Grecia: il governo trema, guerra a Syriza

fonte: il Manifesto, di Pavlos Nerantzis, ATENE,

Atene. La maggioranza rischia di andare definitivamente in frantumi sull’elezione del nuovo presidente della Repubblica. E attacca la sinistra lanciando l’«allarme default».

Più si avvi­cina l’elezione del nuovo pre­si­dente della rep­u­bblica elle­nica da parte del par­la­mento — nel pros­simo feb­braio scade il man­dato di Karo­los Papou­lias -, più l’esito si fa incerto ad Atene. E il clima poli­tico diventa ogni giorno più pesante, men­tre si torna a par­lare, spesso in modo stru­men­tale, del «rischio Grecia».

Non solo per­ché la mag­gio­ranza for­mata da Nuova Demo­cra­zia e Pasok non rac­co­glie i 180 seggi neces­sari per otte­nere l’elezione di un can­di­dato pre­si­dente della repu­b-blica desi­de­rato da una coa­li­zione di governo ormai fran­tu­mata, oltre che iso­lata dalla stra­grande mag­gio­ranza dei cit­ta­dini, ma per il fatto che Syriza, la sini­stra radi­cale greca, sarà, secondo tutti i son­daggi, il pros­simo vin­ci­tore nelle ele­zioni poli­ti­che. A pre­scin­dere dalla data del ritorno alle urne — nel marzo pros­simo, e comun­que in anti­cipo, come desi­dera il lea­der dell’opposizione Ale­xis Tsi­pras, oppure tra un anno come avrebbe voluto il pre­mier con­ser­va­tore Anto­nis Sama­ras — la dif­fe­renza tra i due par­titi, Nuova Demo­cra­zia e Syriza, aumenta sem­pre a favore della sinistra.

La pro­spet­tiva di un governo delle sini­stre non piace affatto né alla lea­der­ship poli­tica ed eco­no­mica che per decenni ha gover­nato e con­ti­nua a gover­nare il paese, respon­sa­bile della gra­vis­sima crisi eco­no­mica e sociale, né ai soste­ni­tori e cre­di­tori inter­na­zio­nali che in Syriza vedono un «nemico di classe» che va con­tro i loro interessi.

Un even­tuale cam­bio della guar­dia poli­tico, que­sta volta sostan­ziale, ad Atene, avrà riper­cus­sioni non solo in ter­ri­to­rio elle­nico, ma in tutto il vec­chio con­ti­nente e di ciò ne sono tutti con­sa­pe­voli. Infatti, la guerra con­tro la sini­stra radi­cale greca è già comin­ciata. Una guerra, spesso sub­dola e altre volte aperta, con­dotta usando tutti i mezzi e non sol­tanto i grandi media, che mira da una parte a ter­ro­riz­zare nel vero senso della parola gli elet­tori greci che inten­dono votare per Syriza e dall’altra ad annien­tare l’avversario politico.

Lo scam­bio di accuse spesso pesanti supera il savoir vivre poli­tico den­tro e fuori l’aula par­la­men­tare. «Syriza mira alla desta­bi­liz­za­zione del paese», «Le ban­che chiu­de­ranno, se vince la sini­stra», «I dipen­denti pub­blici non saranno più pagati», «Il paese va in default» sono le dichia­ra­zioni che si sen­tono pro­nun­ciare dai mini­stri, men­tre par­la­men­tari dell’opposizione affer­mano che i loro col­le­ghi indi­pen­denti che avreb­bero deciso di votare per l’elezione del pre­si­dente della repu­bblica sono dei «venduti».

Nel gioco poli­tico è entrata negli ultimi giorni anche la pro­cura dell’Arios Pagos, il tri­bu­nale supremo elle­nico, che ha ordi­nato un’ inchie­sta per veri­fi­care la fon­da­tezza di un ser­vi­zio pub­bli­cato su un quo­ti­diano di Atene che poi è stato ripro­dotto dal por­ta­voce del Syriza, secondo il quale esi­ste «una cassa di rispar­mio nasco­sta per la rac­colta di denaro da parte di amici del governo allo scopo di cor­rom­pere alcuni depu­tati e con­vin­cerli a votare a favore dell’elezione del nuovo capo dello Stato per evi­tare in que­sto modo il ricorso anti­ci­pato alle urne».

Il clima d’incertezza si è appe­san­tito ancora di più negli ultimi giorni a causa delle con­tro­ver­sie tra Atene e la troika (Fmi, Bce, Ue) per l’eventuale fuo­riu­scita della Gre­cia dal pro­gramma di sal­va­tag­gio. Ciò non signi­fica certo la fine del pro­gramma lacrime e san­gue, visto che l’auste­rity con­ti­nua, ma il ritorno del paese nei mer­cati inter­na­zio­nali. Atene è pronta ad affron­tare que­sto passo deci­sivo, come sostiene Sama­ras, impo­po­lare e debole più che mai, e che pro­prio per que­sto motivo vuole fare con­ces­sioni al suo elet­to­rato? Oppure la Gre­cia non è affatto pronta, come invece affer­mano i suoi cre­di­tori inter­na­zio­nali, che riten­gono pre­ma­turo tale passo in quanto «non sono state attuate ancora le riforme necessarie»?

Non a caso la borsa di Atene ha regi­strato un calo pau­roso del 5% mer­co­ledì scorso e di un altro 2,22% ieri, pre­ci­pi­tando sotto la soglia psi­co­lo­gica dei mille punti, nono­stante in favore di Atene siano inter­ve­nute le dichia­ra­zioni ras­si­cu­ranti del por­ta­voce della Com­mi­ssione euro­pea. Inol­tre, i tassi d’interesse per i titoli di Stato a dieci anni hanno supe­rato la soglia del 7%, ritor­nando ai livelli del marzo 2012, men­tre i funds stra­nieri stanno abban­do­nando la Gre­cia. I mer­cati, insomma, sono pre­oc­cu­pati per un’eventuale uscita del paese dai memo­ran­dum e per i rischi che le ele­zioni anti­ci­pate com­por­te­reb­bero per l’economia nazio­nale. E ovvia­mente per i loro interessi.

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