governo: pacco di Natale per i lavoratori

mio commento: ciò che non è riuscito a fare un tizio di destra in più di 20anni lo ha fatto senza remore un altro tizio, che dice di essere di sinistra, in pochi mesi. Oltretutto cavalcando un governo mai votato dai cittadini! Mario Piromallo

“Grande Impresa”

Il presidente del Consiglio ha varato la sua «rivoluzione copernicana». In realtà il nuovo contratto «a tutele crescenti» cancella l’articolo 18 e, allargando la normativa ai licenziamenti collettivi, apre la strada alle discriminazioni. Le imprese potranno disfarsi dei lavoratori – sotto ricatto continuo – in ogni momento

Jobs act. Il nuovo contratto a tutele crescenti cancella l’articolo 18 e, allargando la normativa ai licenziamenti collettivi, apre la strada alle discriminazioni. Inserito a sorpresa nel decreto il contratto di ricollocazione con cui le agenzie interinali private cercheranno lavoro ai licenziati, incassando un voucher in caso di riassunzione

La «rivo­lu­zione coper­ni­cana» di Mat­teo Renzi è stata un regalo di natale assai sgra­dito per i lavo­ra­tori ita­liani — spe­cie se gio­vani — seb­bene non con­tenga due delle «por­cate» che i pro­fes­so­roni della destra vole­vano inse­rire. Nel primo decreto del Jobs act sul con­tratto a tutele cre­scenti che andrà pro­gres­si­va­mente a sosti­tuire il con­tratto a tempo inde­ter­mi­nato — varato alla vigi­lia di natale dopo un con­si­glio dei mini­stri tutt’altro che sereno — dell’articolo 18 rimane sola­mente un filo fle­bile ed isolato.

A parte il licen­zia­mento discri­mi­na­to­rio — tute­lato dalla Costi­tu­zione — il rein­te­gro sul posto di lavoro rimane solo nel caso «in cui sia diret­ta­mente dimo­strata in giu­di­zio l’insussistenza del fatto mate­riale». La par­te­nità dell’espressione per l’unica casi­stica rima­sta di rein­te­gro per il licen­zia­mento disci­pli­nare — vanto della mino­ranza Pd — viene riven­di­cata dal giu­sla­vo­ri­sta e par­la­men­tare di Scelta Civica Pie­tro Ichino: «L’avverbio “diret­ta­mente” è stato aggiunto con l’intendimento espli­cito di sot­to­li­neare che il pre­sup­po­sto per la rein­te­gra­zione circa la radi­cale insus­si­stenza del fatto con­te­stato non possa essere fon­data su pre­sun­zioni, ma su una prova piena diretta», scrive il pro­fes­sore sul suo blog, con­tento comun­que per l’inserimento — a sor­presa — nel decreto del «suo» con­tratto di ricol­lo­ca­zione con cui le agen­zie inte­ri­nali pri­vate cer­che­ranno di ricol­lo­care i lavo­ra­tori licen­ziati, incas­sando un vou­cher in caso di riassunzione.

Lo stesso Ichino è però deluso dal fatto che le pres­sioni del mini­stro Poletti — «ha destrut­tu­rato dall’interno la riforma più impor­tante del governo» — abbiano por­tato ad esclu­dere dal testo due prov­ve­di­menti a lui — e a Sac­coni — molto cari: la cosid­detta opting out (la pos­si­bi­lità per le aziende a cui sia inti­mato il rein­te­gro di optare per un inden­nizzo eco­no­mico) e il licen­zia­mento per «scarso ren­di­mento». In entrambi i casi Mat­teo Renzi ha spie­gato che la deci­sione è stata presa per­ché ci sarebbe stato il rischio di «andare oltre la delega del par­la­mento», come aveva già denun­ciato il pre­si­dente della com­mis­sione lavoro della camera Cesare Damiano.

Riman­gono invece nel testo due altri prov­ve­di­menti molto gravi — già denun­ciati dal mani­fe­sto il giorno pre­ce­dente il varo — e a rischio inco­sti­tu­zio­na­lità. Il primo riguarda l’allargamento del campo di appli­ca­zione della nuova nor­ma­tiva sui licen­zia­menti anche a quelli di tipo col­let­tivo. Un colpo di mano vera­mente pesante per­ché va ad intac­care lo stru­mento — la legge 223 del 1991 — con cui in que­sti anni di crisi le aziende, spe­cie quelle più grandi, hanno por­tato avanti pro­cessi di rior­ga­niz­za­zione. Uno stru­mento che pre­vede pro­ce­dure pre­cise per tro­vare un accordo con i sin­da­cati e ridurre il numero degli esu­beri dichia­rati usando gli ammor­tiz­za­tori sociali e — soprat­tutto — cri­teri di tutela dei più deboli nell’individuazione del per­so­nale da licenziare.

