una scelta quasi obbli­ga­to­ria, ma di alto rischio.

Da ieri a dome­nica pros­sima il tempo dal punto di vista poli­tico è troppo grande: molte cose potreb­bero cam­biare, le trat­ta­tive — a sen­tire Yanis Varou­fa­kis e il suo omo­logo fran­cese — riman­gono aperte, ma la chiu­sura delle ban­che per sei giorni con­se­cu­tivi crea un clima di ten­sione e di paura tra la gente. Secondo il con­si­glio per la sta­bi­lità finan­zia­ria, la deci­sione presa era obbli­ga­to­ria per­ché sol­tanto venerdì scorso i rispar­mia­tori ave­vano pre­le­vato più di un miliardo di euro.

Oltre ai con­trolli sul tra­sfe­ri­mento dei capi­tali e ai 60 euro che potrà pre­le­vare chiun­que ha un conto cor­rente in una banca elle­nica, il governo ha preso anche altre misure per sal­va­guar­dare i pen­sio­nati (dovranno essere pagati oggi da alcuni filiali) e il flusso turi­stico (chi pos­siede un conto corente all’ estero può pre­le­vare il mas­simo pre­vi­sto dalla sua banca).

Intanto sta­sera alle 18.00 ora locale di Washing­ton scade il dovere di Atene di ver­sare 1,6 miliardi di euro al Fmi. Varou­fa­kis ha detto che la Bce potrebbe pagare il Fmi con gli inte­ressi incas­sati dal col­lo­ca­mento dei bond greci nel 2014. «Per­ché non pos­sono spo­stare quei soldi da una tasca all’ altra» si è chie­sto il mini­stro delle finanze greco.

fonte: il Manifesto

http://ilmanifesto.info/grecia-un-grande-no-ai-tecnocrati/