D’ora in poi quindi le aziende potranno in sostanza dero­gare a que­ste pro­ce­dure, arri­vando a licen­ziare chi vogliono, senza il rischio di doverli rein­te­grare. Il secondo prov­ve­di­mento riguarda il fatto che la nuova disci­plina sui licen­zia­menti varrà per le imprese oggi non sog­gette all’articolo 18 per­ché di dimen­sioni infe­riori alla soglia di 15 dipen­denti che supe­re­ranno tale soglia: in que­sto caso il nuovo regime si appli­cherà anche ai rap­porti di lavoro costi­tuiti ante­rior­mente, cam­biando quindi ai lavo­ra­tori assunti pre­ce­den­te­mente il loro con­tratto in modo surrettizio.

Per il resto, rispetto alle pre­vi­sioni, il testo non ha diver­si­fi­cato gli inden­nizzi al variare della gran­dezza della azienda: tutte paghe­ranno due inden­nità al mese con un mas­simo di 24, lasciando però total­mente aperto il rischio che le imprese incas­sino gli incen­tivi per le assun­zioni della legge di sta­bi­lità, per poi licen­ziare allo sca­dere dell’anno, gua­da­gnando nel com­puto delle due voci: sgravi fiscali supe­riori all’indennizzo da pagare.

Il governo ha poi varato anche un secondo decreto, quello su una parte dei nuovi ammor­tiz­za­tori sociali. Un testo tutt’altro che defi­ni­tivo visto che viene appro­vato con la dizione «salvo intese» e che — soprat­tutto — manca ancora di coper­tura per un importo di almeno 400 milioni. I 16 arti­coli che disci­pli­nano la «nuova pre­sta­zione di assi­cu­ra­zione sociale per l’impiego» sem­brano una scia­rada. Le sigle si acca­val­lano: c’è la Naspi che sosti­tui­sce la vec­chia Aspi della For­nero, c’è poi l’Asdi — asse­gno di disoc­cu­pa­zione che sosti­tui­sce la vec­chia inden­nità — e infine la Dis-coll, il nuovo ammor­tiz­za­tore per co​.co​.co e cocopro.

Di sicuro c’è solo che l’affermazione di Renzi — «allun­ghiamo l’Aspi a 24 mesi per tutti» — è pale­se­mente falsa: i due anni saranno solo per i pochis­simi pre­cari che hanno lavo­rato senza inter­ru­zioni con «con­tri­bu­zione negli ultimi quat­tro anni» e si spe­ci­fica dal «primo gen­naio 2017 la durata è in ogni caso limi­tata ad un mas­simo di 78 set­ti­mane», meno di un anno e mezzo.

I com­menti di par­titi e sin­da­cati sono varie­gati. Se Forza Ita­lia sbraita «alla vit­to­ria della Cgil», Ncd e cen­tri­sti con Mau­ri­zio Sac­coni par­lano di «com­pro­messo», men­tre Cesare Damiano stuz­zica i com­pa­gni di mag­gio­ranza e annun­cia che «ci bat­te­remo per limi­tare ai licen­zia­menti indi­vi­duali le nuove norme, esclu­dendo quelli col­let­tivi». Tra i sin­da­cati alle cri­ti­che di Cgil e Uil fa dà con­tral­tare la Cisl che plaude a molte norme e parla di «testo migliorabile».

Ora toc­cherà alle due com­mis­sioni Lavoro di Camera e Senato espri­mere un parere — non vin­co­lante — entro 30 giorni. Poi il governo dovrà deci­dere se modi­fi­care i testi o man­te­nerli inal­te­rati. Nel frat­tempo le mobi­li­ta­zioni del sin­da­cato — come annun­ciato da Susanna Camusso e Mau­ri­zio Lan­dini — andranno avanti.

fonte: il Manifesto

http://ilmanifesto.info/pacco-di-natale-per-i-lavoratori